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reportage da festival ed eventi, interviste e incontri
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Festival Internazionale di Film con Tematiche Omosessuali
Da Sodoma a Hollywood

Torino, 22-29 aprile 2004

Giro di ViteLampisterie sinaptiche
Parte 02

Reclusioni e torture...
perché stupirsi?

Immagini di carcere escono dai televisori. Immagini di tortura e sgozzamenti. Immagini fuori fuoco o rese quasi illeggibili dai vari riversamenti. Costruite, eppure credibili; naturali, benché pornografiche nella loro palese intrusione nel nostro mondo, eppure teatrali, quasi grottesche nella messa in scena che non lascia nulla al fuori campo, avendo cura di mettere in scena tutto, accumulando una rimasticazione del peggior trovarobato di umiliazione psicologica. Persino l'osceno, ciò che è fuori scena, solo immaginato, sembra soffocante. Anzi forse lo è di più di quel banale male di cui parla Hanna Arendt.
Vediamo carceri e certezze fondamentaliste che alternano raptus di integralismo (texano o islamico) a momenti di dubbio atroce, superato espletando in nuove distruzioni - che forniscono altre immagini - il bisogno di essere confermati nel proprio dogma culturale; a volte sono false, altre falsificate, in molti casi simulate, più spesso rilanciate con un accumulo di interpretazione-falsificazione che le rendono inintelligibili. Sempre incontrollabili.
soleil assassiné

Vediamo agitarsi i lacché per sfruttare sofferenze "documentate" a favore della propria parte, come esistesse ancora un'etica e ciascuno ne fosse il depositario, mentre invece questa è da inventare ex novo, corazzandola in difesa della manipolazione delle coscienze, una difesa perpetrata da chiunque si appropria delle repliche di riti sacrificali antichissimi.
In Evilenko il sangue imbratta a posteriori, quello che sembra essere il centro del messaggio - talvolta mediato in modo televisivo (ma per famiglie) - è che proviene da un passato costituito da più elementi, non ultimo l'ideologia (esattamente come in Iraq), però non è mai espressione diretta di un'azione, sistematicamente lasciata fuori campo. L'urgenza delle immagini che vorrebbero sancire il loro status di non fiction, invece, fondano tutto sulla esplicita e esauriente comunicazione di foto sature, pregne, grondanti... non solo sangue quanto senso univoco e questo richiede l'adesione forzata di chi sostiene una o l'altra soluzione del conflitto. Questo è un tratto atroce: dover far proprie immagini che suffragano la propria opinione, infangando l'intera cultura altrui, riconoscendo alla fine in se stessi i germi di quelle storture, essendo parte di un consesso che ha espresso quelle forme non ci si può non chiedere se anche noi possiamo diventare creatori di quelle immagini e non solo fruitori. In base a quale tortuoso percorso, quali esperienze sottendono la barbarie.
In Evilenko capita lo stesso: c'è un'ipersematizzazione data dal fatto che l'assassino è inquadrato dall'inizio alla fine e abbiamo consapevolezza del suo ruolo e la sua identità finisce sempre di più con il coincidere con l'ideologia che lo permea (paragonabile a quella che muove i vari mostri iperesposti come Rumsfeld). La differenza è che nella fiction le sequenze cruente acquisisicono una tollerabilità proprio dal loro statuto di ricostruzione - e soprattutto il gesto rimane fuori campo ed invece è esagerata fino alla nausea l'interpretazione psicanalitica, il raccontino infarcito di luoghi comuni che servono a familiarizzare, a rendere accettabile, ad accompagnare lo spettatore insieme all'inquirente che è dipinto come a digiuno proprio per utilizzarlo in modo che tutto sia spiegato fino a diventare sospetto (ed infatti tutti gli elementi su cui si insiste vanno nella direzione di far coincidere la metafora del serial killer con il comunismo, senza distinguere ) -, mentre ciò che, nella loro approssimazione, è inaccettabile delle immagini di torture o sgozzamenti "reali" è il loro inserimento in un contesto veridittivo o sedicente tale.

