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FESTIVAL DEL CINEMA AFRICANO, D'ASIA E AMERICA LATINA - Milano, 2005

LE GRAND VOYAGE (Il grande viaggio) di Ismael Ferroukhi
Marocco/Francia, 2004

Proiettato fuori concorso nella sezione “Panoramica sul cinema africano”
15° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina (Milano, 14 - 20 marzo 2005)
Premio Astor d’Oro al 20° Festival internazionale del cinema di Mar del Plata

Rompere il ghiaccio

Il primo lungometraggio del giovane regista marocchino Ismael Ferroukhi, Le grand voyage, è un road movie che attraversa mezza Europa per arrivare fino a La Mecca: un viaggio interminabile di 5000 chilometri in automobile, che non è di colore verde come la tradizione islamica vorrebbe, bensì azzurra come la tonalità del cielo sereno.
Per il suo avvincente contenuto didattico e formativo, volto a promuovere l’educazione interculturale, il film è stato presentato anche nello spazio riservato alle scuole accompagnato da una scheda introduttiva, curata dall’organizzazione del festival, settore Coescuola: “Il tema del viaggio come percorso di iniziazione, crescita e conciliazione è al centro del film Le grand voyage di Ismael Ferroukhi, regista franco marocchino alla sua prima opera di fiction. Il film è il racconto del pellegrinaggio a La Mecca intrapreso in automobile da Mustafà, anziano marocchino emigrato in Francia, e da suo figlio Reda, naturalizzato francese e assai distante dalle tradizioni e dalla pratica religiosa musulmana. Reda non può esimersi dall’accompagnare il padre: il viaggio sarà per entrambi i protagonisti l’occasione per conoscersi meglio, per accettarsi e comprendersi. Attraverso gli occhi di Reda entriamo nell’universo religioso dell’Islam ispirato alla pace e alla saggezza, lontano dai comuni stereotipi. Dopo tanti film maghrebini che hanno indagato la condizione e il ruolo femminile, è assai interessante una storia sui ruoli maschili, di padre e figlio che si interrogano sulla propria identità, in un dialogo difficile, ma possibile con le radici. Il conflitto non raggiunge toni tragici e irreparabili, in quanto prevale uno spirito di consapevolezza e di determinazione che si apre alla speranza e alla volontà di poter cambiare”.

Congedo dal fratello e dai familiari, consegna dell'automobile

Proviamo a seguire le tappe di questo lungo percorso stradale, cadenzato da siparietti, spesso narrati in maniera piacevole e delicata anche quando mettono in campo malumori e tensioni indotte dall’appartenere non soltanto a generazioni diverse, ma anche dall’essere educati e cresciuti in universi culturali differenti, che portano il figlio a vivere la dimensione laica del viaggio, riservando al padre quella più rigorosa del pellegrinaggio rituale.
La partenza
Reda non ha alcuna voglia di accompagnare l’anziano padre in questa missione “speciale”, ma si trova costretto a farlo, perché al fratello maggiore, cui sarebbe toccato per diritto di precedenza, è stata ritirata la patente per guida in stato di ebbrezza, giudicata anche peccaminosa dalla tradizione musulmana. L’ostilità del giovane nei confronti del genitore è acuita anche dal fatto che si trova repentinamente a doversi assentare da scuola (proprio quando dovrebbe prepararsi per un altro tipo di maturità, aliena a quella che gli sta preparando il padre) e dalla ragazzina francese, Lisa, di cui è segretamente innamorato.
La prima tappa
Il passaggio della dogana tra Francia e Italia viene a coincidere con l’ora della preghiera serale quotidiana: il vecchietto tira fuori il tappetino e si accinge a uscire all’aperto, in quella sorta di “terra di nessuno”, per eseguire il rito sotto gli occhi stupefatti del figlio, che lo rimprovera severamente di scegliere un posto non adatto a quell’officio!
L’impulso del giovane è quello di mettersi a guidare pigiando l’acceleratore a tavoletta, nella vana speranza di arrivare più in fretta possibile alla meta, ma è il padre a dettare il programma del viaggio, stabilendo ritmi, tempi di sosta, pernottamenti e direzioni di marcia. Non avendo il volante in mano, non ha timore di imporsi sulla cocciutaggine di Reda, tirando il freno a mano all’improvviso, anche a rischio di far sbandare l’automobile.
Il ragazzo vorrebbe guidare fino a Milano per poterla visitare, ma gli basta quel gesto repentino per comprendere che non è una vacanza quella che dovrà affrontare, bensì un tour de force inaudito e persino interminabile.
Come non bastasse il genitore approfitta di una momentanea sosta-pipì per gettare di nascosto il cellulare del figlio in un cassonetto (“L’ho fatto perché non c’eri con la testa e non sentivi ragioni” gli rivelerà in seguito), ma quest’ultimo se ne accorgerà soltanto 500 chilometri più avanti. L’arrabbiatura fulminea lascerà posto soltanto a un broncio silenzioso, che i due protagonisti finiranno per adottare a turno lungo l’intero viaggio, sempre ripresi dal finestrino anteriore dell’auto, in un’unica inquadratura frontale che comprende rispettivamente il volto offeso dell’uno e quello compiaciuto dell’altro, attualizzate dal recente scontro di culture tra occidentalismo e islamismo.

