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Torino Film Festival 2006

Sentiero virtuoso

1. Del Toro e il franchismo

 

Se l'affresco ritratto in Guernica, assemblaggio cubista di corpi e membra animali e umane congelate in un afflato di urla, dolore e morte, resta l'emblema dell'ouverture della carneficina in terra spagnola, El labirinto del fauno ne è il degno corrispettivo filmico in termini di immaginario nella rappresentazione dell'orrore della dittatura franchista; e il disegno per costruire il labirinto sembra evocare un antro degno della inquisizione (e le due volte che il capitano fascista enuncia le sue intenzioni soppesando gli attrezzi del mestiere ne è un'evidente allegoria). Seppur ambientato sette anni dopo rispetto all'opera di Picasso, il film registra la guerra civile al lavoro: essa è ufficialmente finita, ma uno sparuto gruppo di repubblicani continua a combattere nelle montagne a nord della Navarra. Qui si trasferisce Ofelia al seguito di Carmen, la madre incinta, per raggiungere il nuovo patrigno, il capitano Vidal, che conduce la sua offensiva contro i ribelli che resistono asserragliati nei boschi che occupano quella valle montuosa.
Ofelia ha una predilezione per la lettura: si rifugia nel mondo delle fiabe per evadere dalla triste realtà che la circonda, maggiormente mostruosa rispetto all'universo letterario sprigionato dal suo contatto con la pagina scritta.
Il film denuncia a partire dal prologo il proposito di mettere in scena una storia leggendaria, parallela agli eventi storici che hanno contraddistinto il 1944 spagnolo. La fiaba narra le vicende della principessa Moanna, che, nel suo intento di poter finalmente vedere la luce del sole, tenta di uscire dal mondo di tenebre che l'avvolgono nella roccia grigia bluastra dove abita, però, risalendo i gradini del labirinto, finisce per restare abbacinata dalla luminosità accecante della sfera solare. La giovane muore con la prospettiva di poter rinascere un giorno a condizione che una creatura umana sia disposta a sacrificarsi per riconquistare la sua vita eterna e proseguirne di conseguenza la degna esistenza regale.



La voce off annuncia che il re, suo padre, attende nell'ombra del labirinto che questa sorte profetica possa manifestarsi, non solo per poter dare una legittima conclusione alla fiaba, ma per ripristinare una convivenza pacifica tra elementi naturali e umani, sconvolti da un'inaudita repressione dell'innocenza (incarnata non a caso dall'infanzia), che il fascismo è stato in grado di perpetrare nei suoi disumani propositi di annientamento della libertà, compresa quella di sognare mondi alternativi al regime imperante.
Svelata la cornice fiabesca, una volta rimesso al posto giusto il frammento dell'occhio di una scultura (che assomiglia a un'opera di Brancusi), ecco comparire uno strano insetto, che da quel momento svolgerà il ruolo di aiutante magico della situazione. Ofelia si lascia infatti attirare da questa originale cavalletta, subito connotata come una fata alata, che la pedina nel suo viaggio di avvicinamento all'accampamento del patrigno. Una volta giunta a destinazione, la piccola non avrà problemi a seguire la fatina nei meandri di un labirinto granitico, che potrebbe rivelarsi molto pericoloso, come le spiega premurosa la domestica Mercedes, una giovane costretta a condurre una doppia vita, serva dei fascisti, ma in realtà simpatizzante con la causa dei partigiani, tra i quali milita anche il fratello Pedro, che cerca di aiutare, recapitando clandestinamente medicinali e vettovaglie.
Ofelia non gradisce le maniere dure e severe del patrigno, fatica a comprendere le ragioni che hanno spinto Carmen a risposarsi, soffre soprattutto del fatto che la sua presenza non possa colmare il senso di solitudine avvertito dalla madre dopo la morte del marito, il suo vero padre, "un santo morto in guerra". La piccola ha però modo di dimostrare il suo talento di narratrice, raccontando - distesa accanto al pancione della mamma - storie al fratellino che dovrà nascere. Guillermo del Toro non può fare a meno di mostrare persino il feto immerso nel liquido amniotico, che si dispone attento ad ascoltare le vicende di un magnifico fiore, una specie di rosa, che ha il potere di dare la vita eterna. Nessuna ha mai potuto raccoglierla, in quanto il suo stelo è cosparso di spine velenose, così è destinata a vivere in perpetua solitarietà in cima alla montagna.



