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57ª Mostra Internazionale del Cinema
di Venezia

Intervista a Tsui Hark

Il ritorno della magia

Brevi appunti di un viaggio nel fantastico

Cercare di riassumere in queste poche righe (che altro non vogliono essere se non una breve introduzione del personaggio geniale, che a Venezia ha presentato il suo ultimo film Time and Tide, e con il quale ho avuto l’onore di trascorrere un piacevole pomeriggio parlando esclusivamente di cinema, trascurando per una volta il temibile e temuto gossip hollywoodiano) la vita ed il percorso formativo e lavorativo di Tsui Hark è un tentativo forse azzardato, ma sicuramente una sfida, uno stimolo ad attuare interessanti ed inconsueti parallelismi fra i vari piani di analisi, poiché egli più di qualunque altro regista di Hong Kong è riuscito a fondere vita privata e retaggio culturale, dando vita ad opere uniche, irripetibili… una combinazione di meraviglia, ingenuo stupore, rispetto religioso e amore per i classici della letteratura cinese.

Nato nel 1951 in Vietnam (altre fonti segnalano Canton come luogo di nascita, ma il regista non ha mai confermato questo dato), inizia a coltivare molto presto la sua passione per il cinema, girando già a 13 anni i primi film in 8 mm. Si trasferisce, con la famiglia, nel 1967 a Hong Kong, e terminato il liceo prosegue i suoi studi in America, frequentando corsi di cinema nelle università di Dallas e Austin (Texas). Rientrato nel 1975 nella sua patria adottiva, Tsui Hark si dedica con successo alla televisione, producendo un serial molto amato dal pubblico, Gold dagger romance, tratto da un romanzo di Gu Long.

Ben presto però abbandona una carriera di successo per dedicarsi alla regia e gira il suo primo film, The butterfly murders, un’opera magnifica, un noir che stravolge i codici tradizionali del genere avventuroso, coniugando l’azione a scene classiche di gongfu e ad espedienti davvero riusciti. Il film è un insuccesso, ma la critica osanna Tsui Hark definendolo uno dei massimi esponenti della cosiddetta Nouvelle Vougue hongkonghese, per il suo talento, per la padronanza magistrale delle tecniche formali e per la sua estetica moderna e creativa. Nei due film successivi perfeziona il suo stile e inizia uno sperimentalismo visivo e visionario che caratterizzerà le sue opere più riuscite e che si concretizza in una concezione audace della messa in scena e della fotografia, nell’introduzione di straordinari effetti speciali (che ai nostri occhi appariranno come ingenue trovate, ma che gli sono valsi numerosi premi e riconoscimenti), nella magia che pervade le immagini, nella fusione di azione e sentimento, fantastico e wuxiapian (i corrispettivi cinesi dei nostri film di cappa e spada).

Film come Zu, warriors from the magic mountain, Peking Opera blues, Swordsman, Once upon a time in China, Green Snake, The lovers e The blade hanno l’enorme pregio di far sì che la fama di Tsui Hark raggiunga anche l’Europa e l’America e rappresentano nello stesso tempo i risultati più alti della sua opera di regista…ironia, erotismo, una stupita curiosità, il mistero, uno stile suntuoso e mirabolante, una cura maniacale del montaggio ed un’attenzione costante alla fotografia, che vagamente ricorda alcuni paesaggi della pittura tradizionale cinese, lo sperimentalismo, il continuo tentativo di attuare in una forma perfetta ed esemplare le trasposizioni cinematografiche di novelle fantastiche o antiche leggende (in primis, A chinese ghost story, tratto da una novella di Pu Songling, scrittore cinese di epoca Qing, 1644-1911) sono solo alcune delle qualità distintive che caratterizzano la sua produzione cinematografica.

Tsui Hark, all’interno dell’industria cinematografica di Hong Kong, è l’artefice di un percorso estatico ed incantevole, raffinato cultore delle immagini, erede di mille tradizioni

Filmografia

Regia

Butterfly Murders, 1979
We are going to eat you, 1980
Dangerous encounter/ Don’t play with fire, 1980
All the wrong clues (for the right solution), 1981
Zu, warriors from the magic mountain, 1983
Mad Mission 3 (Aces go places: Our man for bond), 1984
Shanghai blues, 1984
Working class, 1985
Peking Oera blues, 1985
A better tomorrow 3: love and death in Saigon, 1989
The master, 1989
Swordsman, (in cooperazione con King Hu e Cheng Xiaodong), 1990
Once upon a time in China, 1991
King of chess, (diretto con la collaborazione di Yim Ho), 1991
The raid, 1991
The banquet, (diretto con la collaborazione di Clifton Ko), 1991
Twin Dragons (diretto con la collaborazione di Ringo Lam), 1992
Once upon a time in China 2, 1992
Once upon a time in China 3 , 1993
Green Snake, 1993
Once upon a time in China 5, 1994
The lovers, 1994
The chinese feast, 1995
Love in the time of twilight, 1995
The blade, 1995
Tri-Star, 1996
Double Team, 1997
Knock off, 1998

