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riflessioni teoriche sull'immagine e il cinema
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L'integralismo religioso non ha i ritmi cinematografici
sembra semplicemente ripetere quelli a disposizione dell'imbonimento televisivo
Riflessioni anticlericali in odore di apostasia

Non so se sono credente o no,
ma la sola vista di un crocefisso o di un calvario mi mette a disagio.
Non ho mai amato la santità e neanche il suo odore, fosse anche a mille anni di distanza.
È forse l'unica cosa dell'uomo che non mi faccia ridere.
(Pierre Magnan, La folie Forcalquier, Deno‘l, 1993,
trad. it. di Emilia Gut, Casino Forcalquier, Voland, Roma 1998, p. 21)

CHI NASCE PRIMA, LA TV O LA SETTA?

Se c'è dio i contrasti diventano inconciliabili, ribaltando l'ennesima fandonia, detta spudoratamente da Benedetto XVI (soprannominato dai suoi ingenui papa-boys "B16", una sorta di bombardiere più sofisticato dei B52 che aspergevano di napalm il Vietnam): lui ha pronunciato a ferragosto la sua menzogna senza spiegare perché un crocefisso in ogni stanza sarebbe un deterrente all'inconcilibilità; noi cerchiamo di argomentare invece perché la sua presenza non fa che alimentare tensioni e conflitti. Soprattutto in una contingenza di spinta temporalità e di mondanizzazione di tutte le religioni, dimentiche del rapporto del singolo fedele con il loro dio nell'intimità delle loro celle di clausura, senza imporre la presenza del divino all'Altro, a chi non ne sente il bisogno.

Lucio Cortella in Riconoscimento e solidarietà (Fenomenologia & Società, 2, 2005) dice che «Ri-conoscere è, innanzitutto, rapporto di conoscenza, la cui caratteristica specifica consiste nell'identificare, nell''individuare' qualcosa che già era noto e che ora si è ri-scoperto. L'altro è riconosciuto come qualcosa di familiare, qualcosa che ognuno di noi si trova già a essere e con cui ha originariamente a che fare». Questo nel punto §1.5.1 dei suoi sillogismi che continuano dicendo che riconoscere significa individuare nell'altro questa aria familiare e quindi la sua oggettivazione attraverso il linguaggio, mediazione simbolica essenziale per fissare l'oggetto, «presupposto universale per il riconoscimento dell'altro», conferendogli uno status, una relazione morale dunque: «Quando ego dice ad alter 'tu sei un soggetto', non si è limitato a conoscerlo, gli ha attribuito un valore, ne ha 'riconosciuto' la dignità» (§1.5.4.1)

Primo problema: non è vero che riconoscere l'Altro comporta un conferimento di dignità: quante sono le Tali Fahima, che vede Arna's Children e da ebrea povera marocchina e del Likud va a Jenin a incontrare quelal comunità di assatanati? Normalmente l'Altro si riconosce solo per accusarlo di nefandezze e applicare la vendetta divina (tant'è vero che il ri-conoscimento dell'Ateo non si verifica mai e quando avviene è solo per tentare di cooptarlo) e non è vero soprattutto quando il riconoscimento si fa da posizioni dogmatiche consapevoli di quello che è "ego". In quel caso il riconoscimento serve solo per individuare il nemico e trovargli tutte le conferme della sua diversità inaccettabile: l' "infedele" sikh del film Acque silenziose (di Sabiha Sumar), che non si lava mai i capelli o altre amenità che attraverso la complice ilarità vengono stigmatizzate dall'interno della comunità religiosa (proprio in quanto tale) come ulteriori motivi di cancellazione dell'Altro, facendo della descrizione di questa "formazione" un'epitome dei meccanismi per la creazione di un integralista in Pakistan (al maschile), esattamente come nel perfetto film algerino El manara; al di là di tutte le motivazioni di odio che il potere istilla nella ragazza tamil di The Terrorist di Santosh Sivan, o ha reso militanti di Hamas i ragazzi di Arna, ebrea che aveva fatto del teatro un alternativa alle lotte tra religioni diverse per la terra dei padri e che l'invasione dell'esercito laico israeliano a supporto degli ultraortodossi ha restituito al loro destino di martiri... ragazzi che vediamo in immagini di dieci anni prima, impariamo a apprezzare, riconoscere, seguiamo nei loro slanci e nelle prove con la "nemica" Arna, e che poi ritroviamo determinati in azioni di guerra che non sono più prove teatrali (il bello del film è che li troviamo anche nel momento in cui vengono spinti, senza alternative, a fare la "scelta" di Hamas, ripresi dal figlio di Arna, quello che era il regista teatrale e che rimane amico dei ragazzi di Jenin, proprio come Tali Fahima. E sempre in Acque silenziose parallelamente si sviluppa lo studio dei meccanismi di consenso liturgico non solo a livello del singolo, ma anche nell'alternanza di slogan e minacce verso le persone più refrattarie a sottomettersi ai diktat religiosi, che conmportano solo la sottomissione delle donne. Arrivando così a portare a compimento il bisogno di vittime sacrificali (femminili) che fin dal passato richiamano in fondo al pozzo Aisha (falso nome musulmano di una donna sikh), quella morte atroce, voluta dal padre, a cui si era sottratta, e a cui la spinge il figlio fanatizzato.

