Festival Internazionale Cinema Giovani

Recensioni

19/11/1997
Fuori Concorso
YUME NO GINGA
di Sogo Ishi
Giappone 1997

Durata: 90 minuti.

Soggetto e Sceneggiatura:Sogo Ishi da un romanzo di Yumeno kusaku. Fotografia: Kasamatsu Norimichi. Scenografia: Isomi Toshihiro. Montaggio: Suzuki KAn. Musica: Onodera Hiroyuki. Interpreti: Komine Rena, Asano Tadanobu, Kyono Kotomi, Mano Kirina, Kurotani Tomoka.

Racconto visivo per dettagli, montati secondo il ritmo non frenetico, ma efficacemente veloce della sensibilità giapponese. Usando un bianco e nero slavato dalla pioggia, che fin dall´inizio comprende il finale, di cui la voce off narra la catastrofe annunciata dalle immagini livide.

Estetizzante, apparentemente lieve. Immagini patinate di un tenebroso uomo in nero sdraiato su rotaie, che con calma ultramondana scansa l´approssimarsi del treno, enigmaticamente appare e sparisce inghiottito dal ricorrente tunnel; si alterna a fiori che bruciano, e a insetti, o meglio bruchi, che gradualmente si presentano sullo schermo trasformati in farfalle.
Ecco: l´uso simbolico di facile, quasi banale, interpretazione. La ragazza cresce attraverso l´avventura rischiosa a cui aderisce completamente, nonostante conosca la pericolosità dellvautista. Tuttavia l´aspetto curioso si propone per guizzi formali, quali l´uso del fermo di fotogramma adoperato come se imprigionasse un lampo contenuto nella lenta scansione della lettura della corrispondenza tra le giovani bigliettaie, una delle quali prima della fine della lettura della sua lettera muore in seguito ad un incidente di lavoro, che è rievocato dalle immagini che scorrono alla fine della missiva, quando questa è già passata dalla parte della lettura, presentandoci la protagonista.

Attraverso questo espediente si confondono le due esistenze, o almeno i sentimenti delle due ragazze. Calibratissima è l´entrata in scena del sospettato delle morti per incidente: bellissimo autista, avvolto nella sovraesposizione da un´aura bianca che lo rende sfuggente, leggenda vivente tra le bigliettaie che come le farfalle sono attratte dalle lampade, anelano di bruciare l´esistenza effimera, arrischiando l´avventura con il mito dell´autista barbablu.

Novità nella costruzione non ci sono, eppure è pregevole l´uso del montaggio, che alterna sapientemente lunghe serie di dettagli a inquadrature fisse, silenziose, dei due ragazzi immobili ai lati opposti di un tavolinetto. Immoti e statici. Non nuova neanche la gamma di similitudini, ma l´inquietante ripetizione di taluni gesti in sovrimpressione, o di figure quasi fantasmatiche, le nobilitano, rendendo all´insieme un´aria di assemblaggio molto raffinato e originale.
Dunque un film lieve, ma non sapido, lento eppure non greve, nonostante affronti con maggior cupezza temi cari a Banana Yoshimoto: i legami di amicizia oltre i confini della morte, o l´arcano nascosto in figure misteriose a cavallo tra i due mondi. I dettagli sparsi nel film diventano così ancore a cui aggrapparsi, per uscire dal piattume e dalla vacuità: gli indumenti vuoti stesi. I virtuosismi fotografici si sprecano, evidenziando un po´ troppo la ricerca calligrafica (ma via: è nipponico, ha una sensibilità diversa!); certo che è ammirevole l´uso della sfocatura per trasformare un confuso segno luminoso in una nitida luna: quasi la rappresentazione di un haiku visivo a partire dalla sua forma ideogrammatica.

Uno dei personaggi misteriosi è l´ultimo passeggero, che scendendo davanti ad un tempio fiocamente illuminato dice: ¨C´è mancato poco¨, riferendosi alla ripetizione della situazione del primo incidente. Da quel momento in poi l´epilogo si appressa velocemente: un dettaglio di una pietra nera, lucida di pioggia, fa da limite al di là del quale la decisione è irreversibile; dopo solo più sguardi, disvelamenti, una sfida infernale, affrontata con lievità, poi lo scontro attraverso frammenti: vetri, fari, scintille della frenata, pioggia vista da sdraiati, ruote nei vapori.
Rimangono i dubbi sulla effettiva colpevolezza dell´autista.

Adriano Boano


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