Produzioni

1986: A better tomorrow (John Woo), 1986
1987: A better tomorrow (John Woo), A chinese ghost story (Cheng Xiaodong)
1988: The big heat (Johnnie To e Andrew Kam), The diary of a big man (Chu Yuan), Gunmen (Kirk Wong), Laserman (Peter Wang), I love Maria/ Roboforce (David Chung)
1989: The killer (John Woo), Just heroes (John Woo e Wu Ma),The terracotta warrior (Cheng Xiao Dong), Web of deception (Cheng Xiaodong)
1990: Spy games (David Wu), A chinese ghost story 2 (Cheng Xiaodong)
1991: A chinese ghost story 3 (Cheng Xiaodong)
1992: Swordsman 2 Cheng Xiaodong), The wicked city (Mak Tai Kit), New dragon inn (Raymond Lee)
1993: Swordsman 3: The east is red (Raymond Lee, Cheng Xiaodong)
1994: Iron Monkey (Yuen Woo-ping), The magic crane (Benny Chan), Once upon a time in China 4 (Yuen Bun), Burning Paradise (Ringo Lam)
1996: Black mask (Daniel Lee), Shanghai grand (Poon Man Kit)
1997: Once upon a time in China and America (Sammo Hung), A chinese ghost story: The Animated Movie (Andrew Chan)

 

Intervista

Il tuo ultimo film come regista, Knock Off ("Colpo su colpo"), risale al 1998. Un’attesa dunque durata due anni e poi, finalmente, la tua partecipazione ad un evento importante, quale la Mostra Internazionale del cinema di Venezia.

"Ho accettato di venire a Venezia perché mi veniva offerta la possibilità di soggiornare in questa città meravigliosa (sorride, ndr). In realtà, ho deciso di concentrarmi nella mia attività di produttore, visionando e dirigendo numerosi progetti".

Hai appena citato il tuo impegno in qualità di produttore, se dovessi scegliere fra questo ruolo e il lavoro di regista?

"Fare film è un’occupazione molto divertente e stimolante, di contro l’attività di produttore è molto impegnativa, stancante, a volte noiosa; io, senza dubbio, mi ritengo un regista, ma non posso negare che devo sopperire alla continua necessità di soldi per poter realizzare i miei film, e questo avviene grazie alle mie vesti di produttore".

Seguendo un percorso comune ad altri registi di Hong Kong (in primis John Woo), questo film, che segna il tuo ritorno in patria, appare più fresco ed energico rispetto alle esperienze americane. Cosa non ha funzionato in America?

"Non sono in grado di trovare delle risposte adeguate a questa domanda. Ritornando ad Hong Kong, ho cercato di rompere con il passato, di provare nuove strade, ma anche di rispettare le esigenze del pubblico. Con The Blade credo di aver raggiunto un livello di saturazione espressiva nei confronti degli spettatori; non mi sembra, quindi, corretto proporre sempre lo stesso genere. Si deve avere il coraggio di osare, anche se è ormai evidente come il pubblico sia irrimediabilmente attratto dai film di azione, e io cerco di farlo portando sullo schermo delle situazioni di forte contrasto emozionale e formale".

Time and Tide può essere considerato come un classico del cinema d’azione, caratterizzato da un uso visionario della violenza, anche se numerose sono le citazioni provenienti dalla commedia sentimentale, prova ne siano alcune poetiche sospensioni del ritmo.

"Credo che in ogni film (anche nei più crudi e violenti) ci possa essere dello spazio per le tematiche sentimentali, che non devono necessariamente ridursi a legami amorosi (in questo caso, la storia d’amore o un evento unico ed irripetibile quale quello della nascita). E’ una sensazione difficile da spiegare per un regista, ma a mio avviso è fondamentale trovare delle soluzioni per le problematiche quotidiane o per i grandi dilemmi della vita. Se consideriamo il personaggio di Tyler, riusciamo a cogliere una situazione di soffocamento, di impossibilità di azione che sfocia in una crisi individuale e liberatoria che lo renderà responsabile e libero di seguire le proprie scelte".

È strano ritrovare all’interno del film un’apparenza di sottotesto cristiano: una tua personale esegesi della Creazione biblica e la metafora dei due neonati come redenzione finale e novella speranza.

"Non lo so, probabilmente è stata una spinta del mio inconscio, in quanto non era mia intenzione ricercare una qualche forma di salvezza interiore, in special modo attraverso la religione; io non ho una particolare fede, al contrario credo che alcune religioni con le risposte ai quesiti fondamentali dell’uomo non facciano altro che incrementare uno stato di confusione e di difficoltà".

Le tue opere sono spesse contraddittorie, ricche di elementi innovativi e nello stesso tempo intimamente legate alla tradizione.

