Festival Internazionale Cinema Giovani

Recensioni
21/11/1997
Americana
187
di Kevin Reynolds
USA 1997

Durata: 119 minuti.

Soggetto e Sceneggiatura:Scott Yagemann. Fotografia: Ericson Core. Scenografia: Mark Zuelzke, Harry Darrow. Costumi: Darryle Johnson. Montaggio: Stephen Semel. Musica: Chris Douridas. Suono: Geoffrey Patterson. Interpreti: Samuel L.Jackson, John Heard, Kelly Rowan, Clifton Gonzales, Karina Arroyave.

Non ha il piglio fascistoide di Una giornata di ordinaria follia, nonostante affiori il mito del giustiziere solitario, che si erge a giudice vendicatore dei vessati (e aggrediti) insegnanti dei pericolosi campus statunitensi.
Inanzitutto l´eroe è un afro-americano ferito da un ragazzo afro a N.Y. nella prima sequenza del film, durante la quale dimostra la forza centrifuga ad una classe dapprima distratta e ostile, poi partecipe. Forse la scelta della dimostrazione non è ingenua: sono tutti ragazzi che la giostra della società neoliberista espelle, nonostante e forse grazie anche a questi insegnanti, senza paura e qualche macchia, galvanizzati più che intimoriti dalle occhiate malevole lanciate dai ragazzi incrociati nei lunghi percorsi per corridoi e cortili, non risparmiatici da Reynolds, anzi ammanniti per restituire lo spirito da domatore che pervade i professori.

Una splendida sequenza riprende il primo scambio di idee tra Garfield e Ellen, l´insegnante di informatica (ovvia tresca amorosa, per fortuna non approfondita): l´originalità si ravvisa nel fatto che più di quello che si dicono, più dell´aria smarrita e terrorizzata della donna (è un film maschilista all´eccesso) per le minacce a cui viene sottoposta dagli allievi turbolenti, noi siamo disturbati dal´incombenza della violenza dei corpi dei ragazzi che si sfidano a basket nel cortile e continuano a vessare i due conversatori con le loro occhiate e la loro presenza fisica, che finisce con il riempire la stanza, nonostante essi siano fuori, belve che si aggirano al di là di un a rete, ed entrino nel campo di ripresa solo per brevi istanti quasi subliminali.
È una ripresa che fa il paio con quella in cui la rabbia del professore raggiunge un livello tale che l´inquadratura trema dall´interno per l´impotenza dell´uomo; proprio da questo momento l´atteggiamento di Trevor muta.
Altra notazione tecnica pregevole per la valenza sul piano del significato è la sfocatura della soggettiva sulla classe: il docente impiega qualche minuto a mettere a fuoco i singoli individui che si trova di fronte, dapprima sono una massa informe e indistinta, solo in un secondo tempo emergono individualità.

Lo squallido reazionario dovrebbe essere il docente che approfitta dello stupro di una ragazzina per trarne il proprio lubrico tornaconto e che possiede una collezione di pistole, ma che si guarda bene dall´avere un rapporto costruttivo con i ragazzi.
Mr.¨G¨ invece si immerge nel barrio chicano, di cui conosce la lingua e tenta fino al sacrificio di estirpare il machismo e la sfida etnica lanciata dalla divisione per bande (ricordate
Colors di Dennis Hopper?), che rispondono a regole diverse di convivenza. Garfield (nome casuale?) accetta di giocare con gli stessi metodi, e qui scivolerebbe nelle velleità proto-fasciste, se non abbozzasse una debole rivendicazione di assunzione di responsabilità da parte di tutti, per primi i ragazzi e se stesso, sostenuta dal suo atteggiamento di accettazione del sistema imposto dai giovani teppisti, a cui egli aderisce senza far uso della sua autorità di adulto e insegnante, mentre il collega reazionario impone se stesso in virtù del potere che rappresenta (Garfield: ¨Tu credi che noi siamo uguali, ma non è così¨).
La differenza sembra minima, tuttavia prepara al finale, nella tensione dell´attesa dei suoi carnefici (il termine rispecchia la sua missione professionale, fondata su un esagerato misticismo, che fa il paio con il lento, soporifero, annacquato
Touch di Schrader, di cui non vale la pena parlare per l´assenza di mordente). Ma soprattutto si riscatta nella più esplicita metaforizzazione di questo suo atteggiamento tramite la evocazione epica del finale di Il Cacciatore: durante la roulette l´insegnante lamenta di essere stato defraudato della propria dignità di docente, quindi li schernisce, perché non potranno ucciderlo, in quanto la sua condanna è già stata eseguita. Si sente un sopravvissuto e rilancia al rialzo la sfida della roulette cinese, sorprendendoli ancora una volta sul loro terreno e spingendoli a portare alle estreme conseguenze il loro credo machista, dileggiandoli proprio per lo squallore in cui si dibattono. Arriverà ad uccidersi, prendendo il turno di sparo del suo deuteragonista, che sarà così costretto a mettersi in pari, seguendolo e così, affrontando le sue responsabilità, otterrà una morte dignitosa. ¨La mia immagine riflessa aumenta la mia solitudine¨ recita la didascalia finale

Reynolds poteva glissare sulla concione retorica affidata alla ragazzina aiutata da mr.G: se ne ricava una sorta di elogio funebre, mentre noi si ammira il corpo di Garfield sul tavolone della morgue. Macabro, banale e fuori luogo, dopo un simile profluvio di autentica tensione machista. È un espediente retorico per far tornare tutte le prolessi che erano state sparpagliate per l´intero plot: la corona di rosario, l´esperimento con il veleno in classe, usato per narcotizzare il giovane rivale e targliargli un dito (quello con l´anello, oggetto di un altro diverbio tra Cesar e Trevor), ... Infine la vittoria di Pirro che suggella il commento del regista per l´intera vicenda

Adriano Boano


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