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Jules e Jim - Jules et Jim
Anno: 1962
Regista: Francois Truffaut;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 27-09-2005


La grande guerra

Jules e Jim. Francois Truffaut. 1962. FRANCIA.

Attori: Jeanne Moreau, Oskar Werner, Henri Serre, Marie Dubois, Boris Bassiak, Sabine Haudepin, Vanna Urbino.

Durata: 110’

Titolo originale: Jules et Jim

 

 

Parigi. Due studenti, Jules e Jim, un austriaco ed un francese, fanno amicizia. Nella loro felice storia però s’inserisce la provocante e libertina Caterina. Divisi dalla prima guerra mondiale, i due, che combattono sui diversi fronti, riescono ugualmente a rivedersi al termine del conflitto ed a risaldare la loro amichevole relazione. Jules nel frattempo si è sposato con Caterina e vive con lei in una piccola casa di montagna, ma presto tra Caterina e Jim nasce una relazione che porterà la donna a domandare al marito di conservare il rapporto a tre, fino ad accettare che Jim vada a vivere da loro. Jules approva qualsiasi cosa, perché innamorato, fino all’epilogo tragico.

Pietra miliare del cinema francese, la storia di due nazioni che si contendono una donna, la libertà, e che per questa entrano involontariamente in competizione, fino al suicidio folle, che comunque distrugge tutto. La pellicola del regista Françoise Truffaut potrebbe essere letta in quest’ottica se non fosse che il regista stesso ha sempre cercato di omettere gli aspetti politici nelle sue opere, spesso d’ispirazione letteraria, a differenza degli altri autori usciti dalla corrente della nouvelle vague. Ed allora, tornando alla sua filmografia, siamo di fronte all’esaltazione del vuoto (la campagna nella quale vanno a vivere i tre protagonisti e la bambina) nella quale è inserita una relazione anticonformista gestita da una Jean Moreau sublime (come spesso è accaduto sullo schermo) capace di mettere ai margini i due protagonisti principali, salvati nella loro presenza dal titolo e dalla soggettività del racconto (voce maschile). Si sarebbe potuto chiamare Caterina il film, infatti, perché è lei che fatale gestisce le vite di due compagni, assecondando le loro nature poco ribelli e già sottomesse, e sconvolgendo la loro presenza sulla terra, creando una distanza dal reale che li affascina, li avvolge, li ruba, li isola, li nasconde. Certo, la follia di questa relazione sembra fine a se stessa nel momento in cui l’epilogo è tragico e compiaciuto (Caterina che dice a Jules “guardami” prima di lanciarsi con l’auto) che si compie sotto gli occhi dello spettatore, basito, come quando Jean Moreau preannuncia la sua morte lanciandosi nella Senna di notte (è una sequenza che spiazza come il colpo di scena di un thriller). Il compiacimento del gesto finale, il suicidio, dove il regista sembra dire “l’amour fou finisce comunque in maniera tragica”, perde però qualcosa nel momento in cui è già ripetizione. Metterei a confronto questo film con La prigioniera (1968) di Henri-Geroges Clouzot, dove il ménage à troi è tessuto da una follia più malsana, profonda, e giustificata dalla condizione di classe dei protagonisti, artisti borghesi e commerciali. Nel confronto, il rapporto a tre di Jules e Jim, appare inevitabilmente più leggero, intangibile, etereo, ai limiti del falso, il cui unico vero pregio è quello di aver dato vita ad una storia che potrebbe non invecchiare mai, sebbene abbia e mostri tutta la sua età. A differenza del lavoro di Clouzot, che appare invece (e purtroppo) già datato, Jules e Jim vince dunque le regole del tempo proprio per mancanza di profondità. Tratto dal romanzo d’esordio scritto da Henri-Pierre Roché, il film è stato sceneggiato dal regista con la collaborazione di Jean Gruault, capace di costruire una storia come abbiamo detto, basata sul nulla, ma efficacemente portata sullo schermo da un Truffaut ormai maturo nella sua esperienza cinematografica. A contribuire all’ottimo risultato finale è la fotografia curata da Raoul Coutard ed alcune invenzioni (mai originali) a livello visivo-emozionale, come il primo piano di Jean Moreau che ride, più volte fermato nel suo fotogramma (la base del cinema nel cinema), d’effetto. La pellicola infine, a parer mio, è stata un leggermente sopravvalutata e dal cinema sicuramente ultracitata (ultima solo The dreamers – I sognatori (2003) di Bernardo Bertolucci) tanto che ne è stato fatto un remake ufficiale con Io, Willy e Phil (1980) di Paul Mazursky. La canzone Le tourbillon di Boris Bassiak (che nel film interpreta Albert, l’altro amante di Caterina) fu cantata dall’attrice Jean Moreau, ed ottenne un discreto successo discografico. Il regista più tardi scelse ancora una volta l’attore Oskar Werner, che interpretava Jules, per il ruolo di Guy Montag in Fahrenheit 451 (1966), film di fantascienza tratto dal romanzo omonimo di Ray Bradbury.

 

 

Bucci Mario

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