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Il braccio violento della legge - The French Connection
Anno: 1971
Regista: William Friedkin;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: U.S.A.;
Data inserimento nel database: 12-11-2004


La grande guerra

Il braccio violento della legge. William Friedkin. 1971. U.S.A.

Attori: Gene Hackman, Fernando Rey, Roy Scheider, Tony Lo Bianco, Mercel Bozzuffi

Durata: 104’

Titolo originale: The French Connection

 

 

Francia. Marsiglia. Un uomo sta rientrando a casa ed è sparato in faccia nel portone. U.S.A. New York. Brooklyn. Due agenti della narcotici, Doyle e Russo, arrestano un ragazzo di colore perché tossico. La sera vanno in un night club e Doyle mette gli occhi su un gruppo di ricchi trafficanti tra i quali decide di pedinarne uno, Salvatore Boca. Si accorge difatti che l’uomo fa delle consegne sospette all’alba accompagnato dalla moglie. Marsiglia. Pierre Nicoli, l’uomo che ha sparato nel portone, s’incontra con Alain Charnier e l’attore Henri Devereaux per organizzare qualcosa. New York. Doyle va in un locale frequentato da spacciatori di colore per incontrare un suo informatore al quale chiede notizie di Sal Boca poiché ha scoperto che questo va troppo spesso in un palazzo dove abita anche Joel Weinstock, un boss che da tempo stanno cercando di incastrare. Qualche giorno dopo l’attore francese Devereaux arriva negli Stati Uniti con la nave sulla quale è stata trasportata anche la sua auto. Sempre a New York arrivano anche Alain e Pierre i quali fanno acquistare da un loro uomo una macchina identica a quella di Devereaux. Mettendo sotto controllo il telefono di Boca e con l’aiuto dei federali, Doyle e Russo scoprono che l’uomo che stanno pedinando ha preso un appuntamento con altre persone, di lingua francese. Si fanno trovare nel punto dove questi si danno appuntamento e decidono di mettersi alle calcagna dei francesi. Nel frattempo Boca prepara lo scambio con Weinstock: si tratta di 60 kg d’eroina portate dalla Francia, ma il boss vuole temporeggiare. Intanto Doyle si piazza dietro a Charnier il quale però riesce a pedinarlo. Boca e Charnier si danno appuntamento a Washington e discutono sull’affare che viene rimandato di qualche giorno. Durante il viaggio di ritorno a N.Y. Alain chiede a Pierre di eliminare Doyle. Persa la fiducia da parte dei suoi superiori, Doyle perde il caso ma mentre si sta ritirando a casa viene sparato da Nicoli, piazzato come un cecchino su un tetto. Doyle ingaggia così un lungo inseguimento ma Pierre riesce a prendere un treno e, dopo aver ucciso un poliziotto, a sequestrare il guidatore ed a far continuare la corsa del mezzo oltre la stazione successiva dove Doyle, dopo aver sottratto l'auto ad un cittadino, si stava lanciando. Pierre, messo alle strette, è costretto ad uccidere anche un controllore e quando al guidatore prende un malore, il treno si va a scontrare con un convoglio fermo sulle rotaie alla stazione seguente. Doyle, che lo ha seguito in un pericoloso inseguimento, riesce a rintracciarlo alla stazione e lo fredda sparandogli alle spalle. Poco dopo sia lui che Russo sono sulle tracce di Boca che ritira da un garage l’auto dell’attore francese e la parcheggia vicino al ponte di Brooklyn dove i due poliziotti si appostano. Durante la notte una squadra di malviventi di strada si avvicina all’auto e scatta l’operazione: Doyle fa arrestare tutti e fa sequestrare la macchina che, una volta nell’officina della polizia, viene smontata pezzo per pezzo: compaiono finalmente i 60 kg di eroina. Alla stazione di polizia si presenta Henri Devereaux che chiede di riavere la sua auto e che gli viene riconsegnata intatta. Il giorno dopo, in albergo, l’attore si tira fuori dal giro e tocca a Alain guidare l'auto in un rimessaggio dove l’attendono Boca, Weinstock ed i suoi uomini. Avvenuto lo scambio scatta la retata organizzata dalla polizia. Si accende una sparatoria dove perdono la vita Boca ed un federale, ucciso da Doyle per sbaglio. La maggior parte delle persone coinvolte viene assolta, Alain Charnier scompare nel nulla e Doyle e Russo vengono trasferiti in un altro dipartimento.

