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riflessioni teoriche sull'immagine e il cinema
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PROTHESIS
Appunti per una metafisica tecnocratica

"L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo ?"
Friedrich Nietzsche,
Così parlò Zarathustra 

(english text available as a Word document)

I. "doigts électriques": il corpo tecnologico del cinema

Il cinema contemporaneo è una forma di linguaggio ibrido, nell’accezione più vasta che il termine va assumendo al momento presente. E’ certamente superfluo fare dell’archeologia, richiamando le origini del mezzo cinematografico, e le molteplici derivazioni dai linguaggi storicizzati dell’arte che hanno presieduto all’elaborazione dei primi codici del film. Giova invece riprendere brevemente un dibattito annoso, quello che riguarda la specificità del cinema: secondo alcuni questa risiederebbe nella capacità di rappresentare il mondo reale con un’approssimazione eccezionale, mettendo in gioco un numero di elementi (il dettaglio dell’immagine fotografica, la profondità data dal movimento, il sonoro, ecc.) la cui azione comune determina un prodotto che indiscutibilmente restituisce un’impressione di realtà. Altri (le avanguardie storiche del ‘900, per esempio) hanno contestato questa condanna del mezzo ad un rapporto mimetico col mondo, sottolineando del cinema una peculiarità altrettanto indiscutibile: quella di creare mondi, perfettamente risolti, definiti, conclusi, alternativi alla descrizione dell’esistente.

La grammatica del cinema, dai semplici standard dei primordi, si è rinnovata di pari passo con la crescita di un’industria, con l’opera dei cosiddetti autori, e soprattutto con il contributo delle innovazioni tecnologiche. Queste, secondo gli analisti più accorti[1], conducono lo sviluppo del medium in questione secondo due direttrici opposte e inconciliabili: la realtà totale e la finzione totale.

Si tratta chiaramente di due estremi ideali, giacché non si può dare realtà assoluta nella rappresentazione, né rinunciare del tutto ad un profilmico in qualche modo debitore del mondo esterno al linguaggio. In quale misura il funzionamento interno del linguaggio stesso determini la verosimiglianza del prodotto cinematografico non è cosa trascurabile, ma qui ci occupiamo dell’esatto controcampo: l’apporto delle protesi tecnologiche, la loro interazione con gli ideatori e gli esecutori del processo creativo, il modo in cui il medium fa corpo con la tecnologia.

Gianni Canova, decano dei meta-critici[2], invita a distinguere tra protesi quotidiane (con funzione al più ottimizzante) e protesi del corpo bionico (con funzione progettuale)[3]; possiamo servirci a buon bisogno di queste categorie per tracciare un profilo di massima del panorama rinnovato dei supporti tecnologici della ripresa, della post-produzione, della proiezione del film.

Il cinema attualmente è sede di una coesistenza problematica fra oggetto fotografico e non fotografico, e ugualmente problematico è il rapporto che s’instaura fra l’oggetto e il contesto (virtuale, fotografico…); il fatto nuovo è la diffusione di molti degli strumenti di manipolazione digitale dell’immagine, oramai alla portata di produzioni a medio e a basso costo. Blue screen[4] e steadicam[5] da prototipi della ricerca avanzata sono diventati elementi comunemente in dotazione ad una troupe cinematografica, e oltre ad economizzare certe soluzioni di ripresa, modificano percettibilmente il linguaggio.

Una macchina straordinaria come il Motion Control[6], per il momento oggetto raro e costoso, ha una sostanziale funzione ottimizzante, intervenendo sulla tecnica di ripresa con criteri di precisione matematica; un suo impiego estremo è quello senza operatore, coi movimenti effettuati direttamente dal computer che esegue un programma dinamico prestabilito a livello di posizione iniziale e finale.

Da tenere nella massima considerazione sono poi tutte le innovazioni che hanno interessato il sonoro dalla sua introduzione (a partire dal 1928). Anch’esse svolgono un’azione diversificata: moltiplicazione dell’effetto di realtà, miglioramento degli standard, trasformazione del ruolo del sonoro nel film. Se le invenzioni dell’ingegner Dolby risolvevano problemi di ascolto (rumore di fondo, stereofonia, qualità del suono), è l’avvento del digitale a rivoluzionare il fronte sonoro, a sovvertire il tradizionale modo di fruizione del film[7]. Il suono digitale agevola l’azione integrata tra la colonna delle immagini e la colonna audio, ma soprattutto incrementa la creatività nel lavoro sui materiali sonori.

