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Il caso nella trilogia di K. Kieslowski

La presenza del caso, ed il suo manifestarsi e confrontarsi con l'individuo, permea l'intera trilogia kieslowskiana, in cui il plot narrativo, la(e) storia(e) raccontata(e), subisce scarti significativi proprio conseguentemente al verificarsi del caso stesso. Tuttavia, le modalità tramite cui il caso è percepito, sono differenti ed a volte opposte da film a film; anche se nell’intera trilogia esso rappresenta una variabile esterna dai mutevoli risvolti.

Ciò nonostante, non c’è predestinazione per l’eroe kieslowskiano, nessuno ha scritto per lui quello che dovrà fare, né lui sa ciò che farà. Egli vive all’interno di una situazione tragica in cui raggiungerà la consapevolezza soltanto in un momento successivo al presente in cui vive. Un presente fatto di espiazione e sottrazione, qui intesa come mancanza.

In questo senso K. differisce da altri cineasti che hanno veduto nel caso il motore della loro narrazione. Mi riferisco tra gli altri ad Eric Rohmer ed a Robert Bresson.

Il primo fa della predestinazione il cardine attorno cui ruota gran parte della sua produzione filmica. La mia notte con Maud (1969), ad esempio, pone innanzi al protagonista, Jean-Louis, una scelta di ordine morale tra la possibilità, incarnata da Maud, ma avvertita come fugace, e la necessità rappresentata da Françoise, sentita come assoluta, esauriente. Ed alla fine Jean-Louis sposerà in effetti Françoise da cui avrà una figlia; al contrario Vidal - l’amico di Jean-Louis che combina l’incontro con Maud - razionale e probabilistico (sua la citazione della scommessa di Pascal e della speranza matematica) vedrà svilite le sue speranze di successo con Maud.

Con questo non va inteso che Rohmer sia un "autore della certezza", quanto piuttosto della scelta morale; del resto anch’egli coltiva il seme dell’indeterminazione, dell’impossibilità di stabilire univoci nessi cognitivi. Lo fa tracciando traiettorie narrative differenti da quelle tracciate da K., ma anche per Rohmer ogni acquisizione, ogni raggiungimento non può che passare attraverso una scelta, cioè uno sperimentare il mondo stabilendo con esso un con-tatto, ossia comunicando.

Paolo Marocco in un saggio su Rohmer parla di "indeterminatezza del comprendere" e poi aggiunge "la visione, nel racconto rohmeriano è associata all’intuizione, alla grazia, alla predestinazione. Un fenomeno che il regista contrappone alla sicurezza del buon senso: infinitamente più instabile, il primo è però l’unico capace di restituire una logica alla contingenza e avviarla verso il giusto destino" [P. Marocco, 1996, 112]. A proposito del dubbio e della certezza lo stesso Rohmer afferma: "l’incertezza, questa è piuttosto dalla parte del soggetto" [Eric Rohmer, 1987, 13].

Anche per Robert Brésson vale il discorso sulla predestinazione fatto per Rohmer. Va sottolineato che esiste una grossa differenza fra i due autori e lo stesso K., soprattutto per ciò che concerne la messa in scena.

Consideriamo adesso le evoluzioni del caso nella filmografia bressoniana. Avviluppato tra predestinazione, caso e libertà individuale l’eroe bressoniano si dibatte per sfuggire alla morsa della solitudine. Riferendosi al suo film Au hasard Balthazar lo stesso autore dichiara: "La nostra vita è fatta allo stesso tempo di predestinazione e di caso (...), non avete nemmeno da scegliere" [Prèdal, 1998 ,39].

Ciò non implica un pacifico adeguarsi dell’individuo al suo destino consentendogli di sottrarsi all’incertezza, poiché "l’eroe bressoniano non può affatto sperare di trovare nel cielo i segni, appunto, del suo destino" [ibidem, 41].

Se K. coltiva la speranza della possibilità di comunicare, per Bresson si può parlare "sintetizzando in qualche modo una frase di Amédée Ayfre, di Miracolo della Comunicazione" [ibidem, 33].

Per Bresson un ponte, una scala, sono strutture che avvicinano ma che allo stesso tempo allontanano: i suoi personaggi oscillano tra questi due poli riuscendo a trovare, con grossa difficoltà, soltanto un precario punto d’equilibrio.

Si tratta di un momento: un istante dopo essi si ritrovano distanti seppur protesi verso un nuovo equilibrio, frustrati nella loro voglia di stabilità. "Si tratta di esseri chiusi in se stessi che riescono per una volta con difficoltà, a comunicare con l’altro. La cosa è talmente straordinaria che rappresenta l’evento sufficiente a riempire un’intera vita [...] Queste personalità dure si concedono poco […] ma quando riescono a comunicare, lo fanno così intensamente che lo scambio acquisisce l’aspetto di una vera comunione. La comunione delle anime rappresenta in Brésson il solo rimedio all’incomunicabilità, ma è tanto eccezionale quanto l’incomunicabilità è, invece, generale" [ibidem, 33].