Ma seguiamo Cortella al punto § 3.2: «Riconoscere ed essere riconosciuto implica l'assunzione della norma morale del rispetto dell'altro»; da dove deriverebbe questo presunto rispetto secondo Cortella? semplice e geniale (e probabilmente anche corretto in un mondo libero dai teocon e da integralismi): «Il rispetto di sé ha come condizione il rispetto dell'altro. La violazione del rispetto altrui ha come conseguenza il mancato rispetto di sé».

Proprio questo viene a mancare: riuscite a immaginare Calderoli che ha rispetto per un qualsiasi pensiero, anche quello che incredibilmente lo presuppone (e di cui forse lui pure è in grado di stupirsi)? Lo stesso vale per un islamista pronto a saltare in aria, ma vale anche per il devoto, che nel finale di Gli angeli non volano a Casablanca coglie ogni evento per marcare la occidentalizzazione intollerabile (se un cavallo fugge nel traffico sembra di poter leggere che è colpa dell'Occidente senza dio e dei suoi mezzi di locomozione), senza per questo risolvere il problema del neo-vedovo e tantomeno confortarlo: tutto il film sembra costruito per giungere a questa conclusione conservatrice, sintesi della chiusura a difesa di un'invasione occidentale che adotta come antidoto le formule di una religiosità stantia sfruttando lo spaesamento della società marocchina. Vale per un ebreo armato che inneggia a Goldstein (ma anche gli ortodossi dei film di Gitai o di Boaz Yakin) e inscena disperazione mediatica (la gestualità rituale esagerata è spettacolare e quanto di più distante dal raccoglimento religioso) o per un papa-boy infoiato della "suorina" che lo trascina a un'adunata oceanica prima di dargliela (l'ombelicalità di tutto il nostro cinema, compreso il sedicente turco Ozpetek, papa-boy della più bell'anima, o meglio del più bel Cuore). In realtà quello che presuppone un rispetto è l'idea di questo rispetto, che deriva da un pensiero, ma se questo è ridotto a slogan assurdi o farneticazioni integraliste o a dogmi invasati, anche il rispetto per se stessi svanisce nel calderone dello slogan inventato dal dio, dal sacerdote, dal capo. Ovvio che l'annullamento in una comunità riduce fino a estinguerlo il rispetto per se stessi (e questo era l'evidente intento delle suore sadiche di Magdalene), perché l'abdicazione è il primo passo verso lo stato teocratico.

Riprendiamo Cortella; il nucleo starebbe nella norma (regola, dogma?): «La validità è una risorsa che nasce all'interno di un rapporto intersoggettivo vincolato normativamente. Sua condizione è l'esistenza di un'intesa normativa fra i parlanti» (§4.4.2.3) e subito dopo Cortella puntualizza: «Poiché non possiamo entrare nel linguaggio senza rispettare quegli impegni, condizione di entrata nel linguaggio è il rispetto del nostro interlocutore». Il problema sopravviene quando si accetta del linguaggio solo l'apparato di intolleranza che esiste comunque, rifiutando tutto il resto: se l'intesa normativa si fonda sul reciproco tentativo di eliminarsi, il contatto linguistico si crea in funzione distruttiva e la centuplica; non frainteso (come immagina Cortella in §4.4.2.5), ma accettato proprio per proseguire il dissenso (come direbbe Lyotard). Gli islamisti riconoscono i teocon e i loro metodi e linguaggi, usando le stesse armi per "dialogare". Tra loro si capiscono benissimo, noi siamo il loro terreno di battaglia e il premio (ruolo da sempre assegnato alle donne in queste contese religiose: quello che specifica la denuncia di Ayaan Hirsi Ali, sceneggiatrice di Theo Van Gogh). Al § 5 Cortella completa il pensiero: «Il percorso della filosofia contemporanea dal soggetto al linguaggio è un processo incompiuto». Certo, perché quell'accettazione di un campo dove riconoscersi come nemici serve solo per ritornare dal linguaggio a un soggetto sempre più reificato dall'adesione a qualche religione.

