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Gli ultimi tre giorni di Alberto Sordi
6. Snob dei Nuovi Mostri
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liberamente tratto da
Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa
di Antonio Tabucchi

                                                                                              25 febbraio 2003

 

1.. - La commedia all'italiana nei panni dello snob dei Nuovi mostri penetra la stanza di Sordi.
L'uomo che entrò era un vegliardo dalla nobile figura, con un'enorme barba bianca e una tunica romana lunga fino ai piedi, anch'essa bianca.
Ave o sodale, disse il vegliardo, mi permetto di penetrare nei tuoi sogni.
Sordi accese la luce sul comodino. Guardò il vegliardo e riconobbe lo Snob. Gli fece cenno di venire avanti, accomodò la testa sul cuscino e fece un gesto rassicurante. Vi ho conservati in un baule. È un baule pieno di gente, ormai, perché i personaggi fanno fatica a starvi dentro.
La invidio, disse lo snob, lei ha avuto dei momenti felici. Ma mi ha anche lasciato un'eredità di non poco conto: da lefevriano non potevo lasciare in agonia l'investito e, sempre da cristiano, mi sono ritrovato al punto di partenza, all'incrocio dell'investimento e l'ho dovuto lasciare lì, per compiere il cerchio che si chiude, una meschinità degna della nobiltà nera romana, di nuovo il grottesco a offrire un alibi all'atrocità dei personaggi che la sua interpretazione umanizza e così ci costringe a proseguire nella nostra danza macabra di privilegiati che, anche non volendo, siamo incapaci di gesti di solidarietà, peggio dei venditori di bambini di Miracolo a Milano. Queste particelle infinitesimali che sono il nostro corpo di ora, dopo torneranno nel ciclo eterno e saranno acqua, terra, fertili fiori, piante, la luce che dà la vista, la pioggia che ci bagna, il vento che si scuote, la neve candida che ci avvolge con il suo manto in inverno. Noi tutti ritorneremo qui sulla terra, o grande Sordi, nelle innumerevoli forme che vuole la Natura, forse è per questo che alla fine del giro panoramico per gli ospedali abbandonai il ferito per strada.
È ora di lasciare questo teatro d'immagini che chiamiamo la nostra vita, sapesse le cose che ho visto con gli occhiali dell'anima, ho visto i contrafforti di Orione, lassù nello spazio infinito, ho camminato con questi piedi terrestri sulla Croce del Sud, ho attraversato notti infinite come una cometa lucente, gli spazi interstellari dell'immaginazione, la voluttà e la paura, e sono stato uomo, donna, vecchio, bambina, sono stato la folla dei grandi boulevards delle capitali dell'Occidente, sono stato il placido buddha dell'Oriente del quale invidiamo la calma e la saggezza, sono stato me stesso e gli altri, tutti gli altri che potevo essere, ho conosciuto onori e disonori, entusiasmi e sfinimenti, ho attraversato fiumi e impervie montagne, ho guardato placide greggi e ho ricevuto sul capo il sole e la pioggia, sono stato femmina in calore, sono stato il gatto che gioca per strada, sono stato sole e luna, e tutto perché la vita non basta. Ma ora basta, vivere la mia vita è stato vivere mille vite, sono stanco, la mia candela si è consumata.