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Forever Guns
Da "Elephant" a "Bowling a columbine": cosa vuol dire essere contro la politica americana vivendo in America

Cosa può portare due liceali a ordinare, come fosse un giocattolo, un fucile semi-automatico via internet, travestirsi da terminator, e, con la massima freddezza, andare a scuola a scaricare le pallottole su studenti e professori, facendo a gara a chi ne ammazza di più, come in un grande videogioco? "Elephant" di Gus Van Sant non è un film facile, duro e insieme poetico. La rabbia di questi giovani terroristi nasce dalla solitudine, dall’emarginazione, dal desiderio di sentirsi finalmente notati e rispettati; ma soprattutto da una violenza diffusa ormai ovunque: a scuola, in famiglia, nei videogiochi, alla televisione.

Con ritmo lento -dimentichiamoci le solite americanate- intreccia le storie di John, Alex, Elias, Eric, Michelle, ragazzi qualunque, attori praticamente sconosciuti che, come si può vedere dai titoli di coda, non cambiano neppure il loro nome nel film. Un film molto realistico, dunque, e, nonostante la sottile ironia dell’ "ogni riferimento a cose o persone è puramente casuale", è spontaneo il collegamento con la strage di Columbine, 12 morti e decine di feriti.
È una visione molto forte, oserei dire sconvolgente, non per le sparatorie e le ferite (le scene crudeli sono ridotte al minimo e non c’è traccia di cattivo gusto nello stile del regista), ma perché ci mette davanti alla cruda realtà di un Paese dove neanche la scuola è un luogo sicuro.
Quello che spaventa davvero è pensare che dietro a due ragazzi che hanno avuto l’ardire di scaricare la loro rabbia attraverso un fucile ce ne sono tanti altri che, giocando alle sparatorie, si sentono attratti da un’idea simile. Ciò che viene spontaneo chiedersi, davanti ad un massacro così, è come mai negli Stati Uniti la vendita delle armi non venga regolamentata da leggi più severe, com’è possibile che nel paese più "sviluppato" del mondo non abbiano sviluppato il buon senso di impedire che chiunque, anche un bambino, possa procurarsi un’arma con un semplice clic. La risposta è semplice: in America l’industria delle armi è la lobby più potente, appoggiata perfino dal governo. La NRA (National Rifle Assotiation), è forse l'organizzazione più potente d'America, con tre milioni e mezzo d'iscritti. La sua campagna per difendere il diritto di possedere un'arma (di qualsiasi tipo, comprese quelle automatiche) iniziò nel 1968, quando gli U.S.A. adottarono la prima legge sul controllo delle armi da fuoco. Da allora la NRA ha sostanzialmente difeso gli interessi della lobby delle armi, opponendosi a qualunque genere di "gun control". Negli anni '80 l'associazione perse del tutto il suo originario spirito sportivo e divenne semplicemente un gruppo d'opinione di destra. Il linguaggio della NRA è in realtà quello dei più rozzi neonazisti: Robert Brown, uno dei suoi esponenti più celebri, incita su "Soldier of Fortune" alla ribellione contro il governo federale, mentre Jeff Cooper minimizza l'Olocausto e paragona i neri alle scimmie. Non è un mistero che fra i suoi iscritti ci siano migliaia di membri delle milizie paramilitari di estrema destra. Protetta ad oltranza dal Partito Repubblicano negli anni '90 (George Bush la ripudierà soltanto dopo l'attentato di Oklahoma City), l'NRA è da alcuni considerata la più grande organizzazione terrorista del mondo, ma non è mai stata perseguita dalla legge.