Il montaggio digitale è anzitutto protesi ottimizzante, indispensabile complemento alle nuove tecnologie made in Lucas che tra breve comporteranno l’abbandono della pellicola tradizionale; nello stesso tempo (istanza progettuale) asseconda la velocità vertiginosa del cinema d’oggi, dominato dall’ansia dell’accumulo di immagini. Si veda il lavoro di Michael Bay (<The Rock>, <Armageddon>), che certo frequenta l’estetica del videoclip (ma non è in ogni caso un fatto nuovo), ma soprattutto tende all’elenco sovraccarico delle inquadrature, favorito dal dispositivo tecnologico. L’intera filmografia di Stanley Kubrick può essere letta nei termini di un’equivalenza tra evoluzione dei mezzi ed evoluzione del linguaggio: <Shining> è il manuale della steadicam, <Barry Lyndon> deve l’ardita concezione delle riprese in interni alle lenti Zeiss, <Eyes Wide Shut> è girato quasi interamente col Motion Control.

Fuori dall’estasi macchinistica cameroniana[8], risultati straordinari ha ottenuto il poeta degli FX, Robert Zemeckis, il cui cinema nutre un’attrazione consapevole nei confronti delle manipolazioni effettistiche; le attrici snodabili di <Death becomes her> disegnano le nuove barriere molli della corporeità, mentre il tema costante del tempo narrativo (<Back to the future>, <Forrest Gump>) chiede alla tecnologia di visualizzare il viaggio allucinante nel flusso della Storia.

George Lucas, prototipo del regista dal corpo bionico, ha intrapreso una riforma globale che va dall’eliminazione dei proiettori ottici al controllo di qualità (THX) imposto alle sale cinematografiche del pianeta; il nuovo episodio della saga di <Star Wars> è una prova generale delle micro-meraviglie del futuro prossimo.

II. Il cosa e il come del cybermovie

La macchina influenza il linguaggio. La relazione funzionale tra l’uomo e la macchina, tra un soggetto forte ed un oggetto docile, così come rappresentata nelle prime stagioni del cinema di fantascienza (<The day the Earth stood still> di Robert Wise, con l’alieno dalle sembianze umane che dirige il proprio robot di servizio mediante impulsi luminosi a distanza) si trasforma in un rapporto simbiotico (<Robocop> di Paul Verhoeven, praticamente una steadicam), per poi registrare il soccombere della componente umana a favore del dispositivo tecnologico.

Il computer (vedi il Motion Control) prende decisioni. La paura di un cineasta eterodiretto è il leit-motiv della Sci-Fi matura: Hal9000[9] decreta la fine dell’odissea nello spazio del racconto, con un atto di forza deliberato e senza condizioni; il computer di bordo del "Nostromo"[10] si chiama MOTHER e allestisce trappole linguistiche ad un equipaggio di umani cui dovrebbe dare risposte e soluzioni. Il confronto tra la macchina produttiva impersonale e l’Autore non è mai alla pari, l’interazione è un incubo senza risveglio. La riflessione di Cronenberg è in tal senso illuminante: non esiste ibridazione che non generi dolore, il passaggio ad una nuova carne è pericoloso, intanto perché subìto, poi perché imprevedibile negli esiti parziali e finali[11]. Il corpo del cinema sottoposto alle mutazioni recenti risponde con sussulti di vita di difficile interpretazione.

In verità, tolti Cameron, Scott (Ridley), Gilliam e pochi altri, è raro che il cybercinema lavori sul significante. A scorrere i titoli di genere degli ultimi anni si scopre che i film Sci-Fi rendono conto degli ultimi progressi in tema di effetti e animazioni, senza incidere seriamente sui modi del narrare per immagini. <Matrix>, ultima, intrigante avventura nei meandri virtuali del futuro prossimo, è un film ambizioso nei contenuti e programmaticamente ultra-citazionista: si riconoscono le sequenze "rubate" a <Terminator 2: Judgment day>, abbondano riferimenti al kung-fu anfetaminico dei cineasti di Hong-Kong, e persino al caro vecchio western: il cinema in questo caso è davvero una materia prima, che l’autore dalle protesi magiche plasma in iper-testo con debiti rilevanti nei confronti di un’estetica di ritorno come quella del videogame[12].

