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Le retrospettive

Tsui Hark, quest'anno omaggiato dal FFF con una bella selezione dei suoi film (anche se, spiace dirlo, alcuni titoli ci sarebbe piaciuti vederli in lingua originale e non doppiati in inglese e/o in mandarino...), è un amore di vecchia data degli organizzatori di questo festival bolognese: era già stato presente infatti nell'edizione 2001 con il bel Time&Tide.

E se ne possono intuire facilmente i motivi: siamo infatti di fronte ad uno dei pochi veri "autori", se questo significato nel cinema del terzo millennio ha ancora un senso, del cinema di Hong Kong. Tsui Hark persegue infatti, spaziando tra tutti i generi possibili ed immaginabili (dal poliziesco al melò, dal dramma in costume al film di cappa&spada o wuxia come si chiama in Oriente, dalla commedia al leggendario), una poetica personalissima e riconoscibilissima di film in film, a cominciare dalla trilogia di Once upon a time in China che ha portato sull'altare della ribalta il suo attore feticcio per eccellenza, Jet Li, per proseguire con il dittico di Zu, per finire con il frenetico poliziesco alla Time&Tide, appunto.

Il cinema di Tsui Hark è veramente ricchissimo sotto ogni punto di vista: a cominciare dalla sceneggiatura (le trame dei suoi film sono complesse e piene di personaggi, spesso rendono necessaria almeno una seconda visione per ben comprendere una serie di snodi narrativi), per continuare con la messa in scena e le coreografie (di nuovo, Once upon a time in China è un esempio fulgente di quanto stiam dicendo), per finire con l'uso spesso sfrontato della macchina da presa e del montaggio, che spesso diventano veri protagonisti assieme ai personaggi dei film.

Inoltre, Tsui Hark riesce a non dimenticare l'evoluzione dei tempi, e ad avvalersi di tecniche complesse e raffinate, come quelle massicciamente impiegate nella realizzazione del secondo Zu, Legend of Zu.

Se dobbiamo proprio cercare una matrice comune in un'opera così complessa, sicuramente questa è l'esagerazione, portata spesso all'estremo. Esagerazione che è pane quotidiano ad Hong Kong, dove nessuno si stupisce quando un personaggio vola o spara centinaia di colpi da una semplice pistola. Esagerazione che si fa presto, in Occidente, a bollare di presunzione o peggio a copiare senza coglierne l'anima più profonda, che è spesso giocosa e irriverente, divertita e dissacrante. Ecco perché film come Green Snake o Time&Tide riescono a divertire lì dove i Matrix e cloni vari finiscono solo per annoiare.

La seconda retrospettiva di quest'anno il FFF la dedica al disegnatore indipendente americano Bill Plympton, di cui si è già diffusamente parlato negli incontri. I film scelti a rappresentarlo sono tanti e di indubbio valore, spesso preceduti da alcuni suoi cortometraggi brevissimi e divertenti (su questo Plympton quando ha incontrato il pubblico è stato molto chiaro, un corto per funzionare deve essere davvero corto, non più di 5-10 minuti, e deve essere divertente, costruito intorno ad una sola semplice idea che funzioni e faccia ridere), come per esempio Eat, Parking, How to make love to a Woman.

Tra i lungometraggi vediamo The Tune, il suo primo lungo, come già detto interamente disegnato da lui in circa tre anni di lavorazione ed interamente autoprodotto, e I married a strange person, una irriverente satira sociale su una coppia di sposi in crisi dopo la scoperta da parte di lui di aver acquisito degli strani poteri.

Impossibile non ravvisare dei tratti comuni tra questi due autori così apparentemente agli antipodi. Questi stanno nella loro ostinazione nel perseguire una poetica personalissima e nell'imporre la propria visione sul materiale a costo di qualsiasi cosa.

 

 

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