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Joe Strummer, una generazione in white riot

Cazzo, crepare a 50 anni per un infarto..., non è possibile.

Ghetto Defendant

1979. O forse era l'anno prima o quello dopo, non so. Sverso sul cofano della sua auto, Joe Strummer, a pochi metri da me: non aveva bevuto, non si era drogato: era solo stremato dopo aver dato una carca infinita ai giovani accumulatori di carica sovversiva presenti. Facevo parte della radio città futura (This is radio clash from pirate satellite)che aveva organizzato il concerto dei Clash a Torino, alla fine del concerto Strummer era stravolto, non aveva più energie e noi lo guardavamo con reverenza, con Mick si scambiavano monosillabi, non sapevamo se fosse il caso di importunarlo... eppure bisognava smantellare il palco e rispedirli a casa. Sverso eppure emanava ancora una sottile forza, come quella che ci vuole adesso per resistere nel momento in cui tutto quel nostro mondo è sottoposto ad attacco e rischia l'estinzione. Perché era così: una potenza della natura, un fratellone a cui rivolgersi per capire da che parte stare. Un distillato di rabbia e di lucidità. Anche lui aveva imparato dalla nostra/sua generazione a ribellarsi accompagnando Alex Cox in Nicaragua (Walker), ma forse aveva imparato dalla sua/nostra classe sociale: non era un borghese, nessuno dei Clash lo era, ma lui, oltre a essere proletario, era colto, capace di cogliere i segnali della cultura e dello spirito del tempo. Eppure incarnava benissimo i personaggi che popolano i film di autori come Kaurismaki, Alex Cox, Jim Jarmush, tutti a cavallo tra musica e cinema, tra emarginazione e genialità, tra mentecatti e maestri di vita. Loro tutti sanno racchiudere in una parola e in un'immagine l'ironico distacco e l'indignazione anarcoide, la componente propositiva del movimento punk, quelli che "Difendono il ghetto".

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