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Il mucchio selvaggio - The wild bunch
Anno: 1969
Regista: Sam Peckinpah;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

Il mucchio selvaggio. Sam Peckinpah. 1969. USA.

Attori: William Holden, Robert Ryan, Edmond O'Brien, Ernest Borgnine, Warren Oates, Emilio Fernandez, Bo Hopkins, Albert Dekker, Strother Martin

Durata: 144’

Titolo originale: The wild bunch

 

San Rafael, sud degli Stati Uniti. 1914. Un gruppo di militari fa il suo o ingresso nella cittadina e si dirige direttamente alla stazione ferroviaria. Non sono militari ma banditi travestiti pronti a fare un colpo. In realtà anche il colpo non è tale, ma un’imboscata preparata per catturarli. Dopo essere scampati all’agguato, trasformato in una carneficina, il mucchio riesce a fuggire e scopre di essere stato preso in giro. Ricercati, si spostano verso il Messico ed arrivano ad Agua Verde. Qui sono ospiti di Mapache, un bifolco che si è autoeletto colonnello e che se da un lato combatte contro le forze rivoluzionarie di Pancho Villa, dall’altro fa il doppio gioco con gli americani. Mapache ottiene che il mucchio assalga un treno carico d’armi che transita sul confine e che a loro insaputa trasporta anche il gruppo di Thornton, vecchio compare di Dutch, ricattato dall’autorità per inseguire lui ed il mucchio. Dopo l’ennesimo scontro a fuoco, il mucchio riesce a rubare il carico ed a fuggire. Di ritorno ad Agua Verde, Mapache ed i suoi soldati non rispettano i patti con il gruppo di Dutch (uno di loro, Angel, messicano che parteggia per l’autodeterminazione del pueblo, è fatto prigioniero e torturato).  Rimasti in quattro, i membri del mucchio si armano e tornano da Mapache per chiedere indietro Angel ma il colonnello lo sgozza davanti ai loro occhi. L’inferno apre le porte ad un’esplosione di pallottole che coinvolgerà tutti. Sopraggiunge al macello il gruppo di cacciatori di taglie capeggiato da Thornton che si rallegra per il futuro premio.

Considerato, non a torto, come il miglior lavoro del regista d’origine indiana, Il mucchio selvaggio è il primo rappresentante del dirty western, secondo la definizione scelta da Richard Schinckel e pubblicata su Life (Il castoro – Sam Peckimpah) infiltrazione sporca nel genere che Hollywood aveva sino ad allora prodotto del mito del West. Elementi del linguaggio cinematografico che Peckimpah esalta per questo film sono il montaggio serratissimo (di Louis Lombardo su 3643 inquadrature) e l’uso del rallenty per tutte le sparatorie (secondo il regista in scene come queste il corpo umano reagisce ad una velocità superiore ed è per questo che alcuni istanti mostrano la necessità di essere dilatati - Il castoro – Sam Peckimpah). Se è vero che i suoi personaggi non sono degli eroi, nessuno escluso, tra i due elementi classici dell’immagine, il cielo e la terra, per i primi piani Peckimpah preferisce utilizzare il primo elemento (che occupa gran parte delle inquadrature) ottenendo così un risultato che nei fatti contraddice la sua scelta teorica. Rimane comunque inappuntabile la lucidissima fotografia di Lucien Ballard. Girato con assoluta devozione per il linguaggio cinematografico delle immagini, è un crogiuolo di piccolissime citazioni (la rapina al treno proprio nel momento in cui la locomotiva si rifornisce d’acqua ricorda The great train robbery (1903) di Porter) ed enormi metafore (il cane morto inquadrato prima dell’ingresso nel Messico; il neonato in braccio ad una donna con il caricatore a tracolla; il gruppo di bambini che gioca con la vita dello scorpione). Importantissima è la funzione dei bambini, presenti sin dalle primissime inquadrature mentre si divertono a vedere due scorpioni assaliti dalle formiche, che aiuta il regista a mostrare uno dei concetti fondamentali del suo cinema: oltre che probabili esecutori di quanto assistono durante l’adolescenza, nella realtà più cruda i bambini hanno già in se stessi quell’elemento di violenza o santità che contraddistingue gli adulti. La scelta di introdurre il mucchio travestito da membri dell’esercito è connesso con la scelta di forzare l’elemento della violenza di questa pellicola: ciò che accomuna un bandito professionista ad un militare in carriera è solo l’amore per la violenza (Il castoro – Sam Peckimpah) e quindi la violenza, nel contesto storico del paese, è imprescindibile. Ciò che comunque rende questa pellicola un capolavoro è anche ciò che la rende estremamente lontana dai prodotti di Sergio Leone: ad un western che comunque prosegue nella direzione del fallimento del mito, corrisponde in Peckinpah una rigorosa impostazione documentaristica che esalta il fanatico realismo del suo discorso: ricostruzione esatta delle battaglie, scelta dei luoghi autentici degli avvenimenti storici, impiego di veri soldati e di uomini del posto (Dizionario del cinema americano – Di Giammatteo). Infine la morte, sovrana assoluta della pellicola e che non spaventa il mucchio anzi, lo attrae. Il soggetto fu realizzato su una storia scritta da Walon Green e Roy N. Sickner e la sceneggiatura fu scritta naturalmente dallo stesso Peckinpah. Ebbe solo due candidature agli Oscar, per la sceneggiatura e le musiche di Jerry Fielding, ostacolato nel proprio paese per l’eccessiva violenza delle immagini.

 

Bucci Mario

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