Frankenstein. James Whale. 1931. USA.
Attori: Colin
Clive, Mae Clarke, Boris Karloff, Dwight Frye, John Boles, Edward Van Sloane,
Frederick Kerr
Durata: 71’
Sipario, un uomo introduce la storia. Svizzera. Inizio
Ottocento. Ad un funerale in un cimitero assistono nascosti due uomini. Si
tratta dello scienziato Henry Frankenstein e del suo aiutante Fritz. Entrambi
sotterrano il cadavere appena i famigliari si allontanano e poi, trovando un
uomo impiccato non molto distante, scelgono di prendere anche il suo corpo.
All’università di medicina il professor Waldman spiega agli alunni la
differenza tra un cervello normale ed uno criminale. Fritz, introducendovisi di
nascosto, ruba quello del criminale. Una lettera informa Elizabeth, la compagna
di Henry, della sua decisione di chiudersi nel laboratorio per portare avanti
alcuni esperimenti. La ragazza, accompagnata dall’amico Victor Moritz, si
rivolge allora al professor Waldman il quale li informa sulle teorie di
elettrobiologia di Henry. Tutti e tre, in una notte di tempesta, si recano al
tetro laboratorio di Henry dove assistono al risveglio del cadavere. Elizabeth
ne parla con il barone Frankenstein, padre di Henry, mentre nel laboratorio
Waldman informa il giovane scienziato che il cervello rubato da Fritz all’università
è quello di un criminale. La creatura si mostra però ubbidiente agli ordini di
Henry ma l’arrivo di Fritz con una torcia lo spaventa facendolo diventare
aggressivo. Sono costretti a rinchiuderlo in una segreta dove però l’assistente
di Frankenstein, continuando a frustarlo e a minacciarlo con la torcia, viene
ucciso dalla creatura, morendo impiccato. I due medici, con molta difficoltà,
riescono a sedare la creatura poco prima dell’arrivo nel laboratorio di
Elizabeth e Victor, questa volta accompagnati dal barone Frankenstein che
convince Henry a far ritorno a casa. Rimane nel laboratorio solo il professor
Waldman che prosegue gli studi ma che al risveglio della creatura è ucciso.
Henry ed Elizabeth decidono di sposarsi ed all’annuncio del matrimonio il paese
fa festa, mentre nelle campagne si aggira la creatura, scappata dal
laboratorio. Sulla sua strada capita la piccola Mary, figlia di un contadino,
che giocando con il mostro viene lanciata in acqua e muore annegata. Poco prima
della funzione Elizabeth è nervosa a causa di un cattivo presentimento che si
concretizza con l’arrivo del mostro nell’abitazione dei Frankenstein. La
creatura riesce ancora una volta a fuggire mentre in paese giunge il contadino
con il cadavere della figlia fra le braccia. Viene chiesto al sindaco di
trovare il colpevole e viene dato inizio ad una caccia per tutto il paese.
Individuato sulle montagne, è proprio Henry a dover lottare con la sua creatura
la quale, avendolo sconfitto, lo trascina ad un vecchio mulino. Henry riesce a
fuggire mentre il popolo dà fuoco al mulino con la creatura al suo interno.
