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Torino Film Festival 2006

Sentiero virtuoso

1. Hill e il western anticapitalista

 

Quando sentiremo l'espressione "ampio respiro" sapremo da adesso in poi quali sono le immagini a cui si riferisce. Hill si prende tutto il tempo che serve (in ogni sequenza) per immergere il suo racconto in un luogo mitico preciso 8collocandolo però in un tempo e in un luogo che sono diventati parte di un riferimento mitico mondiale) e i ritmi delle riprese (e del montaggio) sembra che davvero seguano quello di una respirazione profonda e lineare, senza sbalzi, naturale: descrivere il galoppo dei cavalli con quei movimenti avvolgenti, persino in un momento drammatico come la morte della seconda cinese, travolta proprio dalla corsa dell'imponente mandria, è un esempio di come si possa mettere tra parentesi un episodio, che è solo un momento dello spostamento della mandria e che poi verrà ripreso in tutta la sua tragedia (ma mettendolo su un piano di luogo comune interno al western: tutti riuniti attorno a una tomba fresca) per dare ancora più rilievo all'elemento principale: la vitalità del cavallo... e la sua libertà, centuplicata da 2000 zoccoli di 500 cavalli che battono la prateria.



La scelta del regista di accogliere e trasformare in parte, aggiornandoli ma senza farne parodia, tutti i luoghi comuni relativi all'epopea western non poteva evitare il tema della centralità delle donne: sempre figure forti ma relegate a un livello di secondo piano fino agli anni del femminismo dove si cominciarono a inventare ruoli però sempre defilati o comunque che non sottraevano spazio al cowboy, come la puttana di La ballata di Cable Hogue del maestro Peckimpah.
Misoginia dunque, ma rispettosa per mantenersi fedeli alla tradizione, che però diventa invece collocazione al centro della vicenda cinque donne - infatti il film inizia con loro e con l'immondo mercato di cui sono oggetto - e in più fanno parte di una categoria di donne particolarmente vessate, qui ora nel nostro paese: le immigrate, che subiscono le regole maschiliste della loro comunità (vengono addirittura vendute) e lo sfruttamento previsto dalla società in cui vengono catapultate. E qui scatta il tema che ogni western racchiude in sé: in questo caso al centro del plot è l'atteggiamento di rispetto nei confronti di queste ragazze che subito i due eroi - cawboy non particolarmente progressisti e aperti - adottano, e lo fanno "naturalmente", come i cavalli galoppano, allo stesso modo loro si predispongono a rispettarle in un universo che le considera soltanto carne da bordello.
Non importa se è credibile: l'importante è la storia e il fatto che quegli stereotipi di uomini descritti come quelli "giusti", i buoni delle storie - sempre manichee - del West, rivestono quei panni e raccontano i pericoli e i modi in cui gli eroi dovrebbero affrontarli per superare le modalità classicamente scioviniste della società capitalista. Sono un modello da seguire, come avviene sempre nel western, che è un apologo fatto apposta per proporre paradigmi stilizzati in maniera che siano universalmente comprensibili e sono proposti per identificarsi.



Percorso di formazione per il ragazzo, che dimostra quanto dal al Cuore di De Amicis, da Goethe a Salinger, quando si applica un racconto teso a educare e far crescere una persona da modellare su una base riconosciuta come coltivabile, in quel momento si fa un servizio al progressismo e paradossalemnte attraverso una dura disciplina di crescita secondo precetti di giustizia e uguaglianza si può favorire la formazione di una coscienza libertaria (questo non significa capire l'universo femminile, ma sicuramente rispettarlo sì): le regole e la loro imposizione sono un modo di sostenere idee di libertà, e il risultato dell'opera didattica si evince in corso d'opera nella risposta spontanea, data dal nipote, ancora in formazione, rivolta alla maitresse che pretende le venga restituita la "sua" merce umana ("What about my property?"), che per lei è solo carne da bordello: "That's the price of being a capitalist, lady", risponde il cowboy nella notte, dal cavallo.
La risposta è davvero mitica: entra a far parte dell'infinito repertorio di frasi storiche del vecchio west che fungono da segnale di quale reale spirito scorre nelle vene della pellicola. In questa si nasconde l'essere irreconciliati di Hill e degli amanti del western, irriducibili alla rassegnazione che il capitalismo nelal sua forma più rapace possa imporre le disumane regole con cui ora il mondo si trova a fare i conti ("Maimisurare la ricchezza col denaro"): non poter tollerare dottrine economico politiche ingiuste, basate sullo sfruttamento, la schiavitù e la proprietà come potere in quanto attraverso la proprietà si controlla ogni espressione e ogni esistenza... invece il cowboy ha l'esempio della cavalcata dei cavalli che gli impedisce di accettare qualsiasi sistema meno libero di quello.



Duvall non è solo credibile e efficace nel ruolo duplice di eroe e maestro, ma riesce anche a raggruppare in sé tutti i personaggi che lo hanno preceduto, da John Wayne a Randolph Scott, dirittura morale e umane emozioni che devono fare i conti con un sistema che prevede pochi sentimenti e scarsi scrupoli da parte dei molti balordi immorali e sadici.
Hill non rinuncia a citazioni esplicite (che valgono sia come omaggio, ma ancora di più come reinterpretazione e accoglimento di una situazione, coome se si volesse ricanonizzare il repertorio del western in previsione di una sua riedizione in larga scala per stigmatizzare i molti criminali politicanti che si sono riaffacciati nelle praterie del vecchio West) e a episodi topici che servono a sfaccettare i personaggi, ma anche piccole attività, gesti minimi, andature e portamento ripresi con quel piglio che serve a ricondurre a un modello che non è solo stereotipo, perché - come da tradizione - ognuno ha una sua formidabile personalità che contraddistingue ogni singolo, personalizzando la figura. Duvall incide nel legno modellini che regala a una delle ragazzine, ma che servono anche nell'immancabile incontro con gli indigeni, incontro che si riduce a uno scmbio commerciale senza spargimenti di sangue e forse molto più filologicamente corretto nella ricostruzione rispetto agli assalti alle carovane del western classico. Lo scambio è quasi elegnate nel suo dipanarsi e si risolve con il colpo di teatro che uno dei due cavalli richiesti per il passaggio sulle terre è un modellino da taschino: ecco, il sorriso sardonico di Duvall pervade tutto il film, rendendo accettabili anche le parti retoriche - inevitabili se si vuole restituire la specificità didattica del genere.

"A volte non ci si può sottrarre al destino".
E questa è un'asserzione che non richiede commento e forse può essere una chiosa corretta per tutti i western, accomunati proprio da quell'icombenza di una missione da compiere, di un ruolo da svolgere, di una fedeltà a se stessi (o al personaggio, che è la stessa cosa nel genere) che impediscono di seguire le proprie passioni, di costruirsi un futuro diverso da quello che sta scritto si debba seguire perché quello è il ruolo che si deve ricoprire, anche se è inspiegabile per tutti - forse anche per lo sceneggiatore - il motivo per cui Duvall non può costruirsi un futuro con la ex puttana interpretata da Greta Scacchi (sancendo il rispetto di cui sopra a proposito delle figure femminili, tutte sofferenti e tutte molto dignitose nella fatica di vivere); nessuno lo sa, ma tutti accettano questo fatto che sta scritto e non può essere diversamente.

continua...

a cura di
paola tarino
adriano boano