Bronci alternati

Seconda tappa
Costretto ad abbandonare l’autostrada verso Belgrado, perché il padre preferisce le strade secondarie, Reda non sa più che direzione prendere e consulta infastidito la cartina. Mustafà non lo può aiutare, poi non sa nemmeno leggere, come gli viene rinfacciato malamente dal figlio (ormai giunto al limite della sopportazione), ma sa scrutare il cielo, così stabilisce ancora una volta da che parte andare, non impedendo però di perdere ulteriormente la rotta e di aumentare il disorientamento.
Il bivio a cui approdano è espressione metaforica del loro rapporto: la ripresa dall’alto mostra la macchina ferma, facendo solo presupporre allo spettatore che cosa stia passando nella testa dei due protagonisti; uno andrebbe a destra e l’altro sicuramente a sinistra, ma l’auto rimane immobile per l’intera notte, indicando significativamente e solo con poche inquadrature la sostanza del film, ossia la non volontà di predominare sull’altro, tenendo uniti i due destini, che, pur percorrendo lo stesso tragitto, si trovano comunque a marciare su strade parallele. Qualunque percorso scelgano, e questo il film non lo rivela (proprio perché non si presenta ai loro occhi come un bivio, ma solo come un’incomprensione), il padre è destinato a raggiungere la propria morte a La Mecca.
Un’altra tematica parallela, rivelata man mano da numerosi dettagli disseminati lungo il film, che producono senso soltanto alla fine, è data dalla progressiva spoliazione della propria figura da parte del padre, che arriva a essere nudo con un solo lenzuolo addosso, mentre si avvia verso La Mecca. Questo percorso iniziatico è evidenziato maggiormente dal fatto che il pellegrinaggio, qualsiasi esso sia, ha valore in sé e lo desume grazie a questo azzeramento, che non ha bisogno di assorbire gli umori delle città attraversate, che caricherebbero il pellegrino di ulteriori fardelli mondani di cui deve invece imparare a sgravarsi, pertanto sono sufficienti i propri mezzi per raggiungere lo scopo, ossia il viaggio stesso e solo la strada che unisce un punto all’altro del tragitto. Non vengono infatti mostrate città, né il padre permette al figlio di visitare quelle che vorrebbe, a parte Istanbul, di cui viene mostrato solo l’interno della moschea di Santa Sofia, dove il padre si fermerà a pregare.