La teoria del cinema enumera quattro principali tipi di atteggiamento comunicativo: l’oggettiva, l’oggettiva irreale, l’interpellazione e la soggettiva. Ora è chiaro che il cinema contemporaneo assume forme di sguardo alternative, originate sicuramente dall’assuefazione visiva al sistema tecnologico: chiamiamo oggettiva densa quell’inquadratura che riproduce un’immagine già "trattata", artificiale: l’immagine di un’immagine, come accade quando si vede al cinema un monitor, un televisore, senza che questi siano l’oggetto di uno sguardo del personaggio[13] (in questo caso parleremmo di soggettiva). Altro prodotto d’ibridazione protesica è la cosiddetta soggettiva vuota, ossia quell’inquadratura che apparentemente suggerisce lo sguardo di un soggetto, che in realtà non esiste. E’ il movimento di macchina virtuoso, dalla traiettoria inaudita, che ha valore in sé perché mostra la macchina del cinema al lavoro: il modo di comunicare del cinema contemporaneo è largamente costruito con "movimenti impersonali, fluidi e senza corpo consentiti dalle nuove tecnologie"[14]. I due <Terminator> illustrano la parabola a dovere. Nel primo atto si scontrano il presente del cinema ed un futuro ancora indefinito, mutante; nel secondo il conflitto coinvolge esclusivamente le macchine, il collaudato cyborg T – 800 e il prototipo avanzato T – 1000. Dal T – 800, steadicam con operatore sintetico, supporto al modo di ripresa tradizionale (soggettiva e profilmico reali), passiamo al T –1000 (soggettiva vuota, profilmico virtuale).

A sostanziare un’idea di cinema agli antipodi, Kevin Costner ha in mente una rappresentazione neo-medievalista: il futuro dopo la macchina. <Waterworld>, esempio fulgido di kolossal freak, mostra un uomo che reinventa gli utensili quotidiani, che ha adattato il proprio corpo all’elemento liquido, per un massimo grado di influenza reciproca con l’ambiente che è prima ipotesi di sopravvivenza. Nel successivo <The postman>, il percorso si fa più interno al linguaggio, nella direzione opposta alla cronologia del racconto; la proiezione di un film in pellicola come fatto archeologico (il cinema come memoria) è simbolica dell’intera struttura di un testo per il quale l’epopea western (e dunque del film-maker in carne e ossa) è ripetibile ovunque vi sia una disposizione narrativa.

Il cineasta contemporaneo lavora preferibilmente sul repertorio acquisito d’immagini e di soluzioni, rinunciando a sperimentare l’inedito; a rileggere gli appunti fatti a Kathryn Bigelow in occasione di <Strange days> si coglie la delusione del critico di fronte ad uno spreco di termini. Lo S.Q.U.I.D. (Superconducting Quantum Interference Device) spacciato da Nero-Ralph Fiennes è una droga che promette allo spettatore di cinema uno sballo prodigioso, salvo poi tenerlo coi piedi per terra: lo Squid è la solita soggettiva !

All’atto di nascita del Costruttivismo russo, il francobollo edito in occasione della III Internazionale recava l’immagine del celebre monumento a spirale di Tatlin, ed un’iscrizione che diceva: "Ingegneri, create nuove forme !" – oggi viene naturale estendere l’invito perentorio alla gente di cinema, perché si scuota dal sonno indotto dalla macchina produttiva, dalle regole della composizione e della comunicazione supinamente accettate per paura di perdere consensi. Se l’operazione letteraria cyberpunk contiene un certo numero di trasgressioni forti (cut-up, interpolazioni), il cinema per ora accarezza la superficie della cosa, rinviando, forse al futuro che descrive, la domanda sul come, il momento della rivoluzione linguistica. 

Luca Bandirali

III. Filmografia minima (s)consigliata

Oltre ai film citati, una visita all’immaginario protesico/mutante potrebbe includere le tappe seguenti, valevoli anche per una ricognizione sul territorio FX:

Things to come (Vita futura) di William Cameron Menzies, 1936
The damned
(Hallucination) di Joseph Losey, 1961
Cyborg 2087
(Anno 2087, metà uomo metà macchina, programmato per uccidere) di Franklin Adreon, 1966
Zardoz
di John Boorman, 1973
The terminal man
(L’uomo terminale) di Mike Hodges, 1974
Who ?
(Who ? L’uomo dai due volti) di Jack Gold, 1974
Brainstorm
di Douglas Trumbull, 1981
Scanners
di David Cronenberg, 1981
Tron
di Steven Lisberger, 1982
Brazil
di Terry Gilliam, 1985
Deadly friend
(Dovevi essere morta) di Wes Craven, 1986
Shocker
(Sotto shock) di Wes Craven, 1989
Darkman
di Sam Raimi, 1990
Tetsuo
di Shinya Tsukamoto, 1989
Tetsuo II – Body Hammer
(Martello di carne) di Shinya Tsukamoto, 1990
Hardware
di Richard Stanley, 1992
The lawnmower man
(Il tagliaerbe) di Brett Leonard, 1992
12 monkeys
(L’esercito delle 12 scimmie) di Terry Gilliam, 1995
Abre los ojos
(Apri gli occhi) di Alejandro Amenabar, 1998
Mission to Mars
di Brian De Palma, 2000 

