Festival Internazionale Cinema Giovani

Recensioni
Annotazioni sospese nel tempo "reale" del Festival

Arturo Ripstein
El Imperio de la fortuna
di Arturo Ripstein
Mexico 1985

35mm. 155´, col.

Soggetto e Sceneggiatura: Paz Alicia Garciadiego dal romanzo di Juan Rulfo El Gallo de Oro. Fotografia: Angel Goded. Scenografia: Anna Sànchez. Costumi: Esperanza Ballard. Montaggio: Carlos Savage. Musica: Lucía Álvarez. Suono: Daniel García. Interpreti: Ernesto Gómez Cruz, Blanca Guera, Alejandro Parodi, Zaide Silvia Gutiérrez, Eduardo Lopez Rojas, Margarita Sanz. Produzione: Héctor Lopez, per Instituto Méxicano de Cinematografia.

Ultima proiezione: giovedì 20, ore 9.00 Cinema Massimo Due

L´armonia del movimento interno al film è assicurata dal contrasto tra la ciclicità della fortuna (e della vita), che condiziona la struttura, e l´inaccettabile procedere lineare del destino di ciascuno (verso la propria estinzione), per cui l´andamento circolare non può che essere consentito dalla trasmissione ad altri di fortuna, beni e vita; e questo si ritrova nel procedere del racconto.
Le partite a carte o i combattimenti dei galli sono l´unico momento in cui è consentito interrompere il fluire del tempo.

Una storia spietata, perché tali sono le regole del gioco, benché tutti i giochi siano truccati in un mondo truccato anche in senso illusionistico. Don Lorenzo alla fine della interminabile partita a carte si alza dalla sedia a rotelle: era una maschera pure quella e la sconfitta denuda completamente: infatti bisogna comunque rispettare le norme che regolano il passaggio delle consegne, tanto non si può evitare di passare la mano, quando il destino chiama.
È la congiunzione di fatali esistenze a creare la fortuna: il gallo e il banditore (Dionisio) mangiano dallo stesso piatto, il giocatore (Don Lorenzo) e la cantante mantengono un sodalizio, che apparentemente si regge fino al momento in cui la Caponera si sente reclusa, ma in realtà il momento del distacco è solo uno di quei passaggi della fortuna, da lei impersonata, che si camuffano da decisioni arbitrarie dell´individuo; tant´è vero che, quando la stessa Doña Bernarda si sente soffocare dalla medesima casa da cui fuggendo da Lorenzo era scappata, convivendo con Dionisio non potrà ormai più sfuggire al declino, trascinando anche lui velocemente verso la fine, perché ¨la vita non può tornare indietro nel tempo¨. È impossibile rieditare la vita o riavvolgerla come se scorresse in un nastro videoregistrato (l´eccessivo Kitchen Party riesce a farlo, ma i presupposti sono diversi: Ripstein non concede nulla al grottesco e non è interessato al coinvolgimento emotivo, anzi rimarca spesso il distacco, per poter evidenziare le elucubrazioni di carattere generale, esistenziale).
La loro condizione è quella di prigionieri l´uno dell´altro in una gabbia, che tutto sommato non dispiace e che coincide con quel cammino fatale da percorrere invariabilmente in quella penombra che abbandona solo per brevi tratti la cupa luminosità della fotografia, appesantita dal barocchismo degli ambienti, stipati di oggetti quasi metafisici, frammenti abbandonati dal ritrarsi di una realtà dimenticata nel passato irrecuperabile, che lascia solo tracce nella ciclicità della fortuna o negli specchi contro i quali tristemente un gallo poco battagliero si scaglia, avversando se stesso e il proprio destino, legato alla strega da poco morta.

Il protagonista compie fin dall´inizio passi che lo porteranno a percorrere esattamente il proprio cammino già scritto; e che sia tale lo dimostra il suo acquisto della bara. Nel momento narrativo in cui viene introdotta sarebbe giustificata soltanto dal suo bisogno di rivalsa: una motivazione riduttiva nel calibrato equilibrio degli elementi presenti nel film, ma nel finale assume il senso di contenitore che lentamente si va riempiendo dal momento in cui la fortuna pare accompagnarlo, finché si richiude su di lui, quando la Caponera silenziosamente muore, levandogli il suo talismano. Una delle frasi ricorrenti svolge in situazione soltanto una funzione fàtica, ma in realtà suggella il fatalismo di cui è imbevuto il film: Così vanno le cose.

Il ruolo della donna, nonostante la personalità, è consapevolmente quella di un santino (lei stessa si definisce strega): splendida a questo proposito l´inquadratura in cui è ritratta in un´icona affatto mistica, più simile ad un juke box, che la incornicia come se fosse una immagine profana della virgen (e la stessa struttura dell´inquadratura si ritrova applicata alla figlia, mentre la Caponera tenta nel giardino di addestrarla al canto, un destino di cantante che l´attende davvero, ma attraverso strade autonome): difatti il suo ruolo nella vita di Dionisio è quello di una presenza rassicurante come il ritratto agiografico, oggetto di devozione meccanica, ricevuto dal parrocco, macchietta anticlericale con il valore di rinuncia della fede nel libero arbitrio, e benedetta con il sangue della madre, dimenticata agonizzante durante il fatale incontro con il gallo, riversa sul pavimento a fianco di una inquietante testa di angelo, rotolata nella notte durante il frenetico tentativo di salvare la vita del gallo: il regista sembra suggerire in questa concitata sequenza che il volatile combattente ha ricevuto da forze sovrannaturali il nuovo vigore.

Fin dall´inizio il rapporto con il gallo ha un carattere esclusivo, che traspone il protagonista su un piano diverso, un universo magico in cui vivere fino all´esaurimento della serie positiva ed il tragico epilogo (I galli oggi ti danno, domani ti tolgono). Il gallo svolge il ruolo di emissario della fortuna, motore iniziale della vicenda, che cambia la vita del banditore. L´atmosfera della fiera accentua la trasfigurazione magica dell´esistenza, dove donne avvolte in nugoli di veli si avventano come le parche sui cadaveri dei galli uccisi nei combattimenti a Palenque, ai confini tra il mondo conosciuto e il mondo magico retto da regole ancestrali che si respirano nell´aria.

Adriano Boano


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