Incontri on the road tra incroci e strade smarrite

Compare all’improvviso una vecchia, tutta vestita di nero, il suo viso dai lineamenti balcanici è segnato dalla sofferenza e gli occhi severi rivelano uno sguardo duro e per niente socievole: la bloccano per chiedere informazioni, ma l’anziana, anziché rispondere, apre con sicurezza la portiera posteriore e si infila nell’abitacolo, intenzionata a farsi dare un passaggio. Dalla sua bocca esce solo una parola, scambiata per il nome di un presunto paese, mentre la sua mano destra indica una direzione: andare avanti!
Terza tappa
Durante la sosta alla dogana tra la Croazia e la Serbia per l’ennesimo controllo dei documenti, la vecchia sparisce, con la stessa rapidità con cui aveva in precedenza occupato il sedile posteriore, per materializzarsi oltre la frontiera, ritta in mezzo alla strada, decisa a ottenere un nuovo passaggio. Reda non vorrebbe, è infastidito e quasi spaventato da quella presenza inquietante, ma il padre acconsente e i due anziani si lanciano uno sguardo profondo, segnale di un’intesa misteriosa.
Strada facendo finirà per prevalere l’opinione del figlio, intenzionato invece a sbarazzarsi della vecchia con un ingenuo stratagemma: lasciarla seduta al tavolo di una trattoria, raggiungere di corsa l’automobile e partire. Il padre non si opporrà alla sua trovata, ma gli darà il tempo per comprendere che l’anziana l’aveva comunque intuita, infatti, quando i due se la danno a gambe, rimane impassibile a guardarli, comodamente seduta e senza scomporsi. “Che Dio l’aiuti!”, esclamerà Mustafà, guardandola dal finestrino per l’ultima volta.
Quarta tappa
Raggiunta Belgrado, Reda vorrebbe tanto poter telefonare a Lisa dall’apparecchio dell’albergo, fa persino un timido tentativo, ma si accorge di essere costantemente sorvegliato dal padre, i cui imperativi categorici finiscono con l’essere presenti anche quando lui è fuori scena. Come non bastasse il genitore gli nasconde persino la fotografia dell’amata che il ragazzo aveva smarrito sul sedile!
Di fronte all’ennesimo litigio, Reda finisce per trascorrere la nottata in un locale equivoco, bevendo e rimorchiando una ragazza. Scoperto dal padre, che ha ormai fatto la valigia e stabilito di proseguire il viaggio da solo, dovrà scusarsi e andare a recuperarlo per strada.

