Due luoghi comuni inaccettabili:

Il primo, o della sociologia da parrucchiere: non sento interesse verso la dissoluzione della famiglia americana (tendo a ripetermi, ma non riesco a vedere Ladri di biciclette come un film sulla famiglia italiana del secondo dopoguerra, ma come un testo che si confronta col problema del realismo cinematografico).

Il secondo, o della politica degli autori: rapportarsi ad American Beauty come ad un film "di" Sam Mendes è fuorviante, è una forma mentale che dobbiamo mutare come una pelle di serpente alla stagione nuova. Lo dice chiaro e tondo M.W. Bruno nell'introduzione al bel volume "Gremese" su Kubrick: "Stanley Kubrick non esiste", ovvero esistono i film intitolati The Killing, Fear and Desire e via dicendo. E torniamo alla natura duplice, chiave di volta del film, a mio modo di vedere.

Esistono film che generano l'equivoco contenutistico e insieme quello autoriale, probabilmente per una densità semantica che eccede il problema formale. (Ma io sono impreparato ad accoglierli nella loro complessità, evidentemente). Ci sono però altri film che richiedono esplicitamente l'intervento della sociologia o dell'antropologia culturale (e nient'altro): è quanto ho pensato dopo la visione di The Blair Witch Project, la cui analisi testuale si può chiudere nello spazio di un biglietto dell'autobus, mentre invece un'indagine sociologica sul sistema di interazione tra pubblico e film di culto sarebbe oltremodo interessante. E direbbe su The Blair Witch Project tutto quello che, restando dentro al fatto cinematografico, saremmo incapaci di dire (e me lo conferma la breve recensione con cui Federica Arnolfo liquida il film su Cinemah).

In questo senso i giudizi opposti di un Menarini (che parla di post-dogma) e di Cherchi Usai ("il film è pura e semplice spazzatura") quasi si annullano, proprio perché l'oggetto si sottrae all'analisi: e si sottrae perché non esiste in quanto tale, offrendosi piuttosto ad una lettura che tenga conto di parametri come il marketing, il sistema del cinema, la psicologia dello spettatore, la differenza tra pubblico e folla, tra pubblico indiretto e pubblico istantaneo, la fabbricazione del cosiddetto "cult", e tante altre cose importanti in cui non sono sufficientemente ferrato.

Per quanto riguarda il problema dell'Autore, il fatto che un critico lucido come Pezzotta si sia dedicato negli ultimi anni all'analisi della "catena di montaggio" di Hong Kong ed abbia scritto volumi così poco agiografici come quello sul cinema di Abel Ferrara, mi piacerebbe che suonasse come l'ultima campanella per i ritardatari (e i nostalgici).

Non ho argomenti da portare in una diatriba che verte sulle scelte esistenziali di un personaggio-persona. Sulla questione autoriale, però voglio tornarci eccome. Perchè l'equivoco del "faber" è pericolosamente trasversale, e per noi europei inestinguibile.
Il problema dell'autore, del film-maker, non riguarda solo il cinema americano, ma tocca anche il Vecchio Continente. Questo perché si tratta di un problema di linguaggio, che fatica a farsi inscatolare dalla geografia. Per quanto concerne la questione del parrucchiere il mio riferimento era generico, vedi su qualsiasi rivista le chiacchiere su American Beauty. Su The Blair Witch Project usavo invece la recensione succinta di Federica per dimostrare che l'oggetto d'analisi non esiste: si tratta di un non-film, o di un nocumentary se vogliamo.
Mi si disse tempo fa che mediante la dissoluzione del concetto di autore io altro non tentassi una difesa improbabile della famigerata "dittatura del testo". Torno a citare il buon M.W. Bruno, che va ripetendo questo mantra da un po' di tempo:
"Se già un quadro o un libro (pur essendo generalmente firmati da un unico nome) non possono essere ingenuamente ricondotti alle pretese intenzioni di un autore reale, ma vanno interpretati considerando l'autore implicito come un effetto testuale, tantomeno una enunciazione impersonale qual è un film può pretendere di comunicare pensieri riferibili a un soggetto individuabile: dopo la psicanalisi, lo strutturalismo, la semiotica, il decostruzionismo e le filosofie della crisi del soggetto. Non è più possibile un atteggiamento così ingenuo nei confronti del cinema da farlo presumere come un semplice mezzo di comunicazione a schema uno/molti "
(M.W. Bruno, Stanley Kubrick, Gremese Editore, 1999)

Luca