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Il grande dittatore - The great dictator
Anno: 1940
Regista: Charles Spencer Chaplin;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: U.S.A.;
Data inserimento nel database: 28-12-2005


La grande guerra

Il grande dittatore. Charles Spencer Chaplin. 1940. USA.

Attori: Charles S. Chaplin, Paulette Goddard, Jack Oakie, Reginald Gardiner

Durata: 128’

Titolo originale: The great dictator

 

 

Questa storia si svolge tra le due guerre mondiali in un periodo in cui la pazzia prese il sopravvento, la libertà fu calpestata e l’intera umanità gravemente bistrattata. Durante la grande guerra del 1918 un barbiere ebreo un po’ impacciato si trova al fronte a combattere per il suo paese, la Tomania. Aiuta un pilota d’aereo in missione a tornare in patria ma a causa di un incidente perde la memoria e finisce in una casa di cura. Trascorsi gli anni, e a causa della Grande Depressione, il popolo di Tomania facilita l’ascesa di Adenoid Hynkel il quale, convinto della supremazia della razza ariana, perseguita gli ebrei del ghetto inviando squadre di camicie grigie. Fuggito dal manicomio, il barbiere fa ritorno nella sua abitazione e trovandosi di fronte le guardie, ed essendo all’oscuro di tutto, viene salvato solo in extremis da Anna, una lavandaia, che però non riesce a salvarlo una seconda volta, quando cioè rischia di essere impiccato in strada. A salvarlo questa seconda volta è il pilota Schultz, uno dei gerarchi del nuovo governo di Hynkel. Per invadere l’Ostria, il dittatore Hynkel pensa di farsi finanziare dalla comunità ebraica ed ordina di smettere con le persecuzioni nel ghetto. Gli ebrei si convincono che le cose siano cambiate mentre tra il barbiere e la lavandaia sboccia l’amore. Poiché però la comunità ebraica si rifiuta di finanziare l’attacco all’Ostria, Hynkel ordina a Schultz nuovamente di aggredire la gente del ghetto ma il gerarca, rifiutatosi, viene fatto incarcerare. Poco dopo però si diffonde la notizia che Schultz è riuscito a fuggire e che si è nascosto nel ghetto così le camice grigie hanno il pretesto per irrompere nuovamente e, non trovando il barbiere datosi alla fuga sui tetti, gli incendiano il locale. Anna e il barbiere sognano allora di trasferirsi in Ostria. Nascosto nella cantina della lavanderia, Schultz propone di attentare alla Cancelleria ma alla fine gli ebrei del ghetto si rifiutano di rispondere con la violenza. Scoperti dall’ennesima ronda delle camice grigie, Schultz ed il barbiere vengono deportati in un campo di concentramento. Anna e la sua famiglia vanno in Ostria mentre Hynkel invita Benzino Napoloni, dittatore di Bacteria già al confine con le sue truppe, per discuterne l’invasione. Schultz ed il barbiere intanto sono riusciti a fuggire dal campo di concentramento travestiti da gerarchi di Tomania e vista l’incredibile somiglianza di quest’ultimo con Adenoid Hynkel, alcuni militari lo scambiano per il fuhrer e lo accompagnano al confine dove le truppe attendono il comando per invadere l’Ostria. Involontariamente quindi, il barbiere si ritrova a dare il via all’occupazione ed incominciano così le persecuzioni agli ebrei anche in questo paese. Una volta completata l’annessione, il finto Hynkel tiene un discorso inaspettatamente umano e gentile e, rivolgendosi ad Anna (parlando però sempre alla radio) prospetta un futuro diverso per tutti in nome della democrazia.

