Sciuscià.
Vittorio De Sica. 1947. ITALIA.
Attori: Rinaldo Smordoni,
Franco Interlenghi, Aniello Mele, Bruno Ortensi, Emilio Cigoli, Anna Pedoni
Durata: 92’
Roma. Immediato dopoguerra.
Pasquale e Giuseppe sono due ragazzini che con l’attività di lustrascarpe
sognano di acquistare un cavallo. Grazie alla vendita di due coperte rubate
agli americani riescono a coronare il loro desiderio, ma la truffa alla quale
hanno partecipato si mostra più grande di quanto loro hanno immaginato.
Denunciati di furto dalla chiromante alla quale avevano venduto le due coperte,
si ritrovano nel carcere minorile per difendere il nome del fratello di
Giuseppe, implicato nella truffa. I due ragazzi sono subito divisi in due celle
e grazie ad un espediente l’autorità giudiziaria riesce ad ottenere che
Pasquale faccia i nomi degli altri coinvolti. Le strade dei due amici sembrano
separarsi fra bulli di cella e sospetti, fino alla sentenza della corte di
giustizia che li condanna entrambi, aggravando la pena di Pasquale perché ritenuto
un elemento violento dopo una rissa nei bagni del penitenziario. Il gruppo di
Giuseppe però riesce a scappare ma Pasquale, quando sente che si stanno
dirigendo a ritirare il cavallo che avevano acquistato assieme, si offre
volontario per aiutare la polizia a ritrovare i fuggitivi. Una volta che avrà
di fronte il suo compagno, accecato dalla rabbia, non potrà evitare che questo
cada da un ponte e muoia dopo averlo aggredito.
Uno dei capolavori del
neorealismo italiano dell’immediato dopoguerra e più specificatamente il terzo
in ordine cronologico dopo i due lavori di Rossellini Roma città aperta
(1945) e Paisà (1946). Una storia costruita attraverso il linguaggio e
la figura dei bambini che riflette l’intera società italiana in stato di
precarietà e miseria e che il contributo degli americani sembra non giovare
(Giuseppe che lava le scarpe all’americano e che quando vuole essere pagato si
sente rispondere “Tomorrow” in riferimento ad un domani instabile e
rimandato giorno dopo giorno). Il discorso che questa volta De Sica vuole
affrontare è diretto sin dai pallidi titoli che scorrono su un’unica immagine,
oscura, come l’interno del carcere minorile. Decisa la scelta del dramma: la
gioia dell’acquisto del cavallo bianco (immagine utopica nella fase della crescita
dei due ragazzi) interrotta bruscamente dall’arresto e la soggettiva con la
quale De Sica c’introduce nel carcere, una sovrapposizione di sbarre che
trasformeranno i due ragazzi in veri delinquenti (“Qui fumano tutti, perché
è proibito!”). La sceneggiatura fu scritta per necessità di realtà dallo
stesso regista con più di una collaborazione (Sergio Amidei), ma alla quale
contribuì soprattutto Cesare Zavattini, autore anche del soggetto e da sempre
interessato a cogliere gli aspetti marginali della realtà attraverso la
pedinamento e la distrazione cinematografica (teoria messa in pratica
soprattutto nella prima parte della pellicola, prima dell’ingresso nel
carcere). Mai invadente il commento musicale di Alessandro Cicognini, sempre
sotto le righe e pronto a segnalare solo poche, importanti immagini (quando
Pasquale è definito senza fissa dimora, l’inquadratura sulle sue impronte è
accompagnata da un sol colpo d’orchestra). Preciso il montaggio (ben due
inquadrature sulle mani dei protagonisti che si separano quando sono divisi in
due celle diverse) perfetto nel cogliere immagini che parlano più delle parole
(lo sguardo perso dei ragazzi al processo; il saluto fascista tra il cuoco ed
il direttore del penitenziario, involontario, necessario). Oscar speciale come
miglior film straniero nel 1947 per “la qualità superlativa raggiunta in
circostanze avverse”. Costato meno di un milione di lire, fu venduto per
quattromila lire al distributore americano Ilya Lopert che ci guadagnò un
milione di dollari (il Morandini 2003). A distanza di oltre cinquanta anni,
è una di quelle pellicole che oltre che ad aver contribuito alla storia del
cinema, è anche una di quelle sulle quali non si può più nulla dire e che è
invece necessario solo vedere. Il termine sciuscià (che l’autore
identifica con “ragazzi” nel sottotitolo) deriva da shoe-shine,
lustrascarpe.
Ce danno da magnà, da dormì,
ce vestono, ce fanno puree divertì, che vuoi di più? riflettono tra loro i
bambini dietro le grate della prigione.
.
Bucci Mario
[email protected]