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55ª Mostra Internazionale del Cinema
di Venezia
Alle recensioni

Ancora e sempre, emozioni
Mercoledì 9 e giovedì 10 settembre, Venezia

Gianni Ippoliti ha allestito delle bacheche dove si trovano frasi di ogni tipo, dalla citazione più raffinata al commento più sboccato. Dalla mattina di mercoledì balza all'occhio, sopra a tutte, questa: "Kurosawa è morto, Battisti è morto, e anche io non mi sento troppo bene". Il mondo dello spettacolo è così, chi va e chi viene. Lucio Battisti se ne va in silenzio, lontano dai riflettori, come del resto ha sempre vissuto. Nel cuore, ci rimangono le sue note, la sua voce, le parole che hanno accompagnato, per anni, le nostre emozioni.
La mia giornata al Lido inizia con un bel film rumeno, "Terminus Paradis" di Lucian Pintilie, con al centro una difficile e controversa storia d'amore, e una serie di belle immagini di un paese, e soprattutto di una realtà così diversa dalla nostra.
Nel primo pomeriggio, arriva il tanto atteso nuovo film di Woody Allen, "Celebrity", ed è di nuovo ressa, giornalisti che non riescono ad entrare, ritardi nell'inizio del film, lo spettacolo è anche fuori dalle sale, ma più passano i giorni più sembra somigliare ad un B-movie di quelli più scadenti. Per fortuna Allen è ormai una garanzia, e questo divertentissimo ed adattissimo (dato il contesto) film non fa eccezione: girato interamente in bianco e nero, con protagonista un effervescente Kenneth Branagh (presente anche alla conferenza stampa tenutasi il 10 mattina), "Celebrity" è una bella e salace riflessione sul mondo dello spettacolo, la sua volatilità e i suoi improbabili personaggi.

Emozioni. Il primo film della sera è "Così ridevano" di Gianni Amelio: un film su cui contavo molto, un film che mi ha davvero dato molto. Il rapporto tra i due fratelli protagonisti del film è quanto di più commovente, intenso e vero abbia mai visto sullo schermo da molto tempo a questa parte. Di nuovo l'Italia di ieri, come in "L'odore della notte", come ne "I piccoli maestri". Quella del dopoguerra, con le sue migrazioni interne, i suoi problemi occupazionali, il razzismo, la difficoltà di vivere. Un film bellissimo e profondo, incomprensibilmente fischiato dalla stampa (tanto che viene il sospetto che ormai vada assai di moda fischiare o stroncare i film italiani anche quando non lo meritano), a lungo acclamato, viceversa, dal pubblico nella proiezione di giovedì sera. Forse Tullio Kezich non ha torto, quando dice che stampa e pubblico dovrebbero vedere i film assieme.
La notte finisce con "Apt Pupil" di Bryan Singer, e con la rabbia di chi sa di aver visto perpetrare l'ennesimo tradimento nei confronti di Stephen King: una vera occasione sprecata per il regista di uno dei più bei film degli anni '90.

Emozioni, e sentimenti. Quelli, palpabili, del primo film in cui mi sono imbattuta stamattina, "Into my Heart" di Anthony Stark e Sean Smith. Storia d'amore e tradimenti, amicizia e difficoltà nei rapporti umani. Un commento beccato al volo definiva questo film "un Rohmer girato da un americano". Azzecatissimo.
Dopo qualche ora passata in sala stampa, tra una conferenza e l'altra, mi vedo un altro film americano in concorso, "Hurlyburly" di Anthony Drazan: un film troppo "parlato", in definitiva troppo teatrale per rendere davvero al meglio sullo schermo, ma con un cast talmente di qualità da fare la differenza. E poi via, in attesa del quarto film che è già entrato nel toto-leone prima ancora di essere visto, quello di Emir Kusturica...

Federica Arnolfo


 

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