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Torino Film Festival 2003

Diario#02: piazze fabbriche e scuole

Un luogo comune di questo festival, più accentuato gli scorsi anni, ma comunque presente sotto le ceneri anche quest'anno è quello che immagina la partecipazione del "pueblo" all'esistenza... e mette in scena lotte e quotidianità, individui e massa.

Que farei eu com esta espada?




 

Torino Film Festival - 2003


E in questa oscillazione tra individuo e massa c'è la differance, quel momento magico in cui s'insinua l'osmosi (una parola che prendiamo a prestito da uno dei tanti momenti di stanca del film di Ezequiel Acuña: era rimasta sospesa nel film argentino Nadar solo, dove in effetti la ricerca sembra proprio andare nella direzione di trovare un punto d'incontro e fusione compenetrante, e come capita spesso ai porteños vanno a cercare in Uruguay questo equilibrio tra l'autodeterminazione e la condivisione), l'idea di mettere sullo stesso piano la storia privata, "piccola" capace di illustrare e offrire la chiave per comprendere il moto popolare è antica quanto Rossellini, in Fuera de Juego l'esasperazione ancestrale e la miseria dei barrios trovano espressione nella ribellione che scorre parallela tra il flusso di indios nelle strade e la lenta crescita dell'insofferenza per quella situazione ecuadoregna del ragazzo protagonista. Il sogno di Juan è raggiungere la Spagna, un sogno anche questo non intimo, ma indotto dalla tv, che come insinua che là si trova la soluzione a ogni problema, contemporaneamente fa del terrorismo, intervistando migranti che di là fanno professioni patriottiche e disperati esprimono tutto il malessere degli sradicati. Certo che i dettati dell'insegnante non invogliano a rimanere in classe a sentire la propaganda del regime.


In generale i film presenti al festival non sono teneri nei confronti della scuola: Acuña, nel mettere in scena la coppia di ragazzi bonaerensi espulsi dal collegio per aver tagliato troppo sovente, sembra avere chiaro in mente pochi concetti essenziali, ma uno gli è ben chiaro e cioè che i modelli proposti dagli adulti non funzionano, non sono adatti alla vita dei ragazzi né il padre tennista e manager, né la madre distratta, né gli insegnanti scostanti e interessati solo alle nozioni così distanti dai ragazzi, musicisti alla ricerca di un'accordatura (l'accordatore lo hanno in uno zaino ed è l'altro segnale inviato dagli autori per individuare nella ricerca di una sintonia la materia del film), che però hanno smesso di esprimere il loro disagio con la ribellione e lo fanno vagando alla ricerca di paradigmi: nel caso di Nadar solo il fratello fuggito da tempo viene idealizzato e diventa il pretesto per il "viaggio" dopo l'espulsione.


Nell'Islanda di Nói albinói diventa il bighellonare di un altro aspirante alla fuga da quella cella di ghiacci kierkegaardiana, dove gli altri reclusi vivono senza guizzi né speranze, mentre Nói ha potenzialità prodigiose, esattamente come l'intelligente regista Dagur Kari, che riesce a render gradevole uno script ridotto all'essenziale, fondamentalmente già visto molte volte al cinema, eppure affascina quella fgura di adolescente diverso dal padre alcolizzato fallito, dall'insegnante privo di fantasia, dal preside incapace di scegliere, dal pastore che mercanteggia sull aprofondità della fossa da scavare, dalmeccanico che vede davvero il futuro ma non sa evitarlo, dal libraio che getta via Kierkegaard forse perché gli descrive alla perfezione la sua esistenza e quindi dovrebbe lasciarsi andare alla disperazione, persino Iris, la bella ragazza del bar, che non ha il coraggio di seguirlo nell'impresa evidentemente disperata ma dalla forte valenza simbolica di scappare sull'auto rubata. E quel suo fascino deriva dalla sensazione che non sopravviva a caso alla valanga (forse provocata dai suoi spari insoddisfatti?), ma che sia l'unico con sufficiente determinazione e intelligenza per avere un motivo di esistere: espulso dalla scuola, ma accolto dalla vita, completamente da solo, perché tutti i personaggi che abbiamo incontrato lungo il film muoiono sepolti dalla slavina; e i segnali del disastro finale sono sparpagliati in svariate prolessi lungo tutto il film, non solo nei fondi del caffè, ma anche nel pentolone di sangue o nel cimitero battuto dalla bufera. Eppure è un film molto divertente, a cominciare dal metodo di sveglia adottato dalla nonna (un colpo di fucile), fino alla sventata rapina (non lo prendono sul serio), passando per la delega surreale al registratore di assistere alle lezioni.


Già nel film iraniano Aida veniva esclusa dai corsi per assenze, il disagio non diverrà ancora ribellione; invece Juan in Ecuador se ne va dalla classe prima ancora che lo caccino: e il gesto è potente, definitivo, come se seguisse un'illuminazione, la stessa seguita dal popolo in strada come se avessero avuti tutti l'intuizione della divisione della società tra schiera di pochi ricchi convinti del diritto perpetuo della loro ricchezza e della stragrande maggioranza (il 95%) di indigenti in moto per "riprendersi quello che è loro". Poi i mezzi adottati per farlo sono i più disparati: Juan si prende il fuoristrada della borghese, una genia conosciuta facendo il cameriere alle loro feste, ben diverse da quella del compleanno tragico della sua amica, che invece sparando all'amante ricco - e bastardo - rivendica la propria dignità, non risolve nulla, non migliora la sua condizione (anzi), ma almeno ha un moto di ribellione, quello stesso che scuote il film fin dall'inizio.


Quelli che mancano ai mostri andati a ossequiare il cadaverino proprio qui al Lingotto quando sua maestà Giovanni Agnelli fece il favore di levare il disturbo e sono ripresi in Requiem di Gianfranco Barbieri, un momento della vita della città alla base anche della trasposizione shakespeariana di Fiatamlet di Armando Ceste in questi invece non c'è nessuna fuga, al contrario si avverte una chiusura a riccio nella vana ricerca in quel passato di sfruttamento pensando di trovarvi radici non velenose.
Quelle interviste ai servi in coda per ossequiare il monarca decaduto e morto fanno lo stesso effetto di repulsione (ed è nelle intenzioni di Barbieri) che provoca la televisione dell'Ecuador, quando con l'espressione vacua dell'anchor-man, incapace di dare notizie, spiegazioni, orientamenti per il futuro, si scusa di non sapere cosa sta succedendo, sancendo l'inebetimento incarnato dal fratello di Juan davanti al video o dalla madre di fronte alla perdita ("da la noche a la mañana" con un'operazione di economia creativa alla Tremonti da parte del governo) di tutti i risparmi: "Mi vieja esta como el pais: catatonica", dice Juan (che sia torinese anche lui?).

Que farei eu com esta espada?



continua...

adriano boano

se invece poi volete vedere un film davvero intelligente in ogni dettaglio di qualsiasi suo fotogramma: Looney tunes: back in action di Joe Dante