Ma perché, dopo aver debellato la religione in Occidente con i movimenti di emancipazione degli anni Settanta (se non fosse così i preti non si agiterebbero tanto parlando di "scristianizzazione"? Nei paesi civili l'apostasia dilaga), ci ritroviamo invischiati nell'oscurantismo religioso anche quaggiù, come se fossimo infitti nel bisogno di appoggiarsi a religioni per contrastare il saccheggio occidentale che anima il fanatico padre di Alle cinque della sera di Samira Makhmalbaf ( film dove l'assunto sembra essere la dimostrazione che, affidandosi a una interpretazione integralista di qualsiasi dogma, si imbocca una china disastrosa: da noi un film simile sarebbe impensabile... e non per carenza di integralisti, per censura), anzi ci ritroviamo a dover fare i conti con il fenomeno neocon che con il proprio retrivo oscurantismo è responsabile di aver restituito credibilità a un fenomeno da baraccone come bin Ladin, in quanto specchio fedele? Daniela Belliti risponde proponendo il concetto di "sacro globale", rintracciando - con Bataille (La notion de dépense, Minuit, Paris 1967) - il senso del sacro in ciò che eccede la sfera dell'utile e del razionale, il "principio della perdita": proprio la spinta a respingerlo fino al suo annientamento lo provoca a manifestarsi in forme distruttive. Habermas chiosa: «quando la ricchezza eccedente non può essere sprecata in modo glorioso..., le forme catastrofiche dello spreco si presentano come unico equivalente» (Der philosophische Diskurs der Modern, Suhrkamp, Frankfurt 1985, trad. it Laterza, Bari 1987, pp. 238-39). A questo forse risponde Ismael Ferroukhi che in Le Grand Voyage contiene la religione, relegandola nella sua area senza permettere commistioni con il mondo civile, pur toccando tutti gli ambiti che la religione vorrebbe attribuirsi come unica tenutaria: infatti il ragazzo secolarizzato non si converte al fondamentalismo e il padre riesce a capire come lui preferisca non lasciarsi coinvolgere.

Belliti poi arriva a una interessante definizione: la "caduta delle differenze", apparentemente contradditoria con la globalizzazione ma in realtà figlia della stessa. «Per 'caduta delle differenze' non intendo la perdita delle identità particolari (locali, culturali, etniche) che invece si sono moltiplicate negli ultimi decenni; bensì la perdita della differenza, o meglio del punto di vista della differenza capace di riconoscere la realtà nella sua pluralità. La mera riproposizione dell'identità che si oppone al rischio dell'omogeneizzazione esprime una differenza che non costruisce ordine, ma produce indifferenziazione all'interno e chiusura all'esterno, finché è possibile mantenere la separazione con l'esterno. Quando la barriera cade l'indifferenziazione dilaga e il senso dell'identità si perde». (Fenomenologia & Società 2, 2005, p. 29)
Gli effetti di questa indifferenziazione sono analizzati da Girard (Le bouc émissaire, Grasset, Paris 1982, trad. it. Adelphi, Milano 2002) quando evidenzia come le Potestà si pretendono sia celesti che terrene: gli Stati sono duplici e ambigui e non solo quelli che si fondano sulla sharia, perché il principio su cui si fondano è lo stesso: hanno una dimensione religiosa (si pensi a Bush) per il prestigio "sovrannaturale" di cui godono (in god we trust, come gli ayatollah), sia mondana per la pretesa di agire estraneamente dalla religione, come esige il paradigma della secolarizzazione: gli stati mantengono l'ordine, cioè tengono fuori la violenza (Satana), sulla base di una trascendenza (l'autorità) che però è diabolica in quanto a sua volta fondata sulla violenza; è una falsa trascendenza. Un'illusione smascherata dalla globalizzazione, quando il gioco delle identità in conflitto tra loro non fa altro che riflettere la riapertura del ciclo della rivalità mimetica, e cioè quello scontro tra individui che, desiderando lo stesso oggetto per effetto imitativo, cadono nel meccanismo dell'indifferenziazione identitaria, come spiega Girard in Je vois Satan tomber comme l'éclair (Grasset & Fasquelle, Paris 1999, trad it, Adelphi, Milano 2001, p. 43): «Più gli antagonisti desiderano differenziarsi e più diventano identici. È nell'odio dell'identico che l'identità raggiunge il suo compimento». E su questo il manicheismo hollywoodiano ha riempito gli schermi di esempi, da Star Wars all'ultimo Batman, dimostrando di essere intriso di dozzinale spiritualità d'accatto, funzionale al perpetuarsi della sudditanza dell'immaginario alle strutture bibliche.

