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reportage da festival ed eventi, interviste e incontri
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Torino Film Festival - 2001
Lampisterie sinaptiche

1: gore, splatter... noia

Uno scontato gore metallaro (Faust di Brian Yuzna) riempie col suo splatter uno schermo già imbrattato da decapitazioni e squartamenti che hanno costellato l’intera giornata del venerdì: Angst (di Gerald Kargl e del mitico Zbigniew Rybczynski) prima e Honda Ryuichi (Tokyo Shameless Paradise Good Bye Blues) poi avevano già prodotto una esauriente dose di violenze – con particolare piacere derivante da teste volanti –, a partire dai più disparati pretesti. Il primo costruendo nel 1983 un Funny Games ante Haneke che prepone e pospone un’impersonale disamina psichiatrica su un soggetto, del quale ci vengono fornite fotografie, turbe, manifestazioni del suo disturbo sadico in un crescendo di orrore e di incredibile accozzaglia di esperienze devianti, per condurre poi il racconto integralmente alla prima persona, con commenti in voce off, quasi uno sdoppiamento della personalità del serial killer che commenta le sue azioni documentate dall’obiettivo, spesso con una lucidità impressionante all’interno della casa in cui penetra arrivando a immaginarla abitata dalle sue vittime prima che esse lo diventino, ricalcando le sue imprese adolescenziali, ma ripetendole sulla famiglia che tiene in ostaggio (aveva decapitato un cigno, succhiando poi il sangue, stessa cosa con i consueti rituali sessuali viene replicata ai danni di Sylvia la giovane vittima). Impressionante l’accoltellamento della ragazza, probabilmente perché si dipana seguendo un piano ordito e perseguito costantemente, annunciato e eseguito con precisione forsennata. Ma altrettanto sorprendente è la sequenza iniziale che ci colloca nella condizione di complici, alle sue spalle mentre commette il primo omicidio gratuito a causa del quale ci ritroviamo in carcere con lui, dove comincia il flusso di coscienza, che si svolge spesso con un taglio basso che colloca il nostro sguardo dal basso verso l’alto; alternando improvvisi particolari del volto a tutto schermo, non propriamente rassicuranti.


E in galera troviamo anche il protagonista di Faust. È una delle poche sequenze pregevoli, dopo il risveglio dalla catatonia attraverso la musicoterapica. Dileggia la giovane e avvenente studiosa, che subirà trasformazioni durante il racconto che prevede quasi tutti gli aspetti del più dozzinale psicologismo d’accatto (ovviamente la dottoressa ha una turba recondita sotterrata nel suo inconscio fin da quando il padre l’ha stuprata da piccola, ma lei ha sempre sostituito il suo volto con una maschera lattiginosa – o forse spermatica negli intenti degli autori).

In questo caso lo spunto è offerto da una sorta di ossessione faustiana, dove il motivo scatenante dell’accettazione del patto scellerato è la vendetta per un omicidio della giovane modella di un pittore (Jaspers John con uno stupido gioco sul nome che non ha nulla a che vedere con l’espressionista astratto) punita per non aver pagato a tempo opportuno una fornitura.

Da qui si scatena una ridda di riprese di banalissima violenza intrecciata ad altrettanto edulcorato sesso, che vorrebbe essere provocatorio e invece saccheggia un immaginario ormai esaurito, affondando persino nelle maschere di The Rocky Horror Picture Show (scusate la citazione blasfema) senza avvicinarsi nemmeno lontanamente al risultato ironico dell’originale.

La colonna sonora assordante è costituita del più vieto e dozzinale metallo, adolescenziale. Le trasformazioni profuse a piene mani con tanto lattice che deborda dallo schermo sono talvolta imbarazzanti e qualche volta raccapriccianti.

Pleonastico.

Fastidioso per dilettantismo esibito, recitazione inutilmente sopra le righe (in particolare il regista dei filmetti, spastico nella finzione, rendendo – nella scorrettezza politica – ancora più volgare l’operazione)e trama esile in un ambente banalmente costruito secondo canoni lisergici, inserendo sezioni di sesso ripreso per film pornografici con scarso appeal è il film di Honda. Storia di un killer che si ritrova a dover fare a pezzi la sua vittima, un compito che ritiene non di sua competenza; questo da luogo alle poche sequenze divertenti, dove il cadavere gli si rivolge operando una prolessi interessante dell’epilogo dove la contesissima testa della vittima, rotolando provocherà l’orribile fine ad effetto del corpo del killer fatto a brani in una forma di tortura atroce. Il resto è costituito da una serie di ragazzini incapaci, che purtroppo spesso cantano, essendo un gruppo musicale di canzoncine allucinanti, imbelli irresponsabili che trafugano la testa dal frigo nella discarica in cui era stata collocata, pensando di trafugare la valigia di droga commissionata dal regista di porno. Questa breve sinossi dimostra la sgangherata pochezza del film che non riesce a seguire le tracce di Kitano comico demenziale, ma neanche a creare emozioni noir.
L'horror è un'arte e il maestro si chiama Romero. I succedanei epigoni non servono, quando nella sala accanto si proietta Jack's wife, a proposito di famiglie sotto attacco.

Adriano Boano

Angst

Faust – love of the damned

Tokio shameless paradise

Regia:

Gerald Kargl

Regia:

Brian Yuzna

Regia:

Honda Ryuichi

Soggetto:

Gerald Kargl e Zbigniew Rybczynski

Soggetto:

David Quinn, Tim Virgil

Soggetto:

Honda Ryuichi

Fotografia:

Zbigniew Rybczynski

Fotografia:

Jacques Haitkin

Fotografia:

Hashimoto Kiyoaki

Montaggio:

Zbigniew Rybczynski

Montaggio:

Luis de la Madrid

Montaggio:

Honda Ryuichi

Musica:

Klaus Schulze

Musica:

Xavier Capellas

Musica:

Ogiwara Sammy

Interpreti:

Erwin Leder, Silvia Rabenreither, Edith Rosset, Rudolf Götz

Interpreti:

Mark Frost, Isabel Brook, Jeffrey Combs, Monica van Campen

Interpreti:

Yamamto Hiroshi, Motoki Takashi, Otoguro Fumiyasu, Yasuda Mika

Austria, 1983, durata: 82’

Usa/Spagna, 2000, durata: 98’

Giappone, 2001, durata: 80’