Cinema e Bibbia
Genova, 30/10 1/11/1999
Poster

Il Vangelo secondo Matteo

Le vie della Bibbia e quelle del cinema si incontrano per la prima volta non nelle tante "Passioni" dell’epoca del muto (sorte soprattutto in Francia, nel tentativo di "nobilitare" con una materia elevata un’arte ritenuta attrazione da baraccone, piena di complessi d’inferiorità nei confronti del teatro) o nei kolossal hollywoodiani: si incontrano forse, stando all’ardita ma affascinante suggestione fornita da Paolo De Benedetti, biblista e studioso di giudaismo, in due pagine della Bibbia stessa: quando Dio mostra a Mosè il paese in cui non farà in tempo ad arrivare, e gli dispiega dall’alto del monte un vero e proprio film; e quando il diavolo tenta Gesù mostrandogli "tutti i regni del mondo". In questi testi (Deuteronomio 34 e Matteo 4) la parola scritta cerca l’alleanza della visione, dello sguardo panoramico su una realtà da conoscere con gli occhi. E proprio l’antinomia fra parola scritta e immagine è stata un filo rosso per relatori e partecipanti al convegno internazionale "Il cinema e la Bibbia", che l’associazione Biblia ha organizzato a Genova dal 30 ottobre al 1° novembre.
Biblisti, saggisti, critici cinematografici e docenti di Storia e critica del cinema, ma anche professionisti dell’agire cinematografico e televisivo, come i registi Alessandro D’Alatri (suo il recente I giardini dell’Eden, dedicato agli anni giovanili di Gesù) e Joe Sargent, autore del film televisivo Abramo, nella serie "Le storie della Bibbia" prodotte dalla Rai con la supervisione di Ettore Bernabei (pure lui presente al convegno) negli anni di preparazione al 2000, si sono confrontati partendo da presupposti diversi e indagando in quale modo un materiale che è nelle coscienze di tutti o quasi, almeno nella tradizione occidentale, rappresenta o lo spunto per dei film o il retroterra ineludibile con cui confrontarsi.


Tali dinamiche sono in effetti molto diverse fra loro: altra cosa è prendere l’idea dal testo biblico, come avveniva per le già citate passioni, per i telefilm di recente produzione cui si accennava qui sopra oppure andando a interpretare la stessa cultura occidentale che già si era rifatta a testi biblici (emblematico il film di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet Mosè e Aronne, tutto costruito sull’omonima opera di Arnold Schönberg, oppure il Vangelo secondo Matteo di Pasolini, che legge Cristo attraverso le parole bibliche ma anche attraverso la tradizione pittorica italiana e le musiche sacre da Bach ai negro spiritual); altra cosa è inserire qua e là il riferimento a una cultura (e qui il terreno più ricco di riferimenti è quello del western, oggetto insieme a altri film non dichiaratamente biblici della relazione con esempi filmati del prof. Gavriel Moses dell’Università di Berkeley: La cultura puritana, l’idea della frontiera da raggiungere, di un paese da fondare in base a un patto che riecheggia quello di Dio con il suo popolo può affiorare anche se si parla di ladri di cavalli o di gangster).

Moses und Aron

Insomma, se la Bibbia, come dice Godard, parigino-ginevrino e calvinista per formazione, la Bibbia è la più nota delle sceneggiature (e Claudio G. Fava la definiva scherzosamente una sorta di "Siae infinita"), a seconda degli interessi di autori e sceneggiatori essa diventa punto di riferimento formativo o anche semplicemente pretesto per parlare di come vivono gli uomini. È forse questo il caso dei tre "pezzi da novanta" affrontati nella relazione di padre Nazareno Taddei, gesuita, che ha affrontato Dreyer, Bergman e Tarkovskij. Nel loro cinema la presenza o la lontananza di Dio sono immediatamente riflesse nel modo di vivere angosciato degli uomini, nello stabilirsi o nel frantumarsi dei loro rapporti interpersonali; e la figura ricorrente, quella della "metafora della passione" probabilmente accentua proprio il carattere tutto terreno della loro riflessione.
Altri autori affrontati sono stati Bresson (cattolico di un rigore "giansenistico"), Kieslowski, autore di un Decalogo che intende rivolgersi alla coscienza morale di credenti e non credenti, il Pasolini del Vangelo ma anche del Salò-Sade, Godard stesso, che con Je vous salue, Marie sconvolse la critica integralista mettendo in scena una annunciazione e poi la gravidanza di una ragazza novella Maria, in un film ricco di poesia e per nulla blasfemo.


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