Festival Internazionale Cinema Giovani

Recensioni
Annotazioni sospese nel tempo "reale" del Festival

Robert Kramer
Retrospettiva
(leggete anche la lunga intervista rilasciataci da Kramer)

Robert Kramer, nato nel 1940 a New York. Dopo esperimenti con l'8 mm, qualche sceneggiatura e due romanzi inediti, realizza un documentario (Faln) e poi In the Country. Con questo film inizia la sua collaborazione con Norman Fruchter (suono) e Robert Machover (fotografia e montaggio), autori a loro volta di un film documentario, Troublemakers (1968) e di un film di finzione, From Start to Finish (1968) a cui collabora anche Kramer. Il 22 dicembre 1967 Kramer promuove la fondazione di un gruppo di cineasti militanti, The Newsreel, che realizza numerosi film documentari d'intervento, di corto e mediometraggio, a New York e a San Francisco. Nei primi anni settanta si ritira nel Vermont, dove costituisce con John Douglas il collettivo Vermont/Vietnam. Nel 1977 realizza un reportages fotografico in Angola con Phillip Spinelli pubblicato in forma di libro fotografico col titolo With Freedom in Their Eyes: A Photo History of Angola. Nel 1980 Kramer si trasferisce a Parigi. È stato attore in Gestos e Fragmentos (1982-83) del portoghese Alberto Seixas Santos. Nel 1982 sceneggia Der Stand der Dinge con Wim Wenders.

[Scheda tratta da Adriano Aprà (a cura di), New American Cinema, Ubulibri, Milano, 1986].