Questa "comunione delle anime", rappresenta quell’elemento comunicativo, quel "sostrato metafisico", di cui K. va alla ricerca e che costituisce l’unico strumento di salvezza per l’eroe kieslowskiano.

Parlare di un eroe kieslowskiano, di un eroe-tipo all’interno della trilogia è operazione assai azzardata. I protagonisti del Decalogo, ad esempio, sono accomunati da un medesimo destino che pone fine alla loro incapacità di stabilire un con-tatto propositivo all’interno di relazioni interpersonali.

L’elemento drammatico s’impone sin dall’inizio, oppure incombe inevitabile: in ogni caso nulla è dato ai protagonisti per sottrarvisi, sono costretti ad una lotta impari che li vede dimenarsi e scuotersi sino allo spasimo ma senza alcuna possibilità di vittoria. Per loro si pone l’interrogativo tragico classico: "a chi e a che cosa è necessario questo sacrificio?" [Lukàcs, 1977, 12].

Nonostante tale tragicità si imponga anche nell'incipit di Film blu con l’iniziale incidente stradale, tuttavia Julie fallisce nel suo tentativo di suicidio in ospedale. Ella non è in grado di compiere quel gesto tragico, conformandosi piuttosto alla tipologia dell’eroe ottocentesca elaborata da Lessing e Schiller in cui "l’eroe si evolve, si sviluppa continuamente ma si arresta prima di compiere il passo decisivo; e la tragicità, implicita nella direzione medesima della sua tensione, è per questo personaggio Erlebnis unica e sostitutiva di qualunque altra esperienza: tutte le energie, tutte le possibilità d’azione si spengono in lui ancor prima che egli possa agire" [ibidem, 25].

Le Erlebnisse, cioè "quelle esperienze vissute, che si siano già precisate nei loro contorni e siano assurte a consapevolezza" [ibidem, 1], sono, da un lato "l’infrangersi dell’ideologia contro l’imprevedibilità e l’eterna irrazionalità degli accadimenti, dall’altro lato il fallimento dell’egoismo cieco" [ibidem, 17].

Nello specifico Schiller parla di "arbitrio dispotico", ossia ciò "che considera tutti gli uomini e tutti i rapporti umani puri mezzi per il perseguimento del fine individuale e che non lascia trasparire niente degli altri, della loro vita particolare, della loro umanità o, se li degna di uno sguardo, non consente loro di manifestarsi"[ibidem, 17-18].

È ciò che accade a Julie: trovatasi di fronte all’immanenza della realtà cui non riesce ad adeguarsi, la donna si soffoca in quello che Schiller definisce, appunto, "arbitrio dispotico", riducendo ogni rapporto umano alla mera funzionalità di cui esso è latore, senza alcun coinvolgimento emotivo.

Di questa natura è, ad esempio, il rapporto sessuale che Julie ha con Olivier: ella gli si concede allo scopo di deluderlo in modo che la dimentichi.

L’eroe di Film bianco - Karol - si avvicina alla tragicità seguendo un diverso percorso. Anche in questa occasione l’asimmetria tra reale ed ideale costituisce l’esperienza fondante la tragicità del protagonista - la richiesta di divorzio della moglie che Karol continua ad amare; tuttavia nessun elemento veramente tragico si impone dall’esterno come inevitabile. Al contrario, l’eroe kieslowskiano avverte in questo caso, come non mai, quanto una sola parola, un "sì" di Dominique, potrebbe cambiare il corso di tutte le cose.

Così l’elemento tragico, l’interrogativo "a chi e a che cosa è necessario questo sacrificio?" giunge solo alla fine quando Karol decide di consumare sino in fondo la vendetta nei confronti della moglie. Stavolta l’eroe kieslowskiano non esita, non balbetta; anzi, va fino in fondo verso l’auto-sacrificio e l’espiazione.

Una ulteriore e dissimile manifestazione dell’elemento tragico emerge in Film rosso. Qui, a differenza delle precedenti occasioni, la tragicità sembra portare con sé non già sconforto, sofferenza ed espiazione, quanto, lo schiudersi di una possibilità di salvezza per i protagonisti: il naufragio del traghetto costituisce un elemento di rottura (soprattutto se contrapposto all’esplosione conclusiva del Decalogo), che consente all’eroe kieslowskiano di avvertire l’ala salvifica del destino sfiorare la sua vita.

Il caso si presenta, col peso della sua tragicità, esterno alla volontà dell’eroe keslowskiano il quale, suo malgrado, non può che adattarvisi. Tuttavia tale adattamento, tale modo di porsi di fronte agli eventi, costituisce un elemento di dissonanza da film a film.

In Film blu il caso si manifesta come un evento del tutto inatteso, fortuito; una sensazione questa, che si impone sin dall'inizio: è per puro caso che Julie non muore nell'incidente stradale col marito e la figlioletta. Ma quell'evento di per sé positivo, segnerà il punto di massimo dolore e pena per la donna.