Nel frattempo la madre, che ha sopportato la fatica del viaggio solo per assecondare l'egoistico disegno del capitano - che pretende che il figlio debba nascere dove lui ha deciso - ha una minaccia di aborto. Il medico che giunge a soccorrerla è anch'egli costretto a giocare un doppio ruolo: assecondare i franchisti e al contempo solidarizzare con la causa dei ribelli. Seppure circondata dalle sue creature fiabesche e forse anche grazie alla loro innocente frequentazione, Ofelia ha il talento naturale di comprendere immediatamente dove si situano gli altri, gli adulti con cui deve rapportarsi: apprezza la scelta di Mercedes (aiutante degli uomini del bosco) e sarà capace di mantenere il segreto per proteggerla, al contempo non sopporta le maniere ruvide e dittatoriali del patrigno Vidal, che non ha problemi a mettere in guardia il medico sull'eventuale opzione da compiere in caso di complicazioni: "Se la gravidanza è a rischio e si tratta di decidere tra la madre e il bambino, salva quest'ultimo, perché è carne della mia carne, porta il mio nome e quello di mio padre", legittimo prosecutore - suo malgrado - di una genia che sarebbe meglio potesse scomparire dalla faccia della terra. Vidal infatti non ha timore ad ammazzare innocenti: scoperti due poveri contadini, catturati dai suoi uomini mentre stavano cacciando conigli per poter sopravvivere alla penuria di cibo, scambiati per ribelli verranno giustiziati senza pietà in una luce fredda e metallica, simile al Los fusilamientos del 3 de mayo di Goya, come tutta la fotografia dedicata a riprendere l'altra metà del mondo abitato da Ofelia, quello popolato di cattivi adulti in divisa militare.
Alla realtà si sostituisce per fortuna la finzione. Mentre la piccola sta leggendo il suo solito libro di fiabe, ecco comparire in camera lo strano insetto che aveva notato durante il viaggio: si tratta davvero di una fata, che assume sembianze simili a quelle dell'illustrazione del volume che sta sfogliando. Il regista è un mago nell'elaborare fotogramma per fotogramma le mutazioni in corso, non è solo questione di effetti speciali, le sue creature in trasformazione finiscono sempre per coincidere in verosimiglianza con i referenti di un immaginario collettivo in termini di frequentazioni fiabesche: idioletti di un genere che, appartenendo più o meno consapevolmente a un patrimonio generazionale, risultano godibili nella messa in scena, anche quando i confini tra meraviglioso e orrorifico si fanno labili e tenue è la frontiera che separa la paura del vedere dal piacere di riconoscere cosa potrebbe spaventare.
Ofelia segue la fata-cavalletta che la conduce a esplorare il labirinto di pietra: una roccia millenaria si anima per assumere le fattezze di un fauno legnoso, che subito riconosce in lei l'anima della principessa Moanna e pertanto si prodiga a farle dono del Libro dei Crocevia, un testo apparentemente dalle pagine bianche, che, al momento opportuno saranno in grado di trasformarsi in disegni, arabeschi, scritte da decifrare per poter superare le tre prove (come Propp comanda) che la bambina è tenuta a superare per poter liberare la principessa dalla mortalità, riconsegnandola al destino di una vita perpetua.



