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Requiem for a dream
Anno: 2000
Regista: Darren Aronofsky;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 14-04-2005


Requiem for a dream

Requiem for a dream. Darren Aronofsky. 2000. USA.

Attori: Ellen Burstyn, Jennifer Connelly, Keith David, Sean Gullette, Louise Lasser, Jared Letho, Christopher MacDonald, Marlon Wayans

Durata: 102’

 

 

Sara ed Harry Goldfarb, madre e figlio, litigano per l’ennesima volta. Harry le porta via il televisore per rivenderlo ad un ricettatore e comprarsi della droga. Sara torna dal ricettatore per riprenderselo. Entrambi hanno un’ossessione, lui per le droghe e lei per la televisione, unica compagnia con la quale tira avanti la giornata poiché rimasta vedova. Un giorno capita che le vite di entrambi subiscano una svolta. Harry decide, con la fidanzata Marion e l’amico Tyrone, di mettersi a spacciare, mentre sua madre è contattata dalla redazione del suo programma preferito alla televisione per partecipare ad una puntata. Per entrambi però le cose si mettono diversamente. Harry diventa un tossicodipendente e quando finisce la roba è costretto a lasciare che Marion si prostituisca, mentre sua madre, ossessionata dalla dieta dimagrante che ha scelto di seguire per essere più presentabile il giorno che la chiameranno a partecipare al programma, assume delle anfetamine che le fanno perdere man mano la ragione. L’epilogo tragico non risparmierà nessuno dei protagonisti.

Parabola di un sogno, quello americano, che termina nell’abisso della tragedia ed alla quale nessuno scampa. Il secondo lavoro di Darren Aronofsky, tratto dall’omonimo romanzo di Hubert Selby Jr, è un’altra bomba ad orologeria, dopo il precedente ∏ - Il teorema del delirio (1997), innescata per detonare con un perfetto ed enorme botto: Requiem for a dream, sebbene si avvalga di uno stile alla moda e di natura videoclippara, ha una profondità tale, infatti, da riuscire a portare sullo schermo il vero lato oscuro e privo di patine di American beauty (1999) di Sam Mendes ed il cancro di Magnolia (2000) di Paul Thomas Anderson, senza paura, senza allusioni, ma con una voglia di dire tutto senza tralasciare nulla, che ha l’effetto di un elettroshock. La costruzione e lo sviluppo narrativo del film, infatti, segue molto il modello delle due opere citate, ma per coraggio mostrato, bisogna ammettere che questo film va molto oltre, fino a toccare il fondo di un sogno fasullo e ricco di facili illusioni. Oltre alle due opere citate, si possono rintracciare tanti altri elementi del cinema già visto che Darren Aronofsky riprende per dare vita a questo estremo collage: c’è Spike Lee (le donne anziane che confabulano al sole), Paul Morrissey ed Andy Warhol (l’uso dello split screen), Stanley Kubrick (tutta la prima parte del film dimostra una maniacale ricercatezza nella scelta di dove posizionare la m.d.p.), c’è David Cronenberg (oltre che nella scena dei ragazzi sul letto che ricorda quella di Crash (1996) anche il rapporto tra dipendenza\corpo\mente) e qualcosa di Robert Rodriguez (specialmente nel montaggio) e del suo El mariachi (1992), ma anche di David Lynch (nell’uso del suono). Sontuoso e costosissimo, avrebbe meritato miglior fortuna, ma in Italia è passato praticamente inosservato sebbene sia stato presentato a Cannes ed Ellen Burstyn abbia ottenuto una nomination agli Oscar. La fotografia di Matthew Libatique è superba, la musica dei Kronos Quartet una colonna sonora da conservare, mentre Marlon Wayans, il ragazzo che interpreta Thyrone, l’amico tossico di Harry, è uno dei fratelli Wayans, autori delle parodie horror innescate con Scary movie (2000).

 

 

Bucci Mario

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