Chapeau

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sequenze da applauso
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Das Leben der Anderen - Florian Henckel von Donnersmarck

Quello che interessa maggiormente agli autori del film è l'atmosfera della Ddr, restituita con precisione: la paura non è quella della tortura fisica ma quella, fondata, che le pressioni siano costanti e mirate, "conoscendo" tutto dei cittadini (l'antenna televisiva è il simbolo della Ddr, altissima ancora oggi sovrasta tutto lo skyline di Berlino), il tratto caratterizzante del "sistema", come viene definito lungo tutto il film, ben calibrato, recitato benissimo e attento a tutti gli ambienti: da un lato claustrofobici o asettici, quasi da fumetto o degni dell'incomunicabilità degli innumerevoli microfoni non intercettati di Hanna Flanders... qui quegli stessi microfoni sono intercettati, ma in ambienti non così rigidamente repellenti come sono quelli domestici (o lavorativi, la differenza è minima) dell'ufficiale della Stasi; infatti dall'altro lato ci sono gli intellettuali avversi al regime, pur rimanendo di sinistra, che vivono case riscaldate da gradevole disordine fatto di libri e mobili di legno, pavimenti a palchetto... materiali caldi che si contrappongono di per sé al "sistema", anche se sono costretti a compromessi e a vendere il proprio corpo - e l'anima - per vivere.
Ecco, il film si dipana attraverso una sceneggiatura attenta, a tratti prevedibile, ma ben strutturata.


Ma c'è un momento che ha una marcia in più nel film: un'inquadratura perfetta per movimento al suo interno, per significato a quel punto del plot e perché è girata in modo anomalo rispetto al resto del film, che è giocato molto su inquadrature fisse o quasi, un lento fluire che registra gli eventi, sottolinea gli interrogatori, cadenza le pressioni sulle vittime del regime (ovvero tutti, compresi i carnefici, anche se abbastanza avvertiti da sapere come muoversi).


La sequenza si iscrive sapientemente in un involucro che comprende il senso del film: dapprima con pazienza si tesse la rete di caratteri che descrivono la condizione dei più avvertiti intellettuali della Ddr nel 1986, quelli già perseguiti e quelli sospetti; parallelo scorre il bellissimo personaggio di solitario, taciturno, insensibile ufficiale della Stasi: ecco, il centro del film non è tanto la coppia di intellettuali e dei suoi rovelli e vicissitudini che comportano tradimenti e torture per lo più psicologiche con tragedia finale, interessa molto di più l'evoluzione del funzionario. Ebbene il disegno all'interno della manovra dell'autore de Le vite degli altri comincia a prendere forma da lontano: da quando, con la festa del quarantesimo compleanno s'insinua in quella casa colta, oltre al tarlo del dubbio su quale sia il corretto atteggiamento verso il "sistema", anche uno spartito (Sonate vom guten Menschen), portato in regalo dal dissidente perseguitato fino al suicidio. L'esecuzione nel momento dell'annuncio della sua morte, intercettata dal poliziotto nella sua postazione d'ascolto, lo smuove persino a una lagrima... stilla che è fondamentale per la svolta, che condurrà alla salvezza dell'autore (a prezzo della disgrazia dell'ufficiale e della morte della bellissima attrice, reproba e insicura preda del ministro sordido, unico a pronunciare al frase ormai di Kult in Deutschland: "Com'era bella la nostra Ddr") attraverso momenti di notevole intelligenza - inserita in una sceneggiatura di ferro degna di Kaiser Soze: il funzionario infatti potrebbe essere controfigura tedesca di Kevin Spacey - che trovano il culmine nella inquadratura anticipata prima.


Questa si dipana velocemente: pochi secondi. Il Tenente colonnello meno abile e intelligente di HGW XX/7, ma che sa come gestire e blandire il potere, sospetta le manovre del suo sottoposto e gli chiede in primissimo piano, parlando in macchina: "Stai ancora dalla parte giusta?" a quel punto la cinepresa fa delle evoluzioni perfette per precisione e significato: torna indietro con un evidente controzoom a significare la repulsione e la presa di distanza, poi compie una panoramica di 180 gradi a sinistra per andare a cercare l'interlocutore e lo trova all'estremità opposta: un'evidente risposta metaforica alla domanda; non stanno soltanto da parti opposte, ma hanno sguardi opposti e anche l'inquadratura impedisce di uniformare le due figure: uno chiede frontalmente con l'arroganza del potere, l'altro non risponde ripreso di lato, quindi senza l'uniformazione del campo/controcampo. Agiscono in campi opposti... la presa di coscienza è avvenuta. Quel passaggio rende completamente diverso dalla banalità del male di Eichmann con cui finora HGW ci era presentato: il ribaltamento diventa plausibile con quella lacrima, attraverso il calcolo salvifico delle azioni possibili e poi l'attuazione del piano avvolto nel silenzio che mantiene prima, come fedele funzionario bollabile secondo l'intuizione di Hanna Arendt, ma anche dopo, ancora più ammirevole in quanto non ricerca alcuna riconoscenza per il suo solitario riscatto. E tutto è esplicitato in quella inquadratura, in pochissimi fotogrammi magistralmente inseriti al punto giusto della pellicola.


adriano boano