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LOIN - Lontano
Anno: 2000
Regista: André Téchiné;
Autore Recensione: clarissa
Provenienza: Francia/Spagna;
Data inserimento nel database: 15-09-2001


LOIN [Lontano / Faraway]

LOIN [Lontano / Faraway]

André Téchiné

CONCORSO – Venezia 58

SCENEGGIATURA André Téchiné, Faouzi Bensaïdi

FOTOGRAFIA Germain Desmoulins

INTERPRETI Stéphane Rideau (Serge, Lubna Azabal (Sarah), Mohamed Hamaidi (Saïd), Yasmina Reza (Emily), Jack Taylor (James)

Francia/Spagna, 2000

35 mm (1:1,85), colore, 120’

 

Tangeri e la vita che scorre, come i fiumi che si incontrano e si dividono ma che alla fine scorreranno sempre verso Tangeri, come Le fleuve di Renoir, mostrato al cinema d’essai di Tangeri. Tangeri è il personaggio principale del film, babelica, brulicante, di una luminosità assoluta, che risuona delle mille lingue che si incontrano lì. La città di contrasti, apertissima e al contempo prigione per chi non vuole più starci o per chi non può non restare.

Tre giorni e tre storie a Tangeri, tre storie fatte di strade e movimento sulle strade, mai fermo e mai docile. Sarah ha una pensione malfamata vicino al porto, non sa se restare nella Tangeri, che adora, o andarsene a vivere in Canada, dopo la morte della madre vive sola con Said un ragazzino tutto fare, che ha solo la sua bicicletta, non è amico di nessuno e conosce tutti, e ha come unico desiderio di andarsene da Tangeri. Serge fa il camionista tra Marocco e Spagna, senza passioni né lamentele, ama Sarah e va e viene da Tangeri, e ogni volta sono passione, litigi e separazioni. Quando dopo l’ultimo litigo crede che la storia con Sarah sia finita, accetta con passività di portare un carico di droga.

Inizia così Loin, con Serge che aspetta su un muretto di Algesiras il suo contatto, un marocchino taciturno che lo mette alla prova (lui è il bellissimo regista del gioiellino Il muro, Faouzi Bensaidi, corto surrealista, storico, speranzoso e abbacinante, mostrato quest’anno al festival del cinema africano, e de La falaise, altro corto che il festival africano l’ha vinto l’anno scorso; qui oltre che attore è co-sceneggiatore insieme a Techiné, e la sceneggiatura riprende il romazo Le Citron di Mrabet che viene riprodotto nella Tangeri di oggi. I sceneggiatori sono assolutamente innamorati di Tangeri).

Serge torna a Tangeri e lì promette all’amico Said di portarlo con sé in Spagna se fa in modo di fargli reincontrare Sarah. Quando, dopo corse e riappacificazioni, Serge è sicuro del suo amore con Sarah e vorrebbe rinunciare al trasporto, scopre che è troppo tardi e la abbandona, forse per sempre. Non mantiene neanche la parola data a Said. Said alla fine fuggirrà senza il permesso di Serge, nascondendosi sotto il suo camion. Sono angoscianti le scene , realistiche e rispondenti al vero (Techiné ha studiato questi balletti dei ragazzi che cercano di infilarsi sotto camion o dentro stive) di Said che sgattaiola e si arrampica per nascondersi sotto il camion sfuggendo ai controlli, come in un balletto mortale. Said che ha come unico desiderio andarsene non intreccia rapporti con nessuno e fa spegnere sul nascere una possibile, dolcissima storia col giovane regista Francois, uno della corte di James, l’inglese ricco e omosessuale che vive a Tangeri come vivesse in un Eden.

Un film forte, e non si tratta di condividerlo, il film non cerca di convincerti con la logica, ma ti prende allo stomaco e ti appassiona nel suo lasciare splendere i sentimenti e le paure (anche se è chiara la denuncia ai blocchi nel mondo che impediscono ogni movimento da sud a nord, e solo per chi non ha soldi e fortuna). Come quando Serge al ritorno dal viaggio e dopo aver avuto i contatti coi narco-trafficanti si trova a sottostare ad un controllo della polizia e né tu né lui sa cosa accadrà, solo che lui è molto più rassegnato e tranquillo di te.

Nel film il movimento sembra una perdita, non c’è nessuna poesia nel viaggiare, piuttosto un’elegia della casa, non come il camino e il focolare ma la casa come città in cui sei quello che vuoi, altrimenti è meglio che cerchi casa altrove.

I tre personaggi non costituiscono un gruppo chiuso e autosufficiente, ma la relazione è osmotica con esterno con gli altri con la città soprattutto, i rapporti umani si complicano e arricchiscono nel contatto con tutte le altre comunità. Non poteva infatti mancare oltre alla comunità degli abitanti (stupenda Farida la donna madre sigle che vive felice e contenta, specchio del Marocco di oggi che non è fatto solo di esotismi e libertà per l’uomo e di segregazione e silenzio delle donne), quella dei giovani immigrati da altri paesi del Margheb, degli immigati neri nigeriani; anche se resta la Tangeri come personificazione del sogno occidentale, quella degli europei affascinati dal clima e dalla mollezza, come quegli scrittori in cerca di favori e giovinetti, come l’inglese che sembra Paul Bowles, che era arrivato ricco e affascinato e ora resta a vivere lì nel ricordo di ciò che lo affascinava.

Anche questo è Tangeri e Tangeri conserva e ama, a modo suo, tutti i suoi abitanti. E tu, che dopo il film vorresti solo andare a viverci, ti senti in colpa perché lo puoi fare, mentre Said e gli altri piccoli acrobati devono inventare sotterfugi e rischiare la vita. E Tangeri non è poi così lontana da casa nostra, né casa nostra è poi più libera.