La
sparatoria. Monte Hellman. 1966. U.S.A.
Attori: Warren Oates, Jack
Nicholson, Millie Perkins, Will Hutchins
Durata: 82’
Titolo
originale: The
Shooting
Una donna fredda ed ambigua
assolda due minatori per farsi scortare fino ad una cittadina di là del
deserto. Uno di loro è un cacciatore di taglie che ha deciso di dedicarsi al
lavoro nella miniera mentre l’altro è il suo amico che stupidamente s’innamora
di lei. A metà strada dalla meta i piani della donna cambiano: piuttosto che
raggiungere la città decide di seguire le tracce lasciate da qualcuno che
procede in anticipo sul loro gruppo ed un terzo uomo, un killer professionista
ed assoldato precedentemente dalla donna, si aggiunge al terzetto con il
pretesto di proteggerla. In realtà la donna è in cerca di vendetta dopo che un
uomo, ubriaco, le ha ucciso il marito ed il figlio. Quest’uomo è il fratello
gemello del cacciatore di taglie.
Western anomalo e psicologico
(del genere sono espliciti solo i costumi e le ambientazioni) girato a basso
costo in contemporanea di un altro lavoro dello stesso regista: Colline blu,
entrambi prodotti dal regista e dall’ancora giovane Jack Nicholson. Ambientato
praticamente tutto nel deserto, in groppa a cavalli che faticano ad arrivare a
destinazione, sembra di assistere ad un road movie atipico (la strada è
solo una meta) e recitato in concreto da solo quattro attori. Finale meno
scontato di quanto si mostri in apertura (si capisce immediatamente che il vero
obiettivo della donna è di uccidere il fratello del cacciatore di taglie) che
sorprende lo spettatore con l’idea del gemello, freddato dalla donna in una
sequenza (rallentata) che ricorda alla lontana quella di Duello al sole
(1946) di Vidor, spogliata di quel dramma manieristico e spettacolare che
l’aveva contraddistinta. Essenzialità del mito cinematografico,
antispettacolarità ed antieroismo sono i cardini di una porta che si affaccia
su un modo nuovo e diverso di raccontare il western; tempi lunghi ed ariosità
del paesaggio (il deserto dello Utah in questo caso) sono fini sia ai tempi di
realizzazione del film (che in un primo momento hanno inciso sulla discesa del
regista nel regno della serie B) che a quell’essenzialità che proprio il
western classico sembrava aver dimenticato. Sceneggiatura minima e per questo solidissima
(quasi ferma allo stadio di soggetto) di Carol Eastman che firma con lo
pseudonimo di Adrien Joyce.
Bucci Mario
[email protected]