ProteusQuesto approccio all'immagine prevede una revisione di quello che la coscienza può analizzare: una morale accettabile, che non è mai stata teorizzata. (Per fortuna.) Si evidenzia anche un altro aspetto: la totale assenza di immaginazione, paradossale nella società dell'immagine. Eppure, finché non ci sono state le foto a suffragare il racconto, le migliaia di parole-testimonianza delle torture non riuscivano a fare breccia nelle coscienze. Addirittura i racconti rimangono ribaditi e verificati dalle differenti fonti, ma il direttore del "Daily Mirror" si dimette perché le foto pubblicate sono risultate ricostruzioni dei fatti a posteriori, nonostante il racconto continui a ricevere nuove inattaccabili testimonianze a sostenerne la "verità".
Per restaurare una visione meno morbosamente compiaciuta della carcerazione o di microcosmi regolati da rapporti di sottomissione, ci soccorrono alcune pellicole del festival gay di quest'anno. Questa sorta di nuovo sguardo si avvale di un amour fou tra un nero e un bianco sbocciato a Robben Island, dove le torture non superano la breccia innalzata dal loro rapporto mostrato esplicitamente fino a rendere tangibile la forza violenta del possesso omosessuale; un adattamento di Eloy de la Iglesia del Giro di vite, dove la violenza è culturale e la coercizione si esprime attraverso l'istruzione, l'imposizione si fa in nome di autorità e entità che non hanno più corso e non si vedono mai e rimangono distanti e l'attrazione dell'annullamento è forte al punto di prevalere, facendo resistenza ai tentativi di omologazione; un omicidio di stato di un poeta omosessuale e rivoluzionario, che non si adegua all'omologazione.

ProteusProteusProteus

Proteus è un film sceneggiato e diretto a quattro mani: le prime appartengono a un grafico del California Institut of Art, John Greyson, diventato poi giornalista per diversi periodici gay-lesbici, le restanti sono di Jack Lewis, attivista politico contro l'apartheid, studioso di storia dell'economia e in seguito impiegato, per ragioni di lunario, come produttore televisivo.
Le vocazioni artistiche e le mansioni di fatto svolte dalla coppia riemergono a dirigere, non solo sotterraneamente, le vicende dipanate nel film: l'amore per le tavole grafiche del botanico inglese risentono, non a caso, di un'attenzione ipercurata nei confronti delle riproduzioni verosimili, più vere del naturale nel tratteggiare particolari scientifici, degne di comparire in un'opera enciclopedica sigillata da Linneo, che illustra le caratteristiche fisiche e riproduttive delle specie floreali che popolavano il Sud Africa nel 1725; mentre l'impegno controcorrente del sodale nelle riprese si sviluppa man mano nella dignitosa forma di resistenza incarnata dal giovane pastore dell'etnia dei Khoi, Claas Blank (già il nome scelto è una scommessa nei confronti di chi lo vorrebbe annichilire, colonizzandolo supinamente alla lesta fierezza dei bianchi, che andavano occupando quell'estrema regione del continente africano), giudicato da un tribunale di alieni che lo condannano ai lavori forzati presso la colonia penitenziaria di Robben Island (la stessa dove venne relegato Nelson Mandela, come ricordano i titoli di coda), solo per essersi macchiato di appropriazione indebita di bestiame requisito agli occupanti, che a loro volta l'avevano confiscato agli autoctoni.

Proteus Al background derivato dalla biografia autoriale si aggiunge una spiccata vivacità stilistica, capace di presentificare quel lontano passato, grazie a scelte scenografiche ardite: entrati in media res, una volta compresa l'epoca dell'ambientazione filmica, ecco comparire in scena una serie di oggetti e di abbigliamenti fuori luogo (un camioncino che trasporta i padroncini, i vestiti moderni, non in costume, che, a seconda delle circostanze, indossano i personaggi), stonati rispetto alla contestualizzazione storiografica, eppure perfettamente adeguati al plot, che si può concedere queste derive spazio-temporali, in virtù della maniera originale di presentare il contesto. Proteus

