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Sciuscià
Anno: 1947
Regista: Vittorio De Sica;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

Sciuscià. Vittorio De Sica. 1947. ITALIA.

Attori: Rinaldo Smordoni, Franco Interlenghi, Aniello Mele, Bruno Ortensi, Emilio Cigoli, Anna Pedoni

Durata: 92’

 

 

Roma. Immediato dopoguerra. Pasquale e Giuseppe sono due ragazzini che con l’attività di lustrascarpe sognano di acquistare un cavallo. Grazie alla vendita di due coperte rubate agli americani riescono a coronare il loro desiderio, ma la truffa alla quale hanno partecipato si mostra più grande di quanto loro hanno immaginato. Denunciati di furto dalla chiromante alla quale avevano venduto le due coperte, si ritrovano nel carcere minorile per difendere il nome del fratello di Giuseppe, implicato nella truffa. I due ragazzi sono subito divisi in due celle e grazie ad un espediente l’autorità giudiziaria riesce ad ottenere che Pasquale faccia i nomi degli altri coinvolti. Le strade dei due amici sembrano separarsi fra bulli di cella e sospetti, fino alla sentenza della corte di giustizia che li condanna entrambi, aggravando la pena di Pasquale perché ritenuto un elemento violento dopo una rissa nei bagni del penitenziario. Il gruppo di Giuseppe però riesce a scappare ma Pasquale, quando sente che si stanno dirigendo a ritirare il cavallo che avevano acquistato assieme, si offre volontario per aiutare la polizia a ritrovare i fuggitivi. Una volta che avrà di fronte il suo compagno, accecato dalla rabbia, non potrà evitare che questo cada da un ponte e muoia dopo averlo aggredito.

Uno dei capolavori del neorealismo italiano dell’immediato dopoguerra e più specificatamente il terzo in ordine cronologico dopo i due lavori di Rossellini Roma città aperta (1945) e Paisà (1946). Una storia costruita attraverso il linguaggio e la figura dei bambini che riflette l’intera società italiana in stato di precarietà e miseria e che il contributo degli americani sembra non giovare (Giuseppe che lava le scarpe all’americano e che quando vuole essere pagato si sente rispondere “Tomorrow” in riferimento ad un domani instabile e rimandato giorno dopo giorno). Il discorso che questa volta De Sica vuole affrontare è diretto sin dai pallidi titoli che scorrono su un’unica immagine, oscura, come l’interno del carcere minorile. Decisa la scelta del dramma: la gioia dell’acquisto del cavallo bianco (immagine utopica nella fase della crescita dei due ragazzi) interrotta bruscamente dall’arresto e la soggettiva con la quale De Sica c’introduce nel carcere, una sovrapposizione di sbarre che trasformeranno i due ragazzi in veri delinquenti (“Qui fumano tutti, perché è proibito!”). La sceneggiatura fu scritta per necessità di realtà dallo stesso regista con più di una collaborazione (Sergio Amidei), ma alla quale contribuì soprattutto Cesare Zavattini, autore anche del soggetto e da sempre interessato a cogliere gli aspetti marginali della realtà attraverso la pedinamento e la distrazione cinematografica (teoria messa in pratica soprattutto nella prima parte della pellicola, prima dell’ingresso nel carcere). Mai invadente il commento musicale di Alessandro Cicognini, sempre sotto le righe e pronto a segnalare solo poche, importanti immagini (quando Pasquale è definito senza fissa dimora, l’inquadratura sulle sue impronte è accompagnata da un sol colpo d’orchestra). Preciso il montaggio (ben due inquadrature sulle mani dei protagonisti che si separano quando sono divisi in due celle diverse) perfetto nel cogliere immagini che parlano più delle parole (lo sguardo perso dei ragazzi al processo; il saluto fascista tra il cuoco ed il direttore del penitenziario, involontario, necessario). Oscar speciale come miglior film straniero nel 1947 per “la qualità superlativa raggiunta in circostanze avverse”. Costato meno di un milione di lire, fu venduto per quattromila lire al distributore americano Ilya Lopert che ci guadagnò un milione di dollari (il Morandini 2003). A distanza di oltre cinquanta anni, è una di quelle pellicole che oltre che ad aver contribuito alla storia del cinema, è anche una di quelle sulle quali non si può più nulla dire e che è invece necessario solo vedere. Il termine sciuscià (che l’autore identifica con “ragazzi” nel sottotitolo) deriva da shoe-shine, lustrascarpe.

Ce danno da magnà, da dormì, ce vestono, ce fanno puree divertì, che vuoi di più? riflettono tra loro i bambini dietro le grate della prigione.

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Bucci Mario

[email protected]