In Route One, pellicola del 1989, Doc, il personaggio interpretato da Paul McIsaac, si volta indietro e parla verso la macchina da presa che lo sta riprendendo: il diaframma tra oggetto ripreso ed entità riprendente, che lo statuto cinematografico ha imposto come convenzione affinché la finzione risulti credibile, viene azzerato, annullato nelle sue modalità precipue. Non si tratta di una rottura tanto cara ai francesi della Nouvelle vague, Doc non è Michel Poiccard, la sua non è una provocazione che mira a far riflettere sul funzionamento del meccanismo cinematografico: quello di Doc è un vero e proprio dialogo con un altro personaggio del film, con Robert Kramer ed il suo mezzo di registrazione. Il regista diventa personaggio del suo stesso film, la macchina da presa riflette il suo sguardo in soggettiva, una interminabile (almeno quanto la durata del metraggio della pellicola) ocularizzazione interna suggerita dai modi della ripresa che antropomorfizza l'occhio del filmmaker, rendendo la visione che ne scaturisce agile e snella proprio come quella dello sguardo umano. Kramer porge l'immagine allo spettatore senza mediazioni, facendogli vivere ciò che sta vivendo lui nel momento stesso della ripresa, raddoppiando di fatto l'esperienza che il suo occhio percepisce. Ma lo sguardo di Kramer non si raccorda a nessun controcampo, la sua visione rimane integralmente ancorata all'insieme contestuale di cui si fa portatrice, caricando lo spazio inquadrato di una tensione che eccede i limiti del quadro per esplodere in tutta la sua potenza deflagrante, paradossalmente, proprio all'interno di esso. Il quadro diventa così il ricettacolo verso il quale converge tutta l'attenzione del pubblico, la cornice dentro cui tutto il corredo di informazioni trova giustificazione e soddisfazione. L'inquadratura diventa centripeta nell'economia complessiva del lavoro di Kramer, assurgendo a momento di indagine, scoperta e riflessione in un cinema che si nutre di evidenza e nuda (e cruda) realtà. L'immagine diventa così materializzazione di un pensiero, specchio di una precisa concezione di vita che mira ad agitare tumultuosamente le coscienze più che a rasserenarle. In un modo d'intendere il cinema che avanza di pari passo con l'ideologia politica, al punto da arrivare all'impossibilità di distinzione fra il ruolo di cineasta e quello di fine e lucido osservatore politico, il concetto di rigido realismo diventa imprescindibile in un'analisi attendibile di una realtà che si mira a mutare partendo da una sua attenta osservazione. Di qui l'inevitabile ed equa distanza di Kramer dall'establishment hollywoodiano, accusato di trattare in modo falso ed artefatto anche i soggetti più "sociali" e "realistici", e dallo sperimentalismo underground, troppo lontano dalla realtà con il suo narcisismo, le sue fantasie oniriche, le sue rotture sintattiche per poter cercare di operare attivamente sul mondo e sul pensiero della gente. "Il realismo non consiste in come sono le cose vere, ma in come sono veramente le cose", diceva Bertold Brecht; Kramer fa sua questa lezione ed apre grazie alla sua macchina da presa un'ampia finestra sul mondo, sulle sue contraddizioni, sulle sue brutture, sui vari modi di intendere e di pensare. Le storie si frammentano in diversi rivoli narrativi, diventando polifonia di volti, voci, storie e pensieri che non si disperdono in virtù della dialettica di un montaggio da intendersi in senso strettamente hegeliano, ossia come legge di sviluppo della realtà e conseguente comprensione di essa. Kramer assembla, accorpa, accumula i differenti tipi umani, scava con la macchina da presa nella profondità della loro indole estrapolandone l'essenza. Il suo è il tipico procedere per induzione: dall'osservazione dei casi particolari si ricava la generalità di un universo vasto ma sondato nelle sue varie sfaccettature. Route One, Milestones, sono classici esempi di questo modo di lavorare che non conosce più distinzione fra fiction e documentario: ad emergere è la potenza stessa dell'immagine, la sua valenza ontologica che fa erompere la pura essenza di ciò che lo schermo mostra. People's War, viaggio dei collettivi Newsreel nel Vietnam del Nord alla ricerca delle motivazioni che permisero ad un intero popolo di resistere allo strapotere militare degli Stati Uniti, è sotto molti punti di vista esemplare a questo riguardo: la fusione tra documentario e fiction diventa totale, i confini perdono consistenza e senso, ad emergere è solo un'idea di tipo empirico, strettamente collegata all'esperienza sul campo. Ice, The Edge, sono altri esempi paradigmatici di una concezione che trasforma anche la semplice narratività in documento, facendo risultare la realtà attraverso il modo in cui è organizzato e concepito il discorso ideologico del film, e non secondo il semplice stile delle riprese. Perché è la parola a definire il mondo. E la parola nel cinema di Kramer è fondamentale dal momento che concorre prepotentemente a canalizzare il significato di una immagine che, da sola, potrebbe essere letta a più livelli. L'inquadratura krameriana acquista forza ulteriore in virtù dell'uso della parola che se ne fa al suo interno: il personaggio abbandona il suo statuto narrativo per diventare persona all'interno del suo ambiente vitale. Non più ruoli diegetici prefissati da sceneggiature più o meno rigide, ma profili, attitudini, comportamenti, gesti, reazioni che fotografano fedelmente una porzione di realtà e la pongono come precisa testimonianza lungo la catena filmica. L'occhio del filmmaker diventa antropologico, il suo è uno studio delle (sovra)strutture mentali di un'intera società, la macchina da presa diventa un mezzo per indagare, scoprire, spiegare, verificare. Lo sguardo di Kramer viene a porsi come la lente d'ingrandimento di un'epoca, di una realtà definita, di un intero paese: lo studio si trasforma, per la precisione dei tratti caratterizzanti e per la scientificità assoluta da cui poi deriva il profondo significato politico di tutte le sue opere, nello studio di un entomologo, attento ai minimi movimenti, alle più insignificanti reazioni, alle più inutili frasi balbettate (così, a memoria, mi viene spontaneamente alla mente l'intenso primo piano dell'ufficiale militare in Route One, fiero e vanamente orgoglioso subito dopo aver mostrato il video di presentazione dell'esercito dal tema "lettera al proprio padre"). L'uomo è estrapolato dal suo contesto vitale e reso unico ed inimitabile per quello che dice, per la sua interazione nei confronti del reale. Al contempo l'uomo ritagliato dalle inquadrature di Kramer viene a porsi come concetto generalizzante di ben determinate nature, precisi pensieri e definite ideologie. Astrazione situazionale e congelamento contestualizzante sono i due poli attorno ai quali ruota l'intera opera di Robert Kramer. Il loro rapporto è dialettico, in mezzo c'è la sintesi come momento più alto del suo cinema, il momento del disvelamento del reale in tutta la sua valenza di contraddizioni, di brutture, di scomode verità. Ed al di là dello schermo, accompagnato da Kramer in un universo tutto da scoprire tramite il suo sapiente sguardo, lo spettatore, conscio di essere in procinto di effettuare un percorso esistenziale di carattere formativo.

Giampiero Frasca


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