"Gli aspetti che influenzano la mia vita e il mio lavoro sono molteplici e seguono vari piani e vari modelli; ciò che comunque resta sempre inalterato è il ruolo fondamentale rivestito dal valore (da non intendersi solo come eroismo, ma anche in senso più generale, o universale), che si trasforma nella necessità della dignità e della sopravvivenza".

E i tuoi personaggi?

"Nessuno di loro è pronto al cambiamento, vivono una situazione di stallo, di chiusura (e così si spiega il perché di molte scene in cui i protagonisti si ritrovano in trappola, senza alcuna possibilità di fuga), ma poi sono costretti a prendere delle decisioni, ad assumersi delle responsabilità, a diventare eroi involontari (ed il pubblico ha un continuo bisogno di ritrovare degli eroi, delle figure positive, che non devono necessariamente essere dalla parte della legge)".

Come si relaziona la violenza, il ricorso all’azione con questa ricerca?

"La ricerca di questo equilibrio, della via più appropriata di relazionarsi con gli altri avviene attraverso il superamento di momenti difficili, violenti, che però non risolvono altro se non i problemi più superficiali".

In Time and Tide, il ricorso al computer per la realizzazione delle scene più spettacolari sembra occupare un ruolo di primaria importanza (le esplosioni hanno sicuramente un incredibile impatto visivo ed emozionale, come le riprese aeree), a scapito della naturalezza di certe inquadrature che risultano così un po’ forzate.

"Effettivamente, 450 inquadrature sono state girate grazie alle più moderne tecniche grafiche e visuali; ma, contrariamente a quanto si possa immaginare, la scena a mio parere più mirabolante (quella dell’inseguimento aereo, lanciato) è stata girata in modo assolutamente reale, con l’aiuto di controfigure e anche con la partecipazione degli stessi attori (che sembrano essersi divertiti parecchio). E i problemi non sono stati pochi: il luogo delle riprese era un palazzo realmente abitato, per poter utilizzare tutti gli strumenti atti a girare la scena, è stato necessario rompere muri e finestre…e questo ha suscitato numerosi reclami da parte degli inquilini dello stabile. Di questi tempi, sarebbe assurdo immaginare di poter fare un film d’azione senza l’uso delle tecnologie più all’avanguardia e credo che, se in passato avessi potuto usufruire di questi strumenti, forse i miei film sarebbero stati diversi. Ma rimango comunque fedele ai metodi tradizionali e quando utilizzo il digitale, cerco di farlo in un modo originale, distintivo".

Al di là del lavoro straordinario compiuto sul sonoro e della prodigiosa energia visiva, sembra esserci un ulteriore lungo passaggio in studio.

"I tempi delle riprese sono stati relativamente brevi, circa tre mesi, mentre il lavoro di post-produzione è stato molto faticoso ed è durato otto mesi. In qualità di produttore, dispongo della più completa libertà di azione e vi sono varie dimensioni sulle quali poter agire, dalla sceneggiatura al montaggio, alla scelta delle musiche, che ormai non sono più in grado di trascendere. Cerco sempre di lasciare il mio tocco personale, di creare attraverso l’improvvisazione, anche in una fase fondamentale come quella del montaggio. Senza dimenticare che vi è sempre un duplice livello di lettura: forma e contenuto".

Si è molto parlato dei registi che hanno dato vita al tuo bagaglio cinematografico (Leone, Melville e Antonioni, ndr), quanto, invece, ha influito nella tua formazione di regista l’esperienza televisiva decennale?

"La televisione ti fornisce nuove attrattive, alcune sono piene di sostanza e possono funzionare, altre no. Al di là dei giudizi qualitativi, gli sceneggiati ed i film televisivi sono un modo di sperimentare nuove modalità espressive, nuove storie e ti forniscono le conoscenze basilari per poter fare cinema".

A Venezia hai ottenuto ampi consensi di pubblico e la collaborazione con la casa di produzione Columbia ti darà sicuramente la possibilità di farti conoscere dal grande pubblico, e per quanto riguarda i tuoi progetti futuri?

"Sto realizzando il sequel di Zu: Warriors frome the Magic Mountain, ambientato nella Cina degli anni ’40 e ’50; sarà un film immaginifico, popolato di streghe e di luoghi misteriosi, un vero fantasy. Inoltre vorrei portare sullo schermo un classico della letteratura erotica cinese antica, il Qing Ping Mei (in inglese è stato tradotto con il titolo The Golden Lotus), quello che ora posso affermare con sicurezza è che i personaggi incarneranno delle figure romantiche dei tempi moderni e che non sarà possibile né realizzare le riprese in Cina, né sperare di avere una distribuzione del film nel mondo cinese (visto il contenuto erotico del romanzo, ndr). Ora sto cercando di capire come devo utilizzare questo materiale, lo stile o il punto di vista rappresentano un passo successivo".

Sara Borsani


Archivio:
1998 - 1999

 

 

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