Alterchi e riconciliazioni

Quinta tappa
Il viaggio prosegue verso la Bulgaria attraverso strade innevate e paesaggi montani, che danno il tempo per una tregua, necessaria per scaldare membra e cuori. In questa circostanza la coppia dialoga per la prima volta: il figlio domanda al padre se non era meglio per lui, considerati anche gli acciacchi dovuti all’età, affrontare il viaggio in aereo, il genitore risponde, affidandosi ai suoi ricordi di bambino, quando voleva essere il primo a vedere il ritorno del padre da La Mecca, dove si era recato a dorso di un mulo. “L’acqua dell’oceano ritorna sempre purificata in mare”: il racconto del ciclo dell’acqua gli serve per affrontare un principio religioso attraverso l’esame di un fenomeno fisico, oggetto in realtà di studi scientifici; un’angolazione inusuale, decisamente fuori dagli stereotipi religiosi, sicuramente più adatta a essere compresa dall’universo di riferimento del giovane.
Il pernottamento nel regno del ghiaccio, che non accenna invece a evaporare per dar corso alla ciclicità precedente, riserva però un’amara sorpresa al mattino: l’automobile si è trasformata in un igloo, l’anziano sta male e dovrà essere ricoverato d’urgenza presso un ospedale di Sofia. Per fortuna si riprenderà in fretta e potrà concludere il pellegrinaggio sognato per tutta la vita, mentre il giovane avrà il tempo di riconoscere, transitando in autobus per le vie della capitale bulgara, proprio la vecchina nero vestita abbandonata giorni prima: un’altra anziana tornata sicuramente a completare il suo ciclo!
Sesta tappa
Alla frontiera con la Turchia compare stavolta un aiutante magico: un cittadino di Istanbul, faccendiere e chiacchierone, che si presta a far da traduttore, per risolvere alcune formalità burocratiche. La sua cortese ospitalità nasconde in realtà il desiderio di farsi portare fino a La Mecca, approfittando dell’inaspettata occasione. Questa volta è il padre a non vedere di buon occhio la nuova intrusione: il passeggero, un ex emigrato che ha abbandonato in Francia una donna  - non musulmana - per rifarsi una nuova famiglia al paese, non gli ispira fiducia, non lo ritiene spiritualmente pronto ad affrontare il pellegrinaggio. Inoltre ha un’influenza negativa sul ragazzo, poiché lo spinge a bere fino ad ubriacarsi, per poi sparire misteriosamente la mattina dopo. Forse quello strano individuo voleva solo scroccare un passaggio, ma il vecchio non trova più il denaro che aveva celato dentro un calzino e allora il dubbio che il turco sia in realtà un ladro, lo spinge a coprire di rimbrotti il figlio, ingenuo e credulone. Si verrà in seguito a scoprire un’altra verità: l’anziano aveva dimenticato di aver nascosto il bottino altrove, ritrovato per caso dal figlio, che gli farà credere si tratti di una somma ottenuta come risarcimento dall’assicurazione.
Settima tappa
Prima della fortunata scoperta, il viaggio verso la Siria procede in economia: Mustafà tira fuori alcuni quattrini nascosti in cintura, ma bastano solo per un pieno e per comprare un po’ di uova. Durante una sosta per rifornirsi d’acqua, l’anziano elargisce quel poco che ha ancora nelle tasche a una donna che chiede l’elemosina. Apriti cielo! L’affamato e stanco Reda perde le staffe, cerca di sottrarre la banconota ormai in mano alla questuante, ma riceve in risposta un sonoro schiaffo dal padre. La misura è colma: il giovane agguanta la valigia e s’inerpica lungo una duna, deciso a non fare marcia indietro! Stavolta sarà il padre ad andarlo a recuperare: una volta raggiunto, ansimante e con il fiato in gola, dopo l’estenuante camminata sotto il sole, pronuncerà solo alcune frasi: “Una volta arrivati a Damasco, venderemo la macchina e tu potrai ritornare in aereo. Sei libero!!”.
Ovviamente la coppia si ricompone, ma il ragazzo, se da un lato è tranquillo perché sa di aver ormai poca strada da fare, dall’altro continua a lamentarsi perché ha fame e vorrebbe mangiare qualcosa di sostanzioso, della carne ad esempio. Detto fatto: il padre baratta la macchina fotografica con un montone, deciso a macellarlo, ma il figlio, anziché tenerla fermo, lo lascia scappare. Il sacrificio non può pertanto aver luogo, così il rito mancato crea il pretesto per un’ulteriore baruffa.
I ruoli si ribaltano ancora una volta: la vittima diventa il carnefice, l’offeso precedente si trasforma in colui che crea nuovi argomenti per contendere. Quello che se ne va adesso è il padre, mentre il figlio lo insegue con l’auto, sperticandosi in scuse. “Ma non esiste il perdono nella tua religione?”: trattandosi di un pellegrinaggio verso La Mecca, il padre non potrà esimersi dal perdonarlo, come la “sua” religione d’altra parte insegna. Una maggiore tolleranza nei confronti dell’altro da sé, unita all’attenzione di capirne le ragioni, pur restando sempre fedeli alle proprie convinzioni, accompagna il tragitto finale, segnando l’ingresso in Arabia Saudita.
Ultima tappa
Una prolessi onirica anticipa il messaggio del viaggio filmico: il ragazzo sogna di sprofondare nella sabbia del deserto, mentre il padre, transitando da quelle parti alla guida di un gregge di capre bianche e nere, procede con indifferenza. L’inconfessabile timore di diventare orfano e di conseguenza imprigionato all’interno della sua visione del mondo (difesa strenuamente per rimarcare la differenza rispetto a quella incarnata dal padre) si materializza all’improvviso, al punto che, solo una volta giunti a destinazione, il figlio dimostrerà interesse a capire perché il genitore abbia deciso di intraprendere quel viaggio. Le risposte di Mustafà non si discosteranno dalla tradizione: andare a La Mecca significa raggiungere il luogo santo per i musulmani, celebrare l’eternità del profeta Abramo, ma nel suo caso specifico ha rappresentato imparare anche altre cose in compagnia del figlio. Entrambi riconosceranno l’importanza della loro difficile convivenza e potranno accomiatarsi l’uno dall’altro, scoprendo aperture possibili nei confronti delle rispettive culture di origine: il padre farà ritrovare al figlio la fotografia della ragazza amata, benedicendo forse in cuor suo il rispetto di quel legame multietnico, il ragazzo sarà costretto a mescolarsi ai riti dei pellegrini, raccolti in preghiera, per compiere un ultimo gesto: recuperare il corpo del genitore e seppellirlo secondo la tradizione proprio nel luogo sacro per eccellenza.

Due culture a confronto

Lasciandosi La Mecca dietro le spalle, prima di salire sull’aereo che lo porterà a casa, al ragazzo verrà naturale fare anche qualcosa in più: accorgersi della presenza di un mendicante e fargli un’elemosina… Potrebbe risultare solo un gesto retorico, ma il suo atteggiamento sembra sincero. L’eredità che si porta appresso al termine di questa esperienza, che si è man mano trasformata in una sorta di accompagnamento funebre del padre nel suo viaggio verso la morte (o la vita eterna?), non aveva infatti lo scopo di convertirlo, ma di arricchire il suo laicismo di sentimenti umani, più attenti alla tolleranza e al rispetto della diversità. Il viaggio ascetico del padre permette inoltre al figlio di comprenderne la morte, intesa come progressiva spoliazione di tutti gli aspetti mondani dell’esistenza.

La Mecca raggiunta...

paola tarino