Successivamente, sarà altrettanto per caso che Julie verrà a conoscenza dell'esistenza dell'amante del marito, tramite la visione di alcune foto che fortuitamente Oliver trova nell'ufficio del compositore scomparso. Questo evento, contrariamente al precedente, è di per sé negativo, eppure è quello che consente a Julie di riavvicinarsi in qualche modo alla vita seppur con la triste consapevolezza che quanto di più caro aveva è ormai perduto per sempre, e che il suo tentativo di isolarsi nel dolore, tacitando ogni stimolo esterno, è del tutto inutile.

In entrambe le circostanze, dunque, il caso si manifesta come rivelatore ed orientatore della condizione umana, come, cioè, soggetto attivo nella costruzione della storia.

A differenza di Film blu, in Film bianco il caso pur essendo un fattore esterno che traccia la parabola delle disavventure umane del protagonista, Karol, tuttavia esso è come invocato, chiamato a decidere in maniera del tutto razionale da Karol.

L'uomo cerca di scrollarsi di dosso il gravoso peso della vendetta che sta tramando, tentando di trovare nel caso un complice, una spalla: Karol affida alla sorte, al caso appunto, la sua decisione di uccidere o meno l'uomo che lo pagherà per questo (e che risulterà poi essere l'amico Micolaj), e lo fa lanciando una moneta, facendola roteare sul tavolo, bloccandola ed interrogandola poi con lo sguardo attento e scrutatore.

Qualcosa di simile accade anche in Film rosso, in cui la protagonista, Valentine, affida alla casualità della slot machine la risposta sull'andamento della sua giornata.

Si tratta di due momenti in cui K. sembra divertirsi con l'alea, con tutto ciò che è indeterminabile, frutto della contingenza, stuzzicando, evocando il caso volontariamente, una volta presa consapevolezza che non se ne può, in ogni modo, prescindere.

In Film rosso, tuttavia, le componenti del caso sembrano a loro volta giocare, divertirsi alle spalle dei protagonisti, lasciando che più volte le loro strade, il loro vissuto si avvicini, si sfiori senza incontrarsi mai, o quasi.

È soprattutto la conclusione di Film rosso, che costituisce il finale ideale dell'intera trilogia, a rappresentare l'esempio maggiormente significativo in tal senso: il traghetto in cui si sono imbarcati Valentine ed Auguste - separatamente e per differenti ragioni - affonda. Delle centinaia di passeggeri si salvano alla fine soltanto in sette: un marinaio, ed i protagonisti dell'intera trilogia, cioè Julie e Oliver, Karol e Dominique ed in fine Valentine ed Auguste.

In una sorta di nuova alba del mondo K. vede nei suoi protagonisti, che infine hanno deciso di scegliere l'Amore, l'unica speranza di salvezza realizzabile per l'umanità: salvezza da quel sentimento del naufragio di cui sembra essere vittima.

K. vede per questo in quei protagonisti una storia da narrare, partendo proprio dal caso che li ha salvati facendoli assurgere a personaggi significativi: "Alla fine del film, noi guardiamo quelle persone che si sono salvate e diciamo: 'È una coincidenza che si siano salvate quelle persone e non altre'. E quindi: perché abbiamo raccontato queste tre storie, di Blu Bianco e Rosso? Perché quelle persone si sono salvate. Come ognuno di noi al mondo, anche loro meritano un'ora e mezzo di attenzione"[Kieslowski in Fabbri, 1997, 320].

Ancora una volta K. chiarisce che solo a-posteriori è possibile attribuire senso a quegli eventi che il caso ha, con maggiore o minore veemenza determinato, e che costituiscono quel mistero di cui la nostra esistenza si nutre.

Sergio Mangano

 

Note

1Il termine con-tatto si riferisce ad una specifica accezione del termine comunicazione inteso come capacità degli interlocutori di "render comune". Confrontare col paragrafo 2.8. Comunicare secondo Kieslowski.

2 "Ces etres qui voient, se touchent, se parlent, mais leur communication reste toujours un miracle un veritable saut dand l’inconnu" [A. Ayfre, L’univers de R. Bresson, "Télé.-Ciné" n. 70-71].

3 K. nella sceneggiatura originale del Decalogo aveva previsto come conclusione l’esplosione del condominio in cui si svolgeva l’intera vicenda. 

Riferimenti bibliografici

Fabbri M.
(a cura di) Tre colori: blu bianco rosso, Bompiani, Milano. 

Lukàcs G.
La genesi della tragedia borghese da Lessing a Ibsen. Il dramma moderno
, Voll. 2, Sugarco, Milano. 

Marocco P.
Eric Rohmer
, Le Mani, Genova. 

Predal R.
Tutto il Cinema di Bresson
, Baldini&Castoldi, Milano.

Rohmer E.
1987 (in) "Cahiers du cinèma", n. 382, febbraio.