Ormai baluardo dell’antimilitarismo statunitense, "Bowling a columbine" di Michael Moore, trattando lo stesso drammatico tema dell’uso abuso delle armi negli Stati Uniti d’America, ha però il taglio indagatore di un’inchiesta, volta a dimostrare gli effetti della cultura della paura che regna negli States. Paura del ladro, dello stupratore, del nero, che porta l’americano medio a barricarsi dietro cancelli, lucchetti e serrature blindate e tenere la pistola sotto il cuscino, per difendere la propria famiglia dagli aggressori. La mentalità diffusa è quella della vendetta privata: non serve chiamare la polizia, ma ogni cittadino, come sancisce il secondo emendamento, ha il diritto di possedere un’arma, dunque di difendersi personalmente. Come dice uno degli intervistati: "Se non sei armato sei un irresponsabile. Chi li difende i tuoi figli: la polizia, lo stato? Taglia fuori l’intermediario, occupati direttamente della tua famiglia"
Il messaggio martellante dei media porta ogni giorno la paura in casa degli americani, ed è soprattutto la televisione, con continue scene di violenze,stupri, furti a mano armata, risse, omicidi, a trasmettere tensione, alimentando così il "bisogno" di armarsi.
Pistole e fucili sono da sempre, vale a dire dalla nascita egli Stati Uniti, compagni inseparabili del cittadino americano, gingilli indispensabili che si possono acquistare ovunque e sono diventati un vero e proprio status symbol. Oggetti da collezione, da culto, da vantarsi con gli amici per l’ultimo modello di fucile a ripetizione acquistato (o regalato dalla propria banca se si apre un conto corrente). Uno studente di Columbine, vantandosi con Moore di essere in testa alla classifica dei ragazzi più pericolosi della zona, descrive orgoglioso la bomba al napalm recentemente fatta in casa. È chiaro come in questo clima di culto dell’arma la loro pericolosità venga altamente sottovalutata, e non c'è da stupirsi che vengano lasciate in casa, alla portata dei bambini.
A Flynt, Michigan, un bambino di sei anni, trovata una pistola in casa dello zio, la porta a scuola, e, quasi per gioco, la punta addosso alla sua compagna Kylie e la uccide. È la stessa città che ha ispirato il celebre cartone South Park, ma questa non è fantasia, è la dura realtà.
Subito dopo, com'era successo anche a Columbine, la NRA organizza, proprio nel luogo dell'omicidio, un gran raduno di oplontofili, con il presidente Charlton Heston che incita una folla di americani esultanti ad armarsi sempre di più, e, brandendo fiero un fucile, esclama: "dalla mia fredda mano morta".

Ma in America non esiste solo il partito delle armi, e, opposti ai comizi dell’NRA, sfilano pacificamente cortei di manifestanti contrari all’uso indiscriminato delle armi, particolarmente animati in seguito alle stragi nelle scuole. I genitori dei bambini e dei ragazzi uccisi dai loro compagni non si arrendono, parlano chiaro: "Qualcosa non va in questo paese se un bambino può prendere un fucile tanto facilmente e sparare una pallottola in fronte a un altro bambino, come è successo a mio figlio!"
Quante persone vengono uccise ogni anno con armi da fuoco? In Germania 381, in Francia 255, in Canada 165, in Inghilterra 68, in Australia 65, in Giappone 39. Negli Stati Uniti, 11 127. Il che significa, rapportato alla popolazione, circa dieci volte di più rispetto alla Francia. I sostenitori delle armi tendono a giustificare questi numeri, giungendo perfino ad attribuire il massacro di Columbine alla musica di Marilyn Manson. Ma non lo ascoltano anche in Germania, patria della musica gotica, non si guardano film violenti anche in Europa, la maggior parte dei videogiochi violenti non viene forse dal Giappone? E cosa dire allora del Canada, dove ci sono ben sette milioni di armi in dieci milioni di case? In America è dunque un pericoloso insieme di fattori che determina l’eccessiva violenza: da una parte l’indiscriminata vendita di armi, neanche minimamente ostacolata, anzi favorita dal governo che ha molti interessi nell’industria bellica, dall’altra un’eccessiva dose di paura e violenza trasmessa dai media, causa e prodotto di una diffusa mentalità di difesa armata personale. Ma alla base della situazione odierna negli States, c’è la loro storia: gli U.S.A. nascono con la conquista violenta di un grande territorio, e, per un lungo periodo, quando non esisteva ancora uno stato, l’unica legge è stata quella della pistola, della difesa personale, e il diritto a possedere un’arma è stato messo tra i primi valori della costituzione (secondo emendamento), dove rimane ancora oggi. Ironia della sorte, il primo articolo della costituzione americana "ogni cittadino ha diritto alla felicità" sembra seriamente minacciato dal secondo emendamento.
Moore non ci da giudizi personali, ma attraverso le sue indagini obiettive ma efficaci ci fa intuire l’assurdità di uno stato che si fonda sul diritto di avere un’arma a portata di mano per difendersi dal prossimo.
Ma, che sia attraverso la poesia del film di Gus Van Sant o l’efficacia informativa del documentario di Moore, quello che rimane è l’amara consapevolezza che l’assurdità della violenza non finisce con i titoli di coda.

Agata Scudo

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