"Mujeres españofonas"

1. Da el Cono Sur a la España y regreso
Los pasos perdidos, Las caras de la luna: Sinfonia desconcertante

Il film che ha riscosso il maggior succeso di pubblico è fatto da una uruguayana, trapiantata in Argentina per la persecuzione di cui la sua famiglia era fatta oggetto dal regime nazista. e poi profuga anche da lì in seguito all'allargamento della tenaglia voluta da Kissinger. E proprio l'estremo risultato di quell'epoca di orrori sta al centro della pellicola di Manane Rodriguez, Los pasos perdidos. Questo non fa che confermare l'ottimo stato di salute del cinema spagnofono che anche la distribuzione normale ( Lucìa y el sexo ad esempio)

Una storia terribile, che ricalca i "passi" degli Hijos di Bechis, ma con ancora maggiore carica derivante dall'aver seguito un caso di desaparecion di una bambina - ormai donna - direttamente presso amici. Ed è questo che viene maggiormente in rilievo: il fatto che ora quei bambini sono giovani cresciuti ed educati da torturatori nel credo fascista. La differenza con il film di Bechis è anche fatta dalle doti di recitazione degli attori che vivono su un altro pianeta rispetto alla Sandrelli.

Un aspetto che si apprezza del film è che si entra gradualmente nel dramma, senza avere fretta di introdurre la seducente figura del nonno, si dipana il racconto a partire dalla descrizione della vita dorata, con un po' di nostalgia tangueira, della famiglia alto-borghese, in dorata comunione apparentemente senza ombre; ed è dal sordido esterno che si comincia a intaccare. Dapprima con allusioni e poi lentamente insinuandosi non il dubbio, ma il passato negato che continua a esserlo, poiché non appartiene alla protagonista... se non in picoli gesti (la manina d'antan utile per provocarsi sollievo dai pruriti, abitudine ereditata dalla vera madre è un gesto prolettico sottolineato con garbo e con valenze metaforiche: grattare via fastidi), in improvvisi flash di ricordi che emergono dalla montagna di memorie "fittizie" (ricordate l'aggettivo usato da Michael Moore alla cerimonia degli oscar per definire l'orrore ultraconservatore rappresentato da quell'inetto bamboccio di George W. Bush?) costruite dai torturatori, che urgono a livello subliminale al punto da diventare bisogno di fissarle su un foglio da disegno.

Non rimane impressa subito la scatola che contiene il passato mai esistito di Monica, ma di fronte al suo smarrimento quando comincia a dubitare e ad aggrapparsi a quelle bugie. diventa uno degli oggetti su cui si appunta l'attenzione discreta della macchina da presa, lasciando che il nostro sguardo parallelo - ma già fatalmente più consapevole di Monica - trascorra su superfici e foto e immagini che rimandano alla emersione del passato attraverso oggetti primari, elementari, magari insignificanti e che traggono senso dal loro valore di interruttori che accendono una luce nuova sul fondamento su cui si basa la vita della ragazza, la famiglia.
Diventa struggente il suo attaccamento alla famiglia che ha plagiato la sua vita e che dapprima riesce attraverso le abitudini di tutta una vita a conservare ascendente e complicità con la sua vittima, ma poi, anche grazie a una paziente ricostruzione che non si affretta a introdurre tutti gli elementi, ma anzi propone come punto essenziale la gradualità, si tiene per il finale il distacco dalla famiglia fascista e il riavvicinamento con il nonno - uno strepitoso Fernando Lippi - che però non viene risolto esplicitando completamente l'accettazione (da parte di entrambi!) della possibilità di riconoscersi come "parenti", che diventa un termine superiore a quello banale che unisce persone casualmente consanguinee: qui "parente"significa condividere un passato vissuto separatamente, un presente di convinzioni e prese di posizione non scontate, un futuro enormemente condizionato da entrambi i passati: quello trascorso a cercare le tracce disperse dell'esistenza della propria nipote e quello dell'incoscienza popolata di segni.