Per prepararsi alla missione Ofelia non ha problemi a infangare l'abitino di velluto verde e le scarpette di vernice nera appena ricevute in regalo dalla madre: la novella principessa striscia all'interno della cavità di un albero ormai privo di linfa vitale fino a stanare nel suo nascondiglio un'orribile creatura, un rospo enorme e viscido - chiara metafora del regime fascista che agisce di nascosto, sottoterra, nutrendosi di schifezze nere - a cui farà inghiottire alcune pietre magiche, che hanno il potere di annientarlo. L'anfibio si sgonfia, vomitando l'intera massa gelatinosa che lo costituisce, ma - anziché trasformarsi in un principe azzurro - la sua pelle appiattita svelerà il nulla di cui è fatto, permettendole così di raccogliere in mezzo alle sostanze fuoriuscite una chiave dalla fattura antica, un oggetto magico anch'esso caro alla tradizione letteraria del genere fiabesco. Era dai tempi del film Labyrinth di Jim Henson che non si assisteva alla proliferazione di così tanti immaginari favolosi, condotti con la stessa maestria nell'assecondare il passaggio dall'universo di carta (le pagine bianche del libro che si animano al contatto con la mano e la fantasia della bambina) a quello incarnato dai paesaggi e dalle creature filmiche.
Nel frattempo il patrigno è impegnato a seguire i falò che si manifestano nella boscaglia: non sono fuochi fatui, né magici come quelli inseguiti da Ofelia, bensì reali tracce della presenza di chi sta resistendo al regime e cerca di contrastarlo. Tra i resti rimangono alcune prove (una fiala di antibiotici, un biglietto della lotteria), che porteranno il capitano a scoprire la tresca condotta da chi sta aiutando la controparte. Per inasprire la posta in gioco, Vidal decreta di requisire tutte le vettovaglie e i pochi generi di consumo, insieme alla carte annonarie, al fine di costringere la popolazione a presentarsi ogni giorno al presidio militare per ricevere la razione stabilita. Tutto deve essere sotto il suo controllo, compresa la chiave del magazzino, dove ha fatto radunare la merce da distribuire. La vita del capitano è regolata dal suo orologio da taschino, che batte i minuti e scandisce le ore che lo separano dall'inevitabile scontro con i resistenti, che è certo di poter sconfiggere.



Invece Ofelia vive in un tempo orchestrato dai ritmi della fiaba: anch'essa dovrà stare attenta a una clessidra; una volta rovesciata per poter affrontare la seconda prova, deve poter far ritorno prima che l'ultimo granello di sabbia abbia raggiunto i compagni nel vasetto inferiore. Stavolta il pericolo è rappresentato da una creatura pseudo-umana, un mostro rivestito di sola pelle, privo di occhi, che giacciono su un piattino, intento a sonnecchiare davanti a un banchetto di prelibatezze. La piccola è stata messa in guardia dal fauno: non dovrà assaggiare nulla, pena la perdita della vita eterna. L'accompagnano nell'impresa tre fatine e un gessetto, con il quale traccia sulla parete della stanza la porticina che le permetterà di entrare in quel nuovo regno: non è però il paese delle meraviglie, anche se lei assomiglia sempre più ad Alice, inoltre il cumulo di scarpette che si trova a rimirare risulta apparentabile al cumulo di indumenti depositati dagli ebrei prima di varcare la soglia delle camere a gas. Il mostro si nutre infatti di bambini, sedotti come Hansel e Gretel dalla bontà del marzapane. Ofelia riuscirà ad aprire con la chiave magica una sorta di tabernacolo da cui estrarre un pugnale dalla lama d'oro, tutto sembra andare per il verso giusto, ma anche lei, come tutti i bambini delle fiabe, viene tentata dall'assaggiare due succosi acini d'uva. Immediatamente il guardiano del banchetto si desta dal sonno degli ingiusti, inforca gli occhi, inserendoli nel palmo delle mani, pronto a sbranarla, per fortuna interverranno due fatine a ostacolarne il gesto famelico: saranno sacrificate al posto di Ofelia, permettendole così di fuggire da quell'universo infernale attraverso una finestrella tracciata sul soffitto con l'ultimo pezzo del gessetto conservato nella tasca del grembiule. Ofelia si sottrae così alle sgrinfie del Caudillo di turno, adoperando uno stratagemma che riporta alla memoria anche la figura di Pollicino.