Lo spettatore si trova infatti catapultato di fronte al tribunale di una storia che si ammanta di trovate registiche, stravaganti e originali, al fine di rendere simbolico il verdetto finale: valido allora e altrettanto incontrovertibile oggi. Non a caso le segretarie addette alla registrazione dei verbali d'udienza cercano di legittimare da un punto di vista lessicale, accettabile e comprensibile anche oggi, le espressioni arcaiche utilizzate dal pastore per siglare la sua colpa, allo scopo di eternizzare quel verdetto e al contempo sancirne la validità al di là dei piani di riferimento intrapresi dal fruitore. "Io l'ho fatto": Claas Blank risulta reo confesso per aver fornicato con il marinaio olandese gay Rijkhaart Jacobsz, che aveva già confessato la sua colpa, possedendo un fisico meno resistente alla tortura, soprattutto a quella del getto d'acqua da pompare, manovrando una leva, una volta infitti in un pozzo, che viene gradualmente riempito in maniera sproporzionata rispetto al liquido che si può far sgorgare all'esterno. Il principio idraulico è facile da capire, anche se il rischio di morire annegati viene soltanto differito, per concedere alla coppia di scegliersi in quanto tali, rompendo i tabù vigenti, per guardarsi finalmente negli occhi, darsi un addio amorevole, nella speranza di congiungersi in un abbraccio finale, una volta raggiunta la profondità oceanica.

Proteus Al messaggio semplice, eppur prezioso, che permane dopo la visione, si aggiunge il ricordo di slittamenti progressivi, sempre più intensi e passionali, alla ricerca di penetrare il corpo del compagno, per ritrovare se stesso e l'altro da sé in un'unione panica e al contempo orgasmatica, capace di superare, anche in virtù della potenza fantasmatica affidata alla narrazione, la condizione di detenzione forzata. La relazione fisica e affettiva tra il pastore e il marinaio sboccia improvvisa e violenta come il fiore studiato dal botanico: i primi contatti tra i loro corpi ricordano il modo di trattare il rapporto omosessuale a cui ci aveva abituati l'immaginario di Fassbinder, molto cameratesco e virile, spesso schematico, non fosse altro per ragioni anatomiche (si pensi a Querelle e al suo sottobosco di individui, divisi tra chi offriva il buco del culo e chi lo penetrava nel porto delle nebbie), ma in seguito si opera un affrancamento da codesti stereotipi, per concedere ai due amanti di abbracciarsi nella sabbia o di baciarsi voluttuosamente, confinando l'apparente brutalità soltanto alla natura clandestina dei loro incontri. Proteus

Un altro approccio alla segregazione in senso lato è quella dell'educazione senza strumenti per affrontare la libido di due ragazzini nella penna di Henry James. Soltanto... i ruoli sono invertiti e quindi la morbosità sulfurea dello scritto si moltiplica nell'ambiguità dei ruoli sia del precettore, sia dei fantasmi, creando cortocircuiti in cui trovano spazio anche i ribaltamenti degli orizzonti di riferimento che indubbiamente sono in atto nella produzione di senso attualmente in corso con la polluzione di immagini di tortura molto meno psicologica, ma non meno in grado di esibire le macchine celibi del desiderio.
Il precettore che esce dal seminario non ha i mezzi per interagire con il livello di pratica desiderante dei due ragazzini, svezzati dalla coppia demoniaca; nel film di Eloy de la Iglesia forse persino più che nel romanzo si evidenzia il distacco, la distanza tra frequentazioni culturali diverse, che portano all'imposizione da parte della cultura più retriva (nel caso del film il retaggio franchista, in quello della contingenza attuale l'imperialismo energetico occidentale) di regole che imbriglino il pericolo di deviazione sul nascere.

Giro di vite

L'altro aspetto sconvolgente per la sua attualità è l'impreparazione a raccogliere la sfida dei due fratelli e la conseguente reazione repressiva fino alla morte, con l'ossessione dei propri demoni che vengono proiettati come patrimonio dei ragazzi, pur provenendo dai recessi dell'immaginario represso e bigotto del giovane precettore.
La casa stessa vede i ragazzi abitarla in modo estraneo, rifiutandola, se non per la manifestazioni dei disinibiti e provocatori fantasmi, mentre lui vi si aggira attratto dalla sontuosa esibizione museale di immobile attaccamento a valori passati, i drappeggi che ammantano di triste decadenza fuori dal tempo, privi di nerbo e di vitalità, in opposizione alla natura, regno dei due fantasmi, ctonica e potente cno le fugaci allucinazioni che finalmente restituiscono un po' di quella immaginazione perduta nella repressione e che si evidenzia soltanto attraverso "visioni", mentre la parola ha scarso valore evocativo: non ne viene colta la potenza distruttiva e rivoluzionaria

