I giochi di ruoli si invertono in Intimacy; si inseguono e si ritrovano nelle recite. Si perdono negli antri polverosi, dove solo i corpi si stagliano bianchissimi: e quelle sculture in movimento ancestrale, atavico danno forma al desiderio, che non ha nulla a che fare con la passione. Macchine desideranti, rinnovano la soddisfazione periodicamente e senza alcun bisogno della ragione, basta il rispecchiamento nell'altro, l'uso del corpo dell'altro, mondo parallelo di quello ulteriormente parallelo del teatro, dove Tennesse Williams restituisce vita attraverso il linguaggio ad una esistenza frammentaria, di pulsioni diverse, quasi completamente mute della lingua convenzionale.

Il gesto ipnotico fatto meccanicamente ogni mercoledì non è alienante, ma ritrovante quella bolla di desiderio intimo che in quel momento è l'intera espressione di esistenza della donna-attrice-moglie-madre-amante, capace di rappresentare la vita in quel teatrino polveroso di incontri clandestini, appartenenti ad un mondo diverso dove il linguaggio è quello del corpo nudo e la sintassi è quella erotica. Il testo viene scritto sulla pelle come in Memento o come in Pillow Book

Film di scarse e scarne parole, molte provenienti dal teatro: l'assenza spinge a immaginare il racconto, ma è anche segno che non si intende rimarginare alcunché - visto che in qualsiasi forma si accenni all'atto di parola, questa riconcilia - tanto che quando i due protagonisti iniziano a parlare, sottraggono la possibilità di proseguire quel rapporto improntato alla mancanza di dialettica, non comunque quella della parola.