Infatti, se la scatola non emerge primariamente, e poi dà luogo a due scene madri (una, falsa, con la madre fittizia impegnata a cercare di confermare bugie; l'altra, commovente, carica della ormai assodata sensazione che qualcosa di teribile sia avvenuta dentro quella scatola), il bagno in cui si è consumata la tragedia della madre naturale, le piastrelle e quelle prime immagini che incidono nella memoria di un'infante sono da subito proposte e riproposte facendoci in questo entrare nel punto di vista della giovane, senza lasciarci vantaggi - come avviene per la nostra consapevolezza dei suoi natali, che ci permette di seguire le fasi della sua presa di coscienza, sapendo come erano andate le cose -, abbiamo le sue stesse cognizioni e veniamo risospinti nella atmosfera porteña degli anni settanta... C'è la stessa carica morale che inchioda le bugie fasciste nelle due intenzioni di preghiera: una ipocritamente a favore della famiglia del torturatore e l'altra che legge la poesia del nonno, che riesce ancora a riconoscere gli occhi della piccola, specchi dell'anima.

Ma quello che lo rende credibile in ogni sua sequenza è la coralità e la plausibilità degli infiniti interventi dei molteplici personaggi di contorno: i due ragazzi innamorati di Monica in particolare: uno, fighetto borghesuccio, schierato con il padre fascista, spione, tratteggiato senza esagerare però queste caratteristiche negative, che diventano ancora più dirompenti se confrontate con un qualsiasi giovane studente per bene, che non prende posizione e vede solo di fronte a sé la strada spianata della carriera e dei valori borghesi e conformisti; dall'altra un giovane che si assume responsabilità, prende botte ma non recede, non tradisce e cresce ancora di più dopo lo scontro con i metodi degli aguzzini. Questo le consentirà di operare scelte, elaborare la coscienza del proprio stato, affrancarsi dalla cappa di disinformazione e controllo, uscire dalla gabbia dorata in cui era stata rapita.

Film vincitore della decima edizione è Las caras de la luna: film di rimeditazione sull'esperienza femminista che mette insieme stereotipi diversi di donne variamente collaterali all'esperienza del femminismo, sezionato come un cadavere ingombrante, che ini questo contesto diventerebbe metalinguaggio estremamente coinvolgente, se non fosse un'operazione sofisticata e gelida anatomopatologica, che si conclude anche con la morte della più anziana, coerente e ancora legata a determinate convinzioni da cui non è possibile transigere, coinvolgente perché il pretesto che mette in relazione questo gruppetto di donne è che fanno parte di una giuria di un festival di cinema dedicato allo sguardo femminile.

Una storia terribile, che ricalca tutte le tappe del femminismo, avvalendosi anche della possibilità di spaziare all'interno di generi e momenti diversi della storia del cinema per inscenare i rapporti all'interno del gruppo, far emergere le molte divergenze, le visioni generazionalmente diverse, ma anche la fascinazione dell'affabulazione in cui le più anziane sono particolarmente versate e svolgono il compito di guide e memorie storiche, anche di fronte ai dipinti ("esitanti") di Frida Kahlo, e quell'aggettivo diventa positivo dubbio, capacità di interrogarsi e di confrontarsi. Cose che amaramente ormai non si riesce più a fare al punto che il disaccordo impedisce di premiare chi meriterebbe e la scelta più logica nella tradizione femminista che si scopre essere ad opera un uomo, lasciando campo libero a una pellicola... sulla prostituzione.

Ottimo il mediometraggio per completare il lavoro del film messicano sui rapporti all'interno di un microcosmo esclusivamente femminile: Sinfonia desconcertante, un film che è kammerspiel e dove l'interno claustrofobico è interno dei corpi travagliati e proposti nelle tre età (madre figlia e nonna), dedicando a tre situazioni uguali sviscerate attribuendo a ciascuna protagonista per ogni episodio un cancro in fase terminale rivelato alle altre due. Diventa atroce lo spazio occupato volta per volta nell'elaborazione del dolore; eppure ogni volta è diverso l'approccio alla malattia e ciascuna diventa un'occasione di realizzare uno stereotipo talmente plausibile da ingannare lo spettatore, chetutt'e tre le volte si cala nella situazione, un gioco al massacro ancora più subdolo nella rivelazione finale che si trattava della messa in scena di tre attrici alla prova con un tema così impegnativo: cioè la rappresentazione esatta di quello che è in realtà il film a cui abbiamo assistito, riconducendo tutto alla finzione, che però riesce a insinuare il dubbio sull'effettiva dirompenza del male, sulla potenza annichilente sia sul malato, sia soprattutto nell'angoscia dei sopravviventi, sia sui differenti aspetti che assume la morte in base all'età del suo ospite temporaneo, della sua accompagnatrice occasionale.