Festival Internazionale Cinema Giovani

Recensioni
Annotazioni sospese nel tempo "reale" del Festival

18/11/97
Arturo Ripstein
Lecumberri (El palacio negro)
di Arturo Ripstein
Mexico 1976

35mm. 105´, col.

Sceneggiatura: arturo Ripstein, Margarita Suzan, Miguel Necochea, con la collaborazione di José Emilio Pacheco, Tomás Peréz Turrent. Fotografia: Tomomi Kamata. Montaggio: Miguel Necochea. Musica: Guillermo Zúñiga, arturo Casas, Enrique Marín, Roberto Tellón, J.M. Alvarado e la Banda de la Sría. Produzione: Centro de Producción de Cortometraje.

Un lungo documentario su un carcere, quello di Città del Messico, dotato di un'architettura a bracci decisamente inquietante e affascinante allo stesso tempo: la tetazione del panópticon si vede, ma il risultato fondamentale è una rigida compartimentazione, la creazione di settori con ospiti ben definiti, la condanna a convivere con il proprio crimine o con la sua immagine riflessa negli occhi dell'altro. Curioso, tra l'altro, è stato rivedere la stessa struttura 24 ore più tardi in un film del 1947 (Nosotros los pobres), questa volta inserita episodicamente nell'arco di una trama (fra l'altro movimentata fino al paradosso) ma sempre uguale a se stessa, e contagiante questa immobilità sui volti e sui comportamenti di chi tale struttura abita.

Insomma, questo carcere è una vera e propria istituzione totalitaria e Ripstein confessa, sia in un'intervista che grazie all'occhio della sua mdp, di esserne preoccupato, indipendentemente dal giudizio sui crimini commessi o meno dai carcerati che incontra nel suo viaggio; segue diversi personaggi, da essi si fa trasportare da un settore all'altro, in essi scopre le miserie imposte dall'istituzione (e dalle sue deviazioni legalizzate) e quelle che gli uomini si creano e coltivano, forse per necessario mimetismo, oppure per una forma coercitiva più sottile, che passa attraverso il castigo sociale, la messa alla berlina, la manipolazione dei rapporti interpersonali sulle basi di una gerarchia che riflette in tutto e per tutto il dominio del danaro che vige fuori dal carcere e che in molti casi è stata la causa prima dell'attuazione dei crimini.

Lo sguardo registico è attento, concentrato, riesce a descrivere minuziosamente gli ambienti e gli oggetti che caratterizzano le persone senza esporre eccessivamente queste ultime, senza violentarle (ché già a questo ci pensa l'istituzione, a cominciare dal benvenuto). Ogni tanto, la mdp maligna e insinuante di Ripstein si sofferma a mostrare quanto sia e sia stata pesante la presenza in carcere di un numero piuttosto alto di detenuti "politici", fino a dedicare a questo settore un intero quadro, verso la fine del film.

Marcello Testi


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