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T.A. - Tuta Antivaccate
immersioni spericolate nel ridicolo

Puntata doppia:
"l'autoevirazione di De Laurentiis" e "paura al cineclub"

Sto cominciando a provare assuefazione alla tuta antivaccate. Credo che provochi anche una caduta delle difese immunitarie, perché si fa in fretta ad abituarsi al filtro e quindi si rimane più esposti nei momenti in cui ci si rilassa, spogliandosi delle difese in lattice. E ho attivato pure l´opzione "sopravvivenza" (su cui c´è molto riserbo da parte dei progettisti)

Provo quasi una simbiosi con lei, mi sento protetto; quasi come la cinematografia italiana: una zona protetta, come la provincia di tutti i film di Starnone; al suo nome la tuta va in fibrillazione e fornisce sul monitor interno un elenco particolareggiato degli stereotipi con a fianco l´incidenza in percentuale di ciascuno nelle sue sceneggiature. Appare persino il centinaio di possibili trame ottenibili con i soliti tre-quattro cliché partoriti dalla sua onanistica adolescenza, scontata nella profonda provincia italica e mai conclusa. Per compensare ed evitare il surriscaldamento, la tuta ad ogni sequenza inserisce brevi spezzoni di Comizi d´amore di Pasolini, come succedaneo, puro metadone.

Viviamo un periodo in cui tutto passa attraverso attività prandiali: dalla surrealista cacca di Luttazzi al cervello di maleducato farcito di capperi di Hopkins sembra che la nuova libidine italica passi attraverso una fase orale che la fregola da censura fascista o falsamente moralista ("l´etica deve essere senza fede, sennò diventa obbedienza", ha fatto in tempo a dire il martire Luttazzi e poi è stato bruciato sul rogo mediatico) tende a punire e solo una buona tuta permette di sopravvivere alle vaccate di Mario Landolfi o della filmauro. De Gaudentiis mi ha infatti colto impreparato, mentre mi sfilavo la tuta ("Cessato pericolo" campeggiava erroneamente sul display) alla notizia che il film di Ridley Scott non avrebbe subito alcuna censura. I bacchettoni americani si erano già dati da fare per uniformarsi al nuovo corso "double-u" Bush, negando la visione di Hannibal Lecter ai minori di 17 anni. Stupore, dunque, allorquando nell´Italia papista appena post-giubilare non si era intervenuti contro i banchetti totemici; era una trappola. La perversione era in agguato: il censurando graziato chiede lui stesso di venire sottoposto masochisticamente al trattamento dell´Inquisizione; nemmeno Loyola avrebbe ideato una tale tortura (e la tuta si eccita immediatamente a vedere quanti film su D.A.F. de Sade sono stati sfornati nell´ultimo anno: tutti lontani dallo spirito trasgressivo del marchese e la mia immediata associazione di idee tra l´occhio spento di Auteil-Sade e Leconte ispira alla tuta una scudisciata di richiamo alla realtà, che mi tramortisce più dei coltelli di Fiorello-Infostrada-Ragazza-sul ponte); a questo punto manca solo Fourier per completare la trilogia barthesiana.
Tagliarsi i coglioni da soli o furba manovra pubblicitaria? Nuova forma innovativa di perversione che fa impallidire i luculliani pranzetti di Luttazzi, oppure squallido calcolo? La tuta ha cominciato a farsi largo in questa nebulosa falsificazione della realtà, esaltando la coprofagia del ginecologo romagnolo rivelandone la genuinità rispetto al resto che mi circondava in quel momento... Ma cosa avevo attorno?

L'ho appena pulito. Ma allora l'odore viene da fuori: la puzza di Landolfi arriva fino a qui? O è Le Pen?

Appunti sparsi di Together che avrebbero dovuto produrre una recensione per il database, abortita per eccesso di disgusto; le note relative al film di Guediguian, che ho postato in lista, la lotta con le quali aveva prodotto ampi squarci nella tuta, soprattutto perché inzaccherata dagli spruzzi di supponente certezza di conoscere e avere i mezzi di divulgare le condizioni di vita di tutti i marsigliesi, di farsi carico di tutti i malesseri della società neo-liberista francese; ma soprattutto stavo provando la schizofrenia di chi si trova in un luogo, un cineclub - praticamente un tempio dal punto di vista della tuta -, in cui ci si aspetterebbe di trovare una rispondenza alle proprie aspettative e si rimane inopinatamente sorpresi dall´adesione in massa alle peggiori vaccate.
La scorsa settimana in quello stesso cineclub di Collegno furono proiettati tre ottimi film. Intelligenti, originali, capaci di meditare sul proprio linguaggio, in grado di testimoniare come le forme della reazione fascista siano uguali ovunque e adottino gli stessi dogmi, nascosti dall´oppressione religiosa e dall´auto-flagellazione del branco; diversamente epici. Africani, purtroppo, e dunque "invisibili", come i janitors. In sala la presenza superava di poco il centinaio di soci (su un totale di quasi novecento) ogni sera. In tutt´e tre i casi la tuta è rimasta riposta nell´armadio: era inutile, anzi sarebbe stata scomoda, inoltre doveva riposarsi in vista delle terribili prove che l´attendevano sulle terrazze popolate da intellettuali provenzali petulanti (già dileggiati da Vigo con ben altri risultati nella vicina Nice) e nelle comuni svedesi accecate dalla grettezza degli autori con la medesima sindrome dei nostri registi ombelicali, che quando recuperano la loro adolescenza l´ammantano di quell´aura becera capace di confondere le menti e solo una robusta tuta consente di scremare le vaccate dalle (sporadiche) opere d´ingegno.