Un colpo in faccia nella quiete apparente di Marsiglia ed un bambino che a Brooklyn chiede a Babbo Natale una rivoltella come regalo… inizia così, con un botto enorme, uno dei film più riusciti di William Friedkin, il regista che ha saputo mischiare meglio di molti altri suoi colleghi azione e tensione, cinismo e realtà di strada. Dopo Festa per il compleanno del caro amico Harold (1970) e prima dell’altro suo grandissimo successo, L’esorcista (1973), Friedkin scende fra le strade di Brooklyn per dare un calcio a qualsiasi morale, a qualsiasi progetto di salvezza o redenzione della civiltà urbana (la donna freddata a caso dal cecchino), senza remore, senza paura di passare per mostro (tante difatti le battute razziste messe in bocca ai suoi attori). E ci riesce, con bravura, tecnica, cattiveria, e con grandi prove dei suoi attori. Il film è ispirato ad un vero fatto di cronaca accaduto quasi dieci anni prima in America, nel 1962, che vide coinvolti gli agenti, Eddie Egan e Sonny Grosso, in un’importante, ma occasionale, soluzione investigativa circa un traffico di stupefacenti. Importante a questo punto è proprio la differenza tra i due protagonisti, Papà Doyle e Alan Charnier. Sebbene il primo sembra un fascistoide a tutti gli effetti, aggressivo e contrario al senso dell’ordine poliziesco in senso sociale e protettivo (nelle scene tagliate molte le sequenze in cui fa battute sugli ebrei, frequenta locali solitamente pieni di malavitosi e ottiene favori dalle donne mediante il ricatto della sua posizione), il suo contrappeso è un personaggio europeo (ancora di più, francese) che con stile arriva in America per vendere morte. Il finale, con l’europeo che riesce a farla franca, spinge lo spettatore ad avere simpatia per lui, sebbene questo sia il cattivo del film. E’ sulla linea di questa ambiguità che il regista riesce a mischiare le carte della società ed a consegnare un mazzo sporco al suo pubblico, senza giudizio, e soprattutto senza pretese morali. Secondo lui, infatti, la linea di demarcazione tra legale ed illegale, tra buoni e cattivi, può essere così sottile da non sapere più da che lato ci si trovi. E nessuno sfugge a questa ambiguità urbana tanto che tra le scene tagliate, c’è ne è anche una molto suggestiva che vede il killer Pierre Nicoli alle prese con una prostituta sadomaso che lo frusta (duro all’esterno quindi ma debole in privato, brutale ma sottomesso… come afferma lo stesso regista a proposito). Innegabile che l’insieme dei vizi di Doyle (per la maggior parte tagliati poi nella realizzazione finale) possono aver influenzato un altro personaggio davvero sporco del cinema americano: Il cattivo tenente (1992) di Abel Ferrara interpretato da Harvey Keitel. Ritornando a Il braccio violento della legge, uno dei momenti migliori e il tiratissimo inseguimento di Gene Hackman con il treno, ripetuto poi (con diversi elementi ma con la stessa efficacia) in un altro pregevole lavoro del regista, Vivere e morire a Los Angeles (1985). Geniale, singolare, una vera perla rara il finale di questa pellicola, un colpo di pistola del quale non si percepisce l’effetto e poi le foto dei protagonisti ancora vivi, con didascalie che scagionano tutti o quasi, e tra i quali c’è ancora Alain Charnier, sfuggito al braccio violento della legge e che si presuppone di nuovo in Francia. Un’operazione che non si conclude quindi, anzi, che sembra rivoltarsi proprio contro Doyle e Russo, spostati in un altro dipartimento. Friedkin rinuncia così all’happy end e lancia uno scomodo modello cinematografico che assieme Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo (1971) di Don Siegel si vedrà clonato in migliaia di esemplari, nessuno dei quali però realizzato con lo stesso stile e con la stessa dirompente efficacia. A parte la novità narrativa poi, c’è da sottolineare soprattutto anche il modo con cui il film è stato realizzato, con un larghissimo uso della camera a mano cioè, e soprattutto con la mancanza di set, scendendo cioè fra le strade di New York, indice di un realismo cinematografico che ancora oggi può essere preso ad esempio. Era nelle volontà del regista, infatti, quella di dare un’impronta quasi documentaristica alla pellicola. Non a caso la pellicola si guadagnò ben cinque Oscar: per il miglior film (superando Arancia meccanica (1971) di Stanley Kubrick, che aveva ottenuto la nomination) e la miglior regia, per Gene Hackman (sicuramente nella migliore parte della sua carriera) ed infine per la miglior sceneggiatura ad Ernest Tidyman (che oltre alla storia vera si lasciò ispirare soprattutto dall’omonimo romanzo di Robin Moore, pubblicato nel 1969) e per il ritmato e serrato montaggio di Jerry Greenberg. Nella versione italiana il soprannome di Doyle è Papà, mentre nella versione originale è Popeye (Braccio di ferro). A questa pellicola hanno fatto seguito due sequel: Il braccio violento della legge n° 2 (1975) di John Frankenheimer (con la trasferta a Marsiglia di Gene Hackman e sempre con Fernando Rey) e Il braccio violento della legge 3 (1986) di Peter Levin, in realtà un progetto pilota per un serial televisivo mai realizzato e che al posto di Gene Hackman utilizzava l’attore Ed O’Neill.

 

 

Bucci Mario

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