Sebbene vi erano state altre trasposizioni sul grande
schermo del romanzo della diciottenne Mary Wollstonecraft Shelley, a partire
già dal 1910 con la versione diretta da J. Searle Dawley per la Edison, è
sicuramente questa però quella più celebre e che ha influenzato l’immaginario
collettivo. È proprio, infatti, con l’interpretazione di Boris Karloff (ma
soprattutto della celebre maschera che il truccatore Jack Pierce gli applicò a
fronte ogni giorno di quattro ore di lavoro) che il personaggio della creatura
di Frankenstein buca lo schermo per influenzare da questo momento una lista di
pellicole che difficilmente sono state in grado di staccarsi da questo modello
(l’andatura lenta del mostruoso protagonista fu ottenuta con pesi nelle scarpe
e con un rialzo di quasi 25 centimetri). Fortuna del film fu anche il fatto che
fu la prima versione sonorizzata di questa trasposizione letteraria. Il testo
originale è rispettato in quasi tutte le sue parti (cui fu aggiunta la sequenza
nel mulino), sebbene il confronto sulla scienza e sui suoi frutti/risultati
venga meno di fronte alla mostruosità visiva del suo protagonista. È in una
inquadratura sola, infatti, che è racchiusa la poetica (denuncia) del film,
quando cioè per la prima ed unica volta il mostro può guardare il sole (perché Henry
gli apre la botola sul tetto) simbolo platonico della conoscenza che gli viene
però immediatamente privata. Non è infatti il cervello da criminale a muovere
il mostro nei suoi atteggiamenti delittuosi (come vorrebbe far intendere il
professor Waldman) ma la sottomissione culturale cui è posto (rinchiuso in una
cella) che non gli permette di capire la differenza tra un fiore ed una
bambina, e che porta quindi all’incolpevole gesto dell’omicidio. Il rifiuto poi
del creatore è anche una sorta d’abbandono cui la stessa creatura ad un certo
punto sente di doversi ribellare. Proprio quest’aspetto melanconico del mostro
(vessato dalla cattiveria di Fritz) emerge rispetto alle altre trasposizioni
cinematografiche realizzate in precedenza, ricollegandosi al tema della
diversità e dell’accettazione sociale. Tecnicamente poi, il film è girato in
maniera innovativa sia rispetto al genere sia rispetto alla media dei film in
circolazione durante quegli anni, è ciò è visibile sia in tutte le scene
ambientate nel laboratorio (tra cambi d’inquadrature e uso dei carrelli) ma
soprattutto nel bellissimo e teso carrello che anticipa la camminata del padre
con il cadavere della figlia tra le braccia. La fotografia (curata da Arthur
Edeson) che esalta l’ambiente sui personaggi, ma soprattutto le movenze del
protagonista, rimandano all’espressionismo tedesco e soprattutto agli
atteggiamenti del sonnambulo Cesare ne Il
gabinetto del dottor Caligari (1920)
di Robert Wiene, tanto che per questo film si potrebbe parlare addirittura d’espressionismo americano anni Trenta [i]. Molto
intelligente è anche la scelta fatta sull’introduzione del mostro, che appare
per la prima volta sul lettino del laboratorio che ha ancora il volto coperto
da una fasciatura, e che poi viene presentato al pubblico vivo di spalle, cui
il regista fa seguire, una volta che si è voltato, due stacchi in asse sul
primo piano e sul primissimo piano. La figura del dottor Frankenstein da questo
momento in poi soprattutto, sarà per sempre associata a quella del professore
matto, dello scienziato impazzito, di una sorta di Prometeo cattivo (cui faceva
riferimento sin dal titolo l’opera originale). Il film fu realizzato per la
casa di produzione Universal che in quegli anni, specializzandosi proprio nel
genere horror, contribuì a lanciare sia Boris Karloff che Bela Lugosi,
interprete del famoso Dracula (1931)
di Tod Browning. A proposito delle due pellicole, è importante ricordare anche la
presenza in entrambe dell’attore Dwight Frye, qui interprete del cattivo Fritz
che può sfogarsi con un essere inferiore a lui, e nel film di Browning
interprete del folle mangiatore di mosche Renfield, primo succube del conte
Dracula. Tra le diverse fonti d’ispirazioni oltre a quella letteraria, c’è
anche una versione riadattata per il teatro nel 1927 da Peggy Webling [ii],
chiaramente citata in apertura del film con l’introduzione di Edward von Sloan,
ma anche con il finale in cui il barone chiude dietro di sé la porta della
stanza in cui suo figlio Henry affronta la degenza. Entrambe le scene però,
prologo e finale, furono aggiunte dalla produzione solo dopo che il film fece
capolino nelle sale. Lo stessa coppia, Whale/Karloff, ripresentò per il grande
schermo una variazione sul tema con La
moglie di Frankenstein (1935). Tra le decine di copie, plagi e citazioni
che seguirono il lavoro del britannico James Whale (che in realtà veniva dal
teatro), la più celebre è sicuramente la parodia messa in scena dal regista Mel
Brooks con Frankenstein Junior (1974),
cui è seguita molti anni dopo la rivisitazione comica e infantile di Tim Burton
con il cortometraggio Frankenwennie
(1984), prodotto dalla Disney. Il film di James Whale è stato restaurato nel
1987 in un’edizione leggermente allungata.
Bucci Mario
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