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Nascita di una nazione - The Birth of a Nation
Anno: 1915
Regista: David Wark Griffith;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 01-04-2004


La grande guerra

Nascita di una nazione. David Wark Griffith. 1915. USA.

Attori: Lillian Gish, Henry B. Walthall, Mae Marsh, Miriam Cooper, Robert Harron, Ralph Lewis, Mary Alden, George Siegmann, Walter Long, Wallace Reid

Durata: 159’

Titolo originale: The Birth of a Nation

 

 

Seconda metà dell’800. Non ancora gli Stati Uniti d’America. Due famiglie, due schieramenti, due razze, due tempi, una nazione. Gli Stoneman e i Cameron, il nord della Pennsylvania ed il sud del South Carolina, i neri ed i bianchi, nascita di una nazione e ricostruzione, il Ku Klux Klan.

Per il primo grande, sontuoso esempio di cinema, forse la storia più brutta mai portata sullo schermo e sulla quale non è necessario soffermarsi se non per dire che fu ispirata ai romanzi L’uomo del clan (The Clansman – titolo con il quale la pellicola fu presentata per la prima a L.A.) e The Leopard’s Spots di Thomas Dixon, un pastore battista. Figlio di un generale sudista razzista, Griffith non poteva, infatti, scegliere una celebrazione peggiore per fare uno dei film che avrebbe dato vita al cinema. Pregi cinematografici, infiniti…. Nascita di una nazione rimane comunque uno dei più grandi film della storia del cinema muto a dispetto di coloro che, per quanto giustamente, stigmatizzano il suo razzismo (Massimo Moscati – Breve storia del cinema – Bompiani). Tema del doppio, come si è detto, strutturato e disseminato per tutta la na(rra)zione, a partire dall’ostilità, che introduce il gatto ed il cane, e che arriva sul campo di guerra nell’abbraccio-bacio-abbandono al sonno mortale di due militari nemici, sino al ricongiungimento finale. Uso delle comparse come elementi che partecipano alla definizione della scenografia: la scena del ballo che anticipa la prima vittoria di sudisti (con la gente sulle scale in campo lungo e la folla di ballerini); le battaglie sontuose in campo lunghissimo; le parate militari… Montaggio: salti spaziali, contemporaneità (le tre azioni finali parallele che definiscono il cosiddetto montaggio alla Griffith: Elsie aggredita dal governatore mulatto Lynch, i Cameron aggrediti in casa loro e l’arrivo tempestivo del K.K.K.) e rappresentazione dell’altrove (stanza di Lincoln rappresentata con mascherina sulla m.d.p.). Due movimenti di m.d.p.: il carrello all’indietro su Phil Stoneman che conduce l’attacco sudista al fronte nemico (inquadratura falso piano americano) e sulle cavalcate dei terribili membri del K.K.K.; la brevissima panoramica che introduce lo sbarco: da sinistra (in campo medio stretto, una madre con figlie) a destra (in campo lunghissimo, lo sbarco ad Atlanta). L’insieme di tutte queste innovazioni, e la maestosità della produzione (nove settimane di riprese e cifra record di 110.000 $), portarono definitivamente il cinema lontano dal contesto teatrale (nessun teatro avrebbe guadagnato, infatti, 15 milioni di $, quanti ne incassò il film). Griffith anzi, ebbe il coraggio di portare il teatro dentro il cinema nell’incredibile omicidio del presidente Lincoln, nella quale sequenza si possono rintracciare elementi di controcampo che coinvolgono più di un punto d’osservazione. L’opera rappresentata era Our american cousin, con Laura Keene. Vale la pena ricordare la brutta rappresentazione del parlamento a maggioranza di uomini di colore, il momento forse in cui più di tutti il regista aggredisce l’umanità di quella che all’epoca era vista solo come una razza. Durante la prima settimana di proiezione a N.Y., la pellicola arrivava a 13 bobine (13.058 metri), poi ridotta a 12 e mezza (12,500 m) ed infine a 9 bobine e mezza nell’edizione sonorizzata del 1930 (9.500 m) (F. Di Giammatteo – Dizionario del cinema americano). Billy Bitter e Karl Brown furono i direttori della fotografia mentre Erich von Stroheim (l’uomo che cade dal tetto), Raoul Walsh (l’assassino di Lincoln) (il Mereghetti – Dizionario dei film 2000) e Jack Conway fecero gli assistenti alla regia (il Morandini – Dizionario dei film 2004). Per risposta alle polemiche, che non si placarono nemmeno con The rise and fall of free speech in America (pamphlet che fece inserire prima dei titoli di testa e nel quale s’appellava alla libertà d’espressione) girò il seguente kolossal Intolerance (1916). Scrisse Ejsenstein su Nascita di una nazione, ma soprattutto su Griffith “…è dio Padre. Egli ha tutto creato, tutto inventato… Per quanto mi riguarda, gli devo tutto” (Massimo Moscati – Breve storia del cinema – Bompiani). In realtà, sebbene fu The birth of a nation a dare il colpo di grazia ad un certo tipo di cinema ancora legato al fenomeno da baraccone, in Europa esso sbarcò solo dopo la fine della prima guerra mondiale, in Francia nel 1921, mentre già altre opere prima di questa avevano battuto la strada del lungometraggio: in Italia i primi esempi prodotti erano stati La caduta di Troia (1910) di Giovanni Pastrone, Quo vadis? (1913) di Enrico Guazzoni e Cabiria (1914) ancora di Pastrone. Tutto Griffith è già in Italia negli anni ’10, come egli stesso ammetterà (Massimo Moscati – Breve storia del cinema – Bompiani). Ne esiste a mio avviso un solo remake, con debite ed intelligenti rivisitazioni e modifiche per fortuna, ed è Gangs of N.Y. (2002) di Martin Scorsese.

 

 

Bucci Mario

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