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Lolita
Anno: 1962
Regista: Stanley Kubrick;
Autore Recensione: Federica Arnolfo
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 23-06-1998


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Una mano maschile passa delicatamente lo smalto sulle unghie di un piede femminile. Scorrono I titoli di testa. Un uomo, visibilmente in preda ad una forte passione, entra in una casa dove, in modo molto evidente, la notte prima si è svolta una festa. Cerca un altro uomo e lo trova, ubriaco, e gli spara, sforacchiando un quadro. Ma non prima di aver fatto un nome, Lolita
Il professor Humbert Humbert cerca una camera in affitto in una cittadina della provincia americana. E la trova presso Charlotte Haze, vedova di mezza età, madre di una ragazzina di 15-16 anni che sembra turbare in modo profondo I pensieri del professore. Una ragazzina, una ninfetta, una strega.

L'ossessione.
Humbert sposa Charlotte pur di stare vicino e Lolita, e quando quella muore in un incidente stradale, il professore sembra realizzare il suo sogno di godere della sua ninfetta finché questa non diventi adulta ma l'ossessione è gelosia: Lolita non è una sprovveduta ragazzina in balia degli eventi. Nabokov aveva creato il personaggio di Lolita inspirandosi alle eteree e terrificanti fanciulle che compaiono nell'opera di Poe. Dice Humbert nel romanzo: "tra i limiti di età di nove e quattordici anni, non mancano le vergini che a certi ammaliati viaggiatori rivelano la loro reale natura; una natura non già umana, ma di ninfa (vale a dire demoniaca)". Kubrick dice la sua con uno stacco fortissimo da un'inquadratura all'altra: si passa dal bel primo piano del dolcissimo viso di Sue Lyon-Lolita in giardino, al volto di Frankenstein nel film che il triangolo Humbert-Lolita-Charlotte sta vedendo in un drive in. La metafora e' ovvia, visivamente parlando: Lolita è un mostro. E' una "femme fatale", portatrice di morte e di rovina. E mentre gioca con Humbert (ché la vera vittima, tanto nel romanzo quanto nel film, è lui), ama un altro uomo, Clare Quilty, che nel film prende le sembianze del mai abbastanza compianto Peter Sellers. Uno e trino, qui come nel prossimo "Dottor Stranamore" il grandissimo attore inglese interpreta più ruoli, o meglio un solo ruolo che gioca al travestitismo più sfrenato, al fregolismo più sfacciato. Quilty è il doppio perfetto di Humbert, è la sua "metà oscura", colui che "ha tratto vantaggio del suo svantaggio". E' colui che realizza il suo sogno, fino alle estreme conseguenze, sbarazzarsi cioè della ragazzina quando ormai ha passato la pubertà. Humbert e Quilty nelle prime inquadrature del film giocano a ping-pong, si specchiano l'uno nell'altro, si curano entrambi della stessa pallina

L'amore.
Quilty nella sua coerenza trionfa, anche se poi muore sotto i colpi di Humbert. Humbert perde, perche' la sua ossessione si trasforma in amore. Quando rivede Lolita, quattro anni più tardi, non ha più davanti una ninfetta, ma una giovane donna moglie e madre, alle prese con una casa, con le faccende di tutti i giorni (sta stirando), con i debiti. Lolita è ormai una persona "normale" (nella prima parte del film, Quilty in una delle sue interpretazioni appiccica ad Humbert l'etichetta di normale, sottintendo che lui non lo è, e per estensione non lo è neanche Lolita). Ma Humbert le dice di venir via con lui, capisce forse solo in quel momento di amarla. Come donna, non come ninfetta. Ma non c'è speranza, Humbert è destinato a morire per quell'ossessione che non ha saputo consumare fino in fondo. E in virtù di ciò non può non far morire anche il suo doppio, Quilty. E il film, come un cerchio perfetto, si chiude così come era iniziato.

L'amore sano
Inutile parlarne. Nel cinema di Kubrick è assente. In questo Lolita non fa eccezione: Humbert viene sconfitto nel momento in cui la sua perversione si trasforma in amore.
Kubrick è un cinico, ma questo ormai credo non sia più una gran novità.