Torino paga il debito dando spazio alle 35 ore francesi del normanno, che costituisce un affresco alla Guediguian, come lui privo di reale energia e non scevro da retorica per sentito dire, seziona l'individuo con l'operaio verniciatore, lo storicizza con Gobetti e lo dissolve con Guido Chiesa. Ne sortisce un caleidoscopio da cui scaturisce soltanto una categoria in via di estinzione, priva di identità, perché se Gobetti poté mostrare il vecchio che riconosceva la sua esperienza del '22 nelle nuove lotte, Chiesa non trova più nemmeno negli individui stessi le tracce del loro essere stati operai, secoli prima, nella Fiat dei 35 giorni. Questa attenzione non fa che sancire la morte del movimento operaio e a vent'anni di distanza si mostra la storia a ragazzi nati successivamente e che affollano le sale per conoscere fatti coperti dal segreto mediologico, vuoto riempito anche con la fiction di Laurent Cantet, che prende a pretesto le 35 ore francesi, guardando però a Pialat smarrendo così nello scontro individuale il più ampio respiro insito nello scontro di mentalità alla base del film e rinnegando nei fatti quella coscienza di classe che vorrebbe essere il tema del film.

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Ritorno all'inizio dell'ipertesto: Potere Operaio

    visto al Torino Film Festival No rights reserved © 1999