Giro di viteGiro di vite

Soleil AssassinéUn ultimo aspetto del potere di tutti i tempi, ma particolarmente sviluppato nei periodi bellici è l'individuazione da parte del nuovo ordine di quali sono i gangli da occupare e quindi chiudere immediatamente, perché forieri di autonomia di giudizio invisa a qualunque regime e subito dopo l'esautorazione, l'isolamento e l'emarginazione delle persone che possono orientare l'opinione pubblica verso un'emancipazione culturale inammissibile per chiunque occupi il potere, che infatti si trincera dietro a cavilli come quello dell'uso della lingua più sentita come propria pur essendo quella dell'antico colonizzatore. In questo senso allora, nei primi anni sessanta, lo scontro era tra le lingue parlate, ora è tra la fattura delle immagini provenienti dall'Iraq, confrontando quelle girate dagli operatori occidentali, valutando l'inquadratura e i movimenti ricchi e orientati dalla cultura documentativa con quelle esasperate dal bisogno di comunicare la propria rabbia guerriera, statiche provenienti dai partigiani è racchiuso lo scontro. Quelle dei militari americani rappresentano un altro sintomo, né documentativo, né rabbioso, semplicemente coloniale.

Soleil Assassiné Questa è la materia di Soleil assassiné, che non risparmia le botte per il ragazzino colpevole di essere amico dell'intellettuale irriducibile, diverso (al contrario: occidentale e pied noir nell'Algeria liberata, ma lui stesso ex partigiano impegnato nella decolonizzazione), la morte per lo stesso intellettuale scomodo e a tratti pasoliniano. Il film bilancia con molto equilibrio la lirica componente amorosa intrecciata con l'aspirazione alla libertà, i sospiri del ragazzino per la giovane studentessa, destinati a essere rintuzzati, ma anche - con una pregevole metafora della condizione di delusione dopo la lotta anticoloniale - consentire la salvezza della giovane promessa della poesia algerina di salvarsi dalla trappola organizzata dalla polizia, che lo accusa di aver ucciso il poeta suo amico: sarà la ragazzina a testimoniare, restituendogli la libertà, ma condannandolo alla disillusione d'amore, proprio come la nuova repubblica che dà l'indipendenza e poi getta nel limbo della repressione e restaurazione.

Soleil Assassiné

Soleil Assassiné In comune con questo film algerino Proteus ha quell'origine arcadica dei due pastori, protagonisti in entrambi, che traggono da quella loro cultura la capacità di rapportarsi a una realtà così tecnologicamente lontana, eppure tanto primitiva da poter rappresentare ancora una alternativa all'Occidente.

Soleil Assassiné
Proteus
di John Greyson e Jack Lewis
(Sud Africa/Canada, 2003, 35 mm. 100', col.)
Proteus
Sceneggiatura: John Greyson, Jack Lewis
Montaggio: Roslyn Kalloo
Fotografia: Giulio Biaccari
Scenografia: Tom Hannam
Interpreti: Rouxnet Brown, Shaun Smyth, Neil Sandilands, Kristen Thomson, Tessa Jubber
Produzione: Big World Cinema, 10 Buiten st. 8001 Capetown, South Africa, tel 27 21 426 04 05, [email protected]
Le Soleil assassiné
di Abdelkrim Bahloul
(Algeria, 2003, 35 mm. 90', col.)
Soleil assassiné
Sceneggiatura: Abdelkrim Bahloul
Montaggio: Jacques Witta, Pierre Didier
Fotografia: Charlie Van Damme
Scenografia: Bruno Beague, Taoufik Behi
Interpreti: Charles Berling, Mehdi Dehbi, Ouassini Embarek
Produzione: Mact
Distribuzione: Wide management enterprise, 42bis, rue de Lourmel, 75015 Paris, France, tel. 33 1 53950464 [email protected]
Otra vuelta de tuerca - bior bira
di Eloy de la Iglesia
(Spagna, 1985, 35 mm. 118', col.)
Giro di vite
Sceneggiatura: Gonzalo Goicoechea, Angel Sastre
Montaggio: Julio Peña
Fotografia: Andrés Berenguer, Joan Gelpi
Scenografia: Simón Suárez
Interpreti: Pedro María Sanchez, Queta Claver, Hernández Landa
Produzione: Gaurko Filmeak, Euskal Telebista
Distribuzione: ICAA Plaza del Rey, 1 28071 Madrid, España, tel. 34 91 5317439