IV. Cybercinema on line

Per chi voglia seriamente approfondire la materia della cyber-cultura, consiglio il sito della professoressa Elisa K. Sparks, docente di Letteratura Inglese presso la Clemson University: http://www.clemson.edu

[percorsi di lettura, bibliografie, link, saggi, articoli, interviste coi padri della cyberculture]

Per informazioni e scambi d’idee, un ottimo indirizzo di FAQ (Frequently asked questions) è: http://www.knarf.demon.co.uk/alt-cp.htm

Per i curiosi:

Sci Fi Movie Page [rivista per fans, con numerosi filmati disponibili per download, recensioni]:
http://members.xoom.com/scifimovies

Cine Fantastico [rivista spagnola dedicata al cinema di genere, interviste, profili dei grandi maestri]: http://www.ciudadfutura.com/cinefantastico/index.htm

 

"Dal mio punto di vista, tutta la realtà e virtuale."
David Cronenberg

"Il cinema, essendo al contempo corpo e linguaggio, è virtuale da sempre."
Gianni Canova

 

1 - intervento di Andrea Romeo, Il digito nella piaga, in “Segnocinema” n° 79
2 - v. III paragrafo
3 - Un esempio calzante lo si ritrova nel capostipite dei film di fantascienza Metropolis (1926) di Fritz Lang: la mano artificiale dello scienziato Rotwang è una protesi del tipo restaurativo, restituisce cioè al corpo le funzioni di un arto che si è perduto; il robot che Rotwang realizza per controllare le masse è una protesi del secondo tipo, in quanto prolungamento evoluto (ma al contempo oggetto d’uso) dell’essere umano.
4 - Sfondo per le riprese che consente di creare in post-produzione effetti appropriati, di aggiungere oggetti non fotografici che interagiscono con gli attori in carne e ossa, di filmare modellini cui successivamente annettere scenari complessi. Esempi: Star Wars (1977) di George Lucas, The adventures of Baron Munchausen (1989) di Terry Gilliam.
5 - Consente riprese in movimento senza vibrazioni; dispositivo inventato dal celebre operatore Garrett Brown, ha un larghissimo impiego nel cinema ma anche negli studi televisivi; permettendo movimenti estremamente fluidi, con garanzia di stabilità dell’immagine, la steadicam è in grado di sostituire il tradizionale carrello e di risolvere gli effetti indesiderati della macchina a mano; originariamente concepita come un corsetto indossato dall’operatore, è ora in commercio in esemplari di tutti i tipi e per tutte le tasche. Esempi: Shining (1980) di Stanley Kubrick, Strange days (1995) di Kathryn Bigelow.
6 - Sistema composto da una macchina da presa dotata di una testa rotante, da un braccio telescopico e da un computer; si muove con un joy-stick, e garantisce movimenti di macchina di traiettoria calcolata e ripetibile; è di grande utilità per ealizzare effetti che introducono oggetti fotografici in contesti non fotografici, e viceversa. Esempi: Titanic (1997) di James Cameron, Blade runner (1982) di Ridley Scott.
7 - I principali sistemi per la registrazione e la riproduzione digitale della colonna sonora sono: Dolby Digital,
Sony Dynamic Digital Sound (SDDS), DTS. In particolare quest’ultimo libera la pellicola dal fardello della banda sonora : il suono è inciso su CD, mentre sulla pellicola c’è un timecode che permette la sincronizzazione con le immagini. (A questo proposito è divertente notare che il Vitaphone, uno dei primi sistemi sperimentali approntati dalla Warner nel 1926, comportava una divisione del lavoro analoga al DTS, con la colonna sonora incisa a parte su dischi di fonografo). Esempio: Jurassic Park (1993) di Steven Spielberg.
8 - All’estremo opposto, sarebbe interessante studiare l’uso degli effetti, marginale ed eccentrico, fatto da autori più tradizionali di quelli citati in questa sede: si possono citare almeno Woody Allen (Alice, 1986) e il notevolissimo Auster di Lulu on the bridge (1998).
9 - Il calcolatore di bordo in 2001: A space odyssey (1968)
10 - Il calcolatore di bordo in Alien (1979)
11 - Si mettano in relazioni gli ibridi di Cronenberg in The fly (1986) e Crash (1996).
12 - Molto simile è la struttura (più esibita, forse) di Nirvana (1997) di Gabriele Salvatores
13 - Un saggio filmato sull’oggettiva densa è Videodrome (1982) di David Cronenberg; il fatto che sia stato girato quasi vent’anni fa è stupefacente.
14 - Vincenzo Buccheri, Segnocinema n°82, “Come comunica il cinema d’oggi”, pag.4