Ci va una bella sfacciataggine dunque a proferire bugie come quella del ferragosto di Josip Ratzinger e questo è consentito solo da una assurda sovraesposizione mediatica, che non lascia spazio a un briciolo di buonsenso aclericale: le cappelle di montagna dei secoli in cui la religione cattolica esprimeva l'intera esistenza e la cultura di quasi tutta la popolazione non costringevano a subire tutte le loro informazioni, erano persino meno globalizzanti della penetrazione invasiva dell'assoluto controllo televisivo; e lì si trovavano i ritmi anche cinematografici per cercare di tessere un discorso sulla spiritualità accettabile filosoficamente anche per noi anticlericali: in fondo la vita di convento è scandita da un ritmo (quello benedettino, ad esempio, fatto di 9 appuntamenti quotidiani) fuori dal tempo - come lo è, laicamente, il cinema - e soprattutto estraneo alle imposizioni e al proselitismo (imprescindibile per i bisogni finanziari della holding vaticana) della chiesa secolare; su questo sembra possa essere illuminante il lavoro che presenterà Philip Gröning a Venezia: Die grosse Stille. Noi invece ci ritroviamo a cena nei telegiornali con papi della hitlerjugend in sinagoga, sappiamo tutto di croci che si spezzano durante crociere sul Reno in città atee (di cui ci viene negata la cronaca delle proteste per l'invasione di un milione di cattolici che rimangono per questo comunque minoranza invasata), acidi versati con metodi medievali dalle sinagoghe erette in territorio arabo, canti liturgici di forge diverse punteggiano i notiziari, fragori di esplosioni musulmane si alternano a verbosi pellegrinaggi su vie francigene a colonizzare radiotre, caterpillar ebraici distruggono case musulmane ed erigono muri su luoghi, sacri un po' a tutti loro che ci credono (a sentir loro ma fa parte della truffa religiosa la possibilità di inventarsi una favoletta ad hoc, come dimostra l'operazione mediatica di Gibson), presidenti teocon eternano il moralismo ferreo della Riforma a suon di bombe e Patriot Act, musulmani pakistani minacciano indù, a loro volta in conflitto con sikh; nomi usciti da libri di storia antica contrappongono sciti a sunniti... Insomma sparute e fanatiche minoranze - rispetto alle persone laiche o anticlericali che calpestano il pianeta che vivrebbero in pace senza le religioni - catalizzano ogni forma di comunicazione con gesti arcaici (i ridicoli balli degli ultraortodossi ebrei, vestiti in modo altrettanto ridicolo) assurde pretese e interpretazioni bibliche irritanti... Siamo al punto che è legittimato anche un articolo di Giulia D'Agnolo («Gesù va forte» a Hollywood, "il manifesto", 19 agosto 2005, p. 4) sui film hollywoodiani in uscita nella stagione, accomunati dall'argomento smaccatamente religioso. È ora di urlare che noi, maggioranza anticlericale atea o laicamente agnostica, non siamo interessati a queste scempiaggini infantili: il gioco religioso è causa di 99,9% delle guerre e delle stragi nel mondo. Dall'enorme onda di pattume religioso riversatoci addosso dall'agonia del simoniaco polacco, responsabile delle più spaventose pulizie etnoreligiose degli ultimi anni, siamo investiti quotidianamente da notiziari esclusivamente religiosi.
Ya basta!



Acque silenziose di  Sabiha Sumar

 The Terrorist di Santosh Sivan

Arna's Children di Juliano Mer Khamis

A Casablanca non volano i sogni

Arna's Children di Juliano Mer Khamis

A Casablanca non volano i sogni

Arna's Children di Juliano Mer Khamis

A Casablanca non volano i sogni

Acque silenziose di  Sabiha Sumar

Alle cinque della sera di Samira Makhmlbaf

Alle cinque della sera di Samira Makhmlbaf

Alle cinque della sera di Samira Makhmlbaf

Die grosse Stille di Philip Gröning

adriano boano