SOGGETTO E SCENEGGIATURA Damien Odoul
FOTOGRAFIA Pascal Granel
INTERPRETI Pierre-Louis Bonnetblanc (David)
Francia, 2000
35 mm (1:1,66), bianco e nero, 80’
Bianco e nero e realismo magico di Le Soufle, primo lungometraggio scritto e girato in 17 giorni da Damien Odoul, è un film crudele come la Vie de Jesus, un film che fa splendere la noia adolescenziale e l’ansia iniziatica del protagonista. In questo film, per la prima volta, ho capito perché gli adolescenti fanno tutte stupide e inutili che fanno: è come se vivessero sempre in un film ripresi e giudicati, sempre obbligati a fare qualcosa e muoversi come in un videoclip.
Come tutti ben sanno le vacanze estive generano mostri, soprattutto quelle in campagna dove è impossibile distrarsi con altro, si resta soli con sé, la natura e le comunità montane. Un adolescente bello e ruvido come sono gli adolescenti quando non sanno di essere belli, durissimo e annoiatissimo, passa le vacanze dallo zio in campagna, non lavora, non impara, non gode l’aria buona ma bighellona, ascolta rap marsigliese, gira isterico e gioca coi soldatini indeciso se abbandonare l’infanzia o raggiungere l’età adulta. Comunque l’iniziazione del giovane avverrà a base di maiale squartato (bellissime e pesanti le scene della preparazione della carne, con la carne che si strappa lentamente e con uno strappo doloroso da vedere)e litri di vino, un pranzo di una società maschile solidale e rurale. Dopo la cerimonia di iniziazione il giovane ubriaco si aggira per campi e fontane (con o senza conigli) per evitare l’onta di farsi vedere mentre sta male; ancora brillo e eccitato trova l’amico di campagna e dopo una stupida discussione lo uccide con un colpo di fucile, dandogli del borghese. Ritornato, forzatamente e ormai inutilmente, sobrio cerca di caricarlo sul suo cavallo, una scena penosa e lunghissima, il cavallo che scappa, il corpo che cade, David che urla e vuole sparare anche al cavallo, David che piange, che urla. Forse è così che si esce dal narcisismo crudele e dall’orgoglio ottuso dell’adolescenza. Il desiderio dell’assoluto non sublimato porta solo alla violenza, niente di male sarebbe successo se David fosse con zii e vicini a giocare a carte, ammettendo la sbronza e i propri limiti. Fa duro contrasto la spietata la solitudine del giovane mentre la comunità maschile si salva dalla crudeltà stando insieme (E questi signori, ciccioni o segaligni, comunque ispidi e scavati, sono stupendi hanno quelle facce di una volta e quella lingua antica e incomprensibile dei saggi di campagna).
Poi come in una fiaba, dopo aver riportato il corpo dell’amico a casa, David fugge nel castello incantano della sua principessa, rinchiusa tra ricchezze e musica, e lì piange le supplica di non credere va quel che le diranno. Sembra il primo film della Breillat fatto da un uomo su un uomo, la storia dell’iniziazione maschile; e forse non è un caso che vi siano poco corpo e niente sesso. L’iniziazione maschile non passa per la perdita della verginità ma per la violenza e il legame colla comunità? Comunque l’ansia di voler fare qualcosa senza sapere cosa e la noia di tutto sono gli stessi di una Vraie Jeune Fille della Breillat, che nello stesso ritorno alla casa di campagna per l’estate vaga per campi e non volendo mimare la guerra come David, mima l’amore si trascina nuda sui rovi, si masturba col cucchiaino del caffè mentre la famiglia le pone le solite trite domande sulla sua vita, seduce tra le pannocchie un giovane e lo fa uccidere, con la stessa aria trasognata e attonita, un po’ più crudele, di David.
David alla fine si addormenta, difeso dagli zii, e forse crescendo imparerà a lasciar perdere l’orgoglio, perdendo così anche tutto il romanticismo tragico e la bellezza ambigua dell’adolescenza. Le vacanze non durano che un soffio e la giovinezza pure. Menomale.