Esistono pochi autori e poche pellicole in grado di parlare del tempo corrente alla realizzazione  dell’opera di questioni mondiali e di rilevanze umane globali. Chaplin e Il grande dittatore hanno questa caratteristica. Girato e proiettato prima della conclusione tragica della seconda guerra mondiale, il film è una lucida analisi sul tempo che scorre appunto (così come lo erano state le precedenti pellicole del regista) sul significato di un insieme di popoli (quello tedesco e quello italiano in particolare) che avevano deciso di dichiarare guerra non solo agli stati ma ad intere razze, come quella ebrea appunto. La forza ed il genio di Chaplin però, non si soffermano alla realizzazione di un testo pacifista ed irriverente nei confronti di tutte le dittature (Hynkel e Napoloni sono due vere macchiette litigiose che si fanno la guerra a suon di cibo) ma sulle capacità anche del cinema come mezzo di comunicazione, da una decina d’anni ormai stabilizzatosi sul sonoro, e che proprio grazie al comizio finale dimostra tutte le sue potenzialità. La parola parlata adesso ha un significato ed una forza che le mancava da tempo, essa serve nel peggiore dei casi a promuovere iniziative violente ed ordini gerarchicamente irriconoscibili (il fuhrer che parla ai megafoni nel ghetto) ma che in alcuni casi (alla fine sembrerebbe dire il regista) possono capovolgere un percorso ed indicarne uno nuovo, migliore. La parola come propaganda della pace e del rispetto delle persone, un gesto che rese ancor più pericoloso un regista già da tempo messo sotto inchiesta ed inserito nelle liste nere del maccartismo. Buffo, scaltro ma incapace, il barbiere del ghetto una volta salito sul palco del potere diventa sicuro, affidabile, concreto e soprattutto lucido (era folle al fronte, era smemorato in manicomio, era distante nel ghetto), capace di farsi comprendere in ogni angolo in cui la sua voce può arrivare (la diffusione della radio e del messaggio) e soprattutto coraggioso, perchè a parlare di pace e rispetto dell’uomo, in tempo di guerra, è un gesto estremamente coraggioso. Farcito di gag e immagini entrate di diritto nella storia del cinema (su tutte Hynkel che gioca con il mappamondo) il film ha almeno un paio di sequenze davvero divertenti ed irripetibili come la scelta di colui che deve sacrificarsi per far saltare in aria la Cancelleria, affidata ad una moneta in un budino. È anche uno dei rarissimi film (e questo è deducibile anche dalla data della sua realizzazione) in cui un nazista (il comandante Schultz) viene difeso e nascosto dagli ebrei, perchè dopo l’apertura dei campi di concentramento diventerà davvero impossibile salvare anche un solo nazista dal giudizio della storia. A tal proposito infatti lo stesso regista si scusò per averne fatto una farsa, poichè all’oscuro di ciò che avveniva veramente nei campi di concentramento. Così come in Tempi moderni (1936) anche qui il progresso viene sminuito e ridicolizzato, questa volta al servizio della guerra, poiché ogni nuova invenzione ha sempre un difetto che conduce alla morte di colui che la sperimenta. Ancor più che nelle pellicole precedenti poi, si consolida la capacità del Chaplin attore di recitare e far ridere a ritmo di musica, di costruire intere sequenze come se fossero danzate, come il taglio della barba sulle note ed il ritmo imponente della 5° danza ungherese di Brahms. Nel ruolo dei mazzieri delle camice grigie ritroviamo attori che una volta interpretavano i poliziotti nelle gag degli anni Venti dirette dallo stesso Chaplin: non è solo una questione di comodità artistica, ma soprattutto un continuum tra polizia e camice grigie, tra repressione ordinaria e repressione “straordinaria”. I protagonisti sono persone comuni, presi dalla strada o appartenenti ai più bassi strati della società, ed il regista non rinuncia nemmeno questa volta ad inserire un personaggio privo di radici, Anna (Paulette Goddard) orfana lavandaia che s’innamora del barbiere e che sogna un futuro diverso. Il cinema di Chaplin ancora una volta allora guarda al futuro con la lucentezza degli occhi di lei, al qual viso attribuisce sogni e speranze. La pellicola fu distribuita in Italia solo nel 1949 e con parecchi tagli che soppressero la figura della moglie di Mussolini, perché ancora in vita al tempo del film. Solo nel 2002 si è potuto finalmente vedere la versione integrale (seguita a quella del 1972 dove Oreste Lionello aveva ridoppiato Chaplin). Un’altra scena tagliata fu quella in cui la moglie ebrea di Hynkel pativa frustrazioni sessuali e sognava, per compensazione, la conquista di Parigi ed il passaggio sotto l’Arco di Trionfo [i]. Con le debite misure e distanze, e a quasi cinquanta anni di distanza sia da questo film che dai fatti che lo hanno ispirato, il solo La vita è bella (1997) di Roberto Benigni è stato capace di raccontare la tragedia dell’Olocausto e della seconda guerra hitleriana con lo stesso genere cinematografico. A dimostrazione di come siano gli americani, solo il film del regista italiano ha ottenuto un merito agli Oscar (miglior film straniero) mentre quello di Chaplin gli valse tutt’al più solo problemi. Tra dramma e comicità farsesca (soprattutto l’inizio in guerra ripreso da un suo precedente lavoro Charlot soldato (1918) [ii] da lui sempre diretto) s’inserisce proprio l’uso intelligente del suono, che mette su due piani diversi i deliri incomprensibili di Hynkel e il messaggio di pace del barbiere. Costato l’enorme cifra di due milioni di dollari, il film ottenne grande successo permettendo al regista di risanare il buco creato con il fiasco del precedente Tempi moderni (1936). All’epoca in cui uscì, Il grande dittatore non piacque al presidente americano T. Roosevelt perché poteva minare i rapporti tra il paese e quelli sudamericani, dichiaratamente filo-nazisti.

 

 

Bucci Mario

[email protected]



[i] Maurizio De Benedictis. Il cinema americano. Newton & Compton

[ii] Fernaldo Di Giammatteo. Dizionario del cinema americano. Editori Riuniti