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Diario 3 - 4 - 5 settembre

Continua purtroppo l'agonia organizzativa di questa edizione del festival. Quasi tutte le proiezioni iniziano in ritardo; in alcuni casi, soprattutto la sera, i minuti persi superano l'ora. Il direttore Müller ha dichiarato che se si supera il week end (teniamo le dita incrociate) il problema sarà definitivamente risolto. La maggior parte di accreditati e pubblico maledice le norme di sicurezza. Alcune distinte signore hanno dovuto convincere scrupolosi addetti al controllo che gli oggetti personali nella borsa potevano essere introdotti in sala. Dopo il lettore ottico del badge l'incubo è di trovarsi scannerizzati dai raggi x come all'aeroporto. ai film.

P. S. di Dylan Kidd (Settimana della Critica) era abbastanza atteso, perché il primo film di Kidd, Roger Dodger, era insolito e graffiante e con un ritmo frenetico conduceva i suoi protagonisti in un'odissea del pensiero sessuale un po' iniziazione un po' fantasia e filosofia spicciola. Con P. S. Kidd continua a scrutare i suoi personaggi in modo penetrante. Alcune ossessioni erotiche in questo caso si traducono in modalità di vita che appaiono per molti aspetti più comuni rispetto alla precedente commedia. Peter (Gabriel Byrne) intossicato dal sesso che nasconde la sua doppia vita alla moglie Louise (Laura LInney). Quest'ultima appare sostanzialmente frigida fino all'incontro con l'apparente reincarnazione di un vecchio amore indimenticabile, l'amica Sammy, al contrario, è particolarmente calda dopo il tradimento del marito. La temperatura sessuale coincide automaticamente con la messa in scena del personaggio, che si articola attraverso le punte, gli eccessi assurdi dei caratteri con risultati non sempre brillanti. Gabriel Byrne, ossessionato dal sesso, appare fuori cast e il giovane Scott (Topher Grace) è fin troppo monoespressivo per gran parte del film. Poca crudeltà, insomma, rispetto a Roger Dodger.

Due parole sull'ultimo film di Spike Lee, She hate me (sezione Fuori Concorso). Un'opera del tutto deludente perché il soggetto è dall'inizio alla fine del tutto banale. Ma quel che è peggio è che Lee manca completamente di ironia. Cuce qualche gag volgare ed infine, cosa ancora più volgare, inserisce il pistolotto sugli scandali economici statunitensi con tanto di arringa fuori le righe (e vista mille volte) in tribunale. Altri imperdonabili difetti sono le interpretazioni di John Turturro e Monica Bellucci. Da dimenticare.

Un mundo menos peor (Un mondo meno peggiore) (sezione Orizzonti) di Alejandro Agresti riconduce i dolori del regime argentino responsabile dei desaparecidos ai fatti successivi. Alle eredità pesanti che travolgono l'intero popolo argentino. Anche il tema del riavvicinamento tra familiari ritorna sfruttando in primo luogo la bellezza dei volti di questi intensi protagonisti. Il cinema di Agresti sfrutta la semplicità di sguardi immediatamente catturati dall'intensità genuina degli interpreti, tutti bravissimi perché capaci di esprimere simultaneamente gioie e dolori, turbamenti e desideri, fantasmi e realtà, quiete e collera. Tutto ciò rappresenta l'immaginario di una realtà splendidamente autentica senza bagliori spettacolari.

Avrei voluto parlare a parte, oltre al film di Agresti, anche di Shije (Il mondo) (sezione Concorso) e Les revenants (I redivivi) (sezione Orizzonti), ma ragioni di termpo non me lo consentono. Shije è diretto da un regista giovane Ja Zhangke, rivelatosi con il primo lungometraggio Xiao Wu. Grandissima capacità di attraversare con lo sguardo realtà parallele, di scoprire le autentiche dimensioni vitali di personaggi sommersi dalla coltre neo produttiva postindustriale. La globalizzazione economica è stata soprattutto l'organizzazione delle icone e dell'immaginario del pianeta per lo sfruttamento postcapitalistico. I parchi a tema come in questo caso simulano Il mondo, lo adattano alle esigenze di intrattenimento. Si tratta di un'estrapolazione futuristico grottesca di luoghi e monumenti simbolo di un apogeo culturale che ha come obiettivo la supremazia occidentale dei Paesi “ricchi”. Nel parco a tema, il cui messaggio pubblicitario proclama la possibilità di vivere completamente il mondo senza allontanarsi da Pechino le coordinate vanno dalle Piramidi d'Egitto in Italia, tra Piazza San Pietro, la Torre di Pisa, Palazzo Pitti, fino alla Francia rappresentata soprattutto dalla Torre Eiffel oltre che da Notre Dame. Passando per Manhattan, dove uno dei personaggi, può ben dire, con tutta l'ironia del caso, che le Twins Towers sono ancora lì, mentre nella vera New York sono state abbattute...