Ed infatti il nemico era in agguato: Tutto l´amore che c´è, ripescato proditoriamente dalla solita sezione italiofila del cineclub. Sala stracolma entrambe le serate della inaccettabile descrizione a memoria di una provincia da rotocalco, che gioca sull´assenza di reale memoria, limitata a episodi singoli vagamente riconoscibili per i protagonisti attempati, a quell´epoca adolescenti, ma ai quali nessuno avrebbe dato un´interpretazione tanto machista, bozzettista, compiaciuta. "Italian graffiti" borbottava la tuta in un gorgoglio che non prometteva nulla di buono: infatti ha retto per soli venti minuti, facendo resistenza attiva e rimbeccando le singole vacue battute in irresponsabile presa diretta, poi, attivando l´opzione "sopravvivenza", mi ha alzato di peso e mi ha proiettato fuori della sala. Lei stessa, come un´indemoniata ha raggiunto alcuni dei responsabili di quella sciagurata scelta e ha cominciato tramite la mia bocca a vomitare improperi irripetibili (forse condizionata dal personaggio di Molotov, un Depardieu devastato dal contatto con Rubini): la maniera di Starnone aveva trovato un valido amplificatore nella coppia Rubini-Buy e l´effetto era disastroso. Al confronto La guerra degli Antò appariva un capolavoro. a quella dotta citazione i livelli di allerta del lattice ormai arroventato che mi proteggevano inviavano il segnale per scatenare la procedura di recupero psicologico, evidentemente ci eravamo spinti troppo oltre nella visione degli squallidi scherzi sulle giostre e per difesa eravamo portati a trovare nella memoria cinefila raffronti vicini all´abisso a cui lo schermo ci inchiodava: seguire le frustrazioni segaiole di un gruppo di adolescenti degli anni 70 può essere letale per una mente già provata da Guediguian.

La tuta proletaria illuminava l'aria. La fiaccola dell'anarchia - Spero che con queste pietre ci lapidino e la facciano finita

E persino Together sembra avere qualche intenzione di oltrepassare le vacue conferme della condanna che ciascun borghese vorrebbe sentire pronunciare su un periodo costellato unicamente da dogmatismi in salsa Abba, inserendo deliri su Pippi Calzelunghe per sancire la nostalgia della normalità come giusta causa per la distruzione dell´utopia vista dall´interno, ma di nuovo deturpata dagli occhi autobiografici di bambini malati di una miopia già allora manifesta fisicamente (e poi esplosa con lo sguardo della memoria): la tuta come primo succedaneo ripropone - quasi fosse una cura Ludovico - l´Internazionale versione La ville est tranquille, ricreando gli anticorpi utili a richiamare a paradigmi di realtà i nostri sbandamenti e le pulsioni che ci spingerebbero a rifugiarci in dosi massicce di Dennis Hopper. Il film scandinavo ha strane parentele con quello di Rubini: stesso periodo mal ricostruito, stessi meccanismi di complicità e antagonismo, stessa morbosità sessuale: solo che da un lato si tratta di liberazione abortita, dall´altro di repressi cronici. Se non dovesse bastare, la nostra fida protettrice è pronta a stimolare un acuto dolore di Denti, per convincere i più riluttanti e smemorati che la coppia Starnone-Rubini può essere letale, ma curiosamente solo se ingerita a piccole dosi: perché si riconosca la pericolosità di scempiaggini simili bisogna intossicarsi, subire come verità inappellabili le assicurazioni di responsabili di cineclub - per fortuna la tuta è sempre attiva - che affermano: "Era proprio così nella provincia degli anni 70!". E chi se ne frega risponde la tuta tra i conati da Esorcista: facciano un documentario con immagini di repertorio (come almeno fa il marsigliese nell´unica sequenza visibile senza protezione: quella autentica di vent´anni prima con gli stessi attori - a quanto pare emulata da Breillat con Laura Betti, nell'ultimo A ma soeur) e non ci ammanniscano un succedaneo di trama per inanellare il peggio della sintesi dei ricordi di un branco di cinquantenni in piena crisi di inadeguatezza al mondo, iniziata trent´anni fa in una comune di Stoccolma, dilaniata dallo stesso infantilismo della provincia pugliese.

Che sia questa la merda, quella ricetta omeopatica che il ginecologo Luttazzi ha cercato di prescriverci, rivelandoci l´unico modo di consumarla?
La tuta con minor truculenza mi ha propinato un antidoto: in automatico ha inserito sul visore interno alcune sequenze di Histoire(s) du cinéma, riconciliandomi con il mondo delle immagini. Gradualmente lo sgradevole odore scatologico esalato da certe produzioni e rilevato dalla tuta, sensibilissima a certi miasmi, si andò attenuando nell´escatologia godardiana. Ritonificato dall´antidoto posso cominciare l´operazione di rieducazione: però per spazzare via dalla programmazione del cineclub di Collegno proposte così scellerate è indispensabile nuova linfa, nuovi soci che spostino le scelte, restituendo il ruolo del cineforum al suo scopo culturale. Forniti di tuta per riconoscerci e non sentirci soli tra spettatori inconsapevoli e bisognosi degli occhiali di They live di Carpenter, antenato della nostra tuta, per riconoscere gli alieni malati di fellinismo andato a male possiamo costituire lì un primo nucleo di resistenza alle vaccate che ci assediano.