Avendo trasgredito le regole impartite dal fauno, Ofelia subirà comunque la punizione di non poter accedere all'ultima prova, la terza, quella decisiva, così i suoi aiutanti magici decidono di scomparire, abbandonandola al suo destino reale, dopo averle comunque offerto una radice di mandragola, da conservare in un bagno di latte fresco, che dovrà irrorare con due gocce del suo sangue, come antidoto per salvare la vita della madre e del fratellino. La pozione funziona, finché non sarà proprio il patrigno a scovarla sotto il letto della moglie, costretta a sua volta a gettare nel fuoco quella radice, che, bruciandosi, si contorce e vagisce come un autentico neonato. La conseguenza dell'incauto gesto non tarderà a manifestarsi: la madre muore poco dopo di parto, mettendo al mondo il fratellino, avendo solo il tempo di pronunciare alla figlia queste ultime parole: "La vita non è come nelle favole, la magia non esiste, il mondo è crudele".
Nel frattempo il capitano è impegnato a respingere le offensive dei ribelli, che hanno deciso di iniziare l'assedio. Il cerchio si stringe e anche il medico e la domestica hanno le ore contate, perché la complicità, dapprima solo vagamente intuita da Vidal, diventa ora palesemente evidente. Il dottore verrà vigliaccamente colpito alle spalle con un colpo di rivoltella, ma avrà comunque il tempo di esprimere la sua incapacità di "ubbidire per ubbidire senza farsi domande, perché solo la gente come lei lo può fare". Mercedes invece reagisce, ferendo il capitano (uno squarcio alla bocca che si apre a dismisura, forse in proporzione all'orgoglio che il militare ha sempre esibito) e fuggendo fino a raggiungere il fratello e il resto della brigata.
Rimasta sola, in compagnia del patrigno sempre più assetato di vendetta, Ofelia verrà aiutata dal fauno, che, intenerito dalle sue maniere gentili nei confronti di Mercedes, ha deciso di offrirle un'ultima possibilità. La terza prova consiste nel sottrarre il fratellino dalla culla sorvegliata dal capitano, per portarlo nel labirinto. La piccola non ha timore a eseguire gli ordini senza discuterli, ma una volta giunta a destinazione, si rifiuterà di consegnarlo al fauno: non può permettere che venga versato il sangue di un innocente per far sì che la porta del labirinto possa aprirsi durante quella notte di luna piena.



Vidal, che ha inseguito la bambina lungo quei tortuosi tragitti, sopraggiunge in quel momento a strapparle il figlio dalle braccia, freddandola con un colpo di pistola. Ofelia stramazza a terra, cadendo al posto giusto e al momento giusto: il suo sacrificio le permetterà infatti di conseguire la vita eterna e di raggiungere - in una sorta di paradiso dorato - il vero padre e la madre che da tempo stanno aspettandola. La fiaba si conclude, avvolgendosi nel proprio lieto fine, accompagnato dalla dolce melodia di una ninnananna, mentre la storia prosegue ancora un poco per prendersi una piccola rivincita. I partigiani aspettano il capitano sulla soglia del labirinto per intrappolarlo. Sentendosi accerchiato, egli avrà il tempo di consegnare il figlioletto a Mercedes, tirare fuori dal taschino l'orologio per esprimere un'ultima eroica volontà, sbriciolandolo con le dita: "Voglio che mio figlio sappia di preciso l'ora della mia morte!". Prima di essere trapassato dalle pallottole, avrà il tempo di spirare con la consapevolezza che i ribelli non diranno mai la verità al piccolo. "Non saprà mai il tuo nome". Una frase lapidaria che ha il potere di annichilire chiunque e anche qualsiasi cosa: togliere il nome significa annullare, privare di esistenza anagrafica, peggio che far scivolare tutto nell'oblio. Non ci può essere memoria, quando non esiste chi ricordare!
Ah... si potesse fare la stessa cosa con il fascismo e il franchismo!

continua...

a cura di
paola tarino
adriano boano