Zhangke, attraverso la storia corale, descrive perfettamente l'altra faccia della simulazione: la presenza di immigrati dalla Russia, di emigranti all'interno della grande Cina dai piccoli paesi verso la città, Pechino, per continuare a sopravvivere. Mai banale la messa in scena è sempre frutto di alcune idee semplici, sempre visioni in progress che si accumulano e rendono l'intero film più che altro un caleidoscopio di tante sensazioni, di percezioni di esseri viventi occupati intensamente dalle cose della vita: amori, solidarietà, lavoro, amicizie.

Les revenants (I redivivi) di Robin Campillo non è un film perfetto, ma ha sicuramente molte caratteristiche apprezzabili per un soggetto dal difficile trattamento cinematografico, come quello dei morti viventi. Campillo non utilizza effetti speciali particolari se non alcuni effetti digitali per gli incendi nella città, né utilizza altri efftetti speciali per i corpi redivivi. La narrazione lavora soprattutto sulle ambiguità, la non sopportabile normalità di questo ritorno che non può certo essere organizzato come accade nel film. Proprio questa idea della preparazione al ritorno dei morti, al loro reinserimento in vita, al lavoro, agli affetti familiari è assolutamente paradossale. Con questo sentimento ambiguo e inquietante il film penetra in una sorta di non luogo filmico, nel senso che lo spazio ed il tempo sono risucchiati da una gelida astrazione dei fatti. Uno dei punti di forza è non aver descritto in altri luoghi il contemporaneo ritorno dei morti, come si fa nel 99% dei film che narrano eventi mondiali.

Nella sua totale astrattezza, nella sua inverosimile e sconcertante banalità, Les revenants è un oggetto curioso, per la sua totale unicità, forse tra qualche anno, un film di culto.Hong Kong Hu die (La farfalla) (Settimana della Critica) di Yan Yan Mak, una regista che ha lavorato con Wong Kar-wai ed ha già presentato a Venezia nel 2001 il suo primo lungometraggio. A parte il soggetto, la storia di un amore saffico, colpisce la eccezionale capacità di narrare su diversi livelli, inserendo inquadrature sgranate da video, descrivere emozioni sempre con un'idea visiva molto forte. La retorica principale del film consiste in una sostanziale liquefazione del tempo, che è sempre messo in scena come densità mnemonica. L'incontro finale tra le due vecchie amanti conferma questa intenzione di registrare, filtrare, un vissuto nella fiammeggiante soggettiva della protagonista Flavia, ma di restiturlo al fatto sociale, alla storia intera di una nazione.

Mysterious skin (Pelle misteriosa) (sezione Orizzonti) di Gregg Araki riesce a mantenere una libertà visiva pur col rischio di bruciarsi con un soggetto delicato, la pedofilia. Araki costruisce benissimo una sorta di doppia visionarietà attraverso i corpi dei due protagonisti. La brutalità concreta, pragmatica di Neil e la timidezza surreale di Brian, la quale si traduce in una deriva fantascientifica con tanto di UFO e testimonianze e visioni di alieni. Araki è uno dei pochi cineasti che riesce a fantasticare sulla carne, l'organismo umano si trasforma in una tastiera dove ogni tasto produce sensazioni spesso oscure che hanno bisogno di un ulteriore investigazione. Il lavoro su questi corpi giovani è senz'altro appassionante per il percorso sempre eccitante affrontato. Per esempio è interessante la tipologia degli amanti di Nei, ognuno dei quali garantisce un'atmosfera tumultuosa ed inquietante per il suo livello di alterità. Araki si diverte ad esplorare i territori della diversità dimostrandoci infine che sono assolutamente normali. I suoi personaggi angeli, dopo aver volato e sognato, riscoprono la realtà, così come probabilmente è veramente accaduta. Momento di rivoluzione e di evoluzione dei personaggi, ma anche di un cinema che sa articolare benissimo percezioni e vissuti, trasformandoli in aree di scopertà e libertà interiori.

Andrea Caramanna