Requiem
for a dream. Darren
Aronofsky. 2000. USA.
Attori: Ellen Burstyn, Jennifer
Connelly, Keith David, Sean Gullette, Louise Lasser, Jared Letho, Christopher
MacDonald, Marlon Wayans
Durata: 102’
Sara ed Harry Goldfarb,
madre e figlio, litigano per l’ennesima volta. Harry le porta via il televisore
per rivenderlo ad un ricettatore e comprarsi della droga. Sara torna dal ricettatore
per riprenderselo. Entrambi hanno un’ossessione, lui per le droghe e lei per la
televisione, unica compagnia con la quale tira avanti la giornata poiché
rimasta vedova. Un giorno capita che le vite di entrambi subiscano una svolta.
Harry decide, con la fidanzata Marion e l’amico Tyrone, di mettersi a spacciare,
mentre sua madre è contattata dalla redazione del suo programma preferito alla
televisione per partecipare ad una puntata. Per entrambi però le cose si
mettono diversamente. Harry diventa un tossicodipendente e quando finisce la
roba è costretto a lasciare che Marion si prostituisca, mentre sua madre,
ossessionata dalla dieta dimagrante che ha scelto di seguire per essere più
presentabile il giorno che la chiameranno a partecipare al programma, assume
delle anfetamine che le fanno perdere man mano la ragione. L’epilogo tragico
non risparmierà nessuno dei protagonisti.
Parabola di un sogno,
quello americano, che termina nell’abisso della tragedia ed alla quale nessuno
scampa. Il secondo lavoro di Darren Aronofsky, tratto dall’omonimo romanzo di
Hubert Selby Jr, è un’altra bomba ad orologeria, dopo il precedente ∏
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Il teorema del delirio (1997),
innescata per detonare con un perfetto ed enorme botto: Requiem for a dream, sebbene si avvalga di
uno stile alla moda e di natura
videoclippara, ha una profondità tale, infatti, da riuscire a portare sullo
schermo il vero lato oscuro e privo di patine di American beauty (1999) di Sam Mendes ed il cancro di Magnolia (2000) di Paul Thomas Anderson,
senza paura, senza allusioni, ma con una voglia di dire tutto senza tralasciare
nulla, che ha l’effetto di un elettroshock. La costruzione e lo sviluppo
narrativo del film, infatti, segue molto il modello delle due opere citate, ma
per coraggio mostrato, bisogna ammettere che questo film va molto oltre, fino a
toccare il fondo di un sogno fasullo e ricco di facili illusioni. Oltre alle
due opere citate, si possono rintracciare tanti altri elementi del cinema già
visto che Darren Aronofsky riprende per dare vita a questo estremo collage: c’è
Spike Lee (le donne anziane che confabulano al sole), Paul Morrissey ed Andy
Warhol (l’uso dello split screen), Stanley Kubrick (tutta la prima parte del
film dimostra una maniacale ricercatezza nella scelta di dove posizionare la
m.d.p.), c’è David Cronenberg (oltre che nella scena dei ragazzi sul letto che
ricorda quella di Crash (1996) anche
il rapporto tra dipendenza\corpo\mente) e qualcosa di Robert Rodriguez (specialmente
nel montaggio) e del suo El mariachi
(1992), ma anche di David Lynch (nell’uso del suono). Sontuoso e costosissimo,
avrebbe meritato miglior fortuna, ma in Italia è passato praticamente
inosservato sebbene sia stato presentato a Cannes ed Ellen Burstyn abbia
ottenuto una nomination agli Oscar. La fotografia di Matthew Libatique è
superba, la musica dei Kronos Quartet una colonna
sonora da conservare, mentre Marlon Wayans, il ragazzo che
interpreta Thyrone, l’amico tossico di Harry, è uno dei fratelli Wayans, autori
delle parodie horror innescate con Scary movie (2000).
Bucci Mario
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