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Borom Sarret
Anno: 1963
Regista: Ousmane Sembčne;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Senegal;
Data inserimento nel database: 24-05-2000


Borom Sarret

BOROM SARRET

Senegal 1963

di Ousmane Sembène

Nel caldo del Fuori Luogo, circolo gestito dalla cooperativa ".zip/Senza Frontiere", che ha accolto nel cuore della casbah torinese l’iniziativa di cinema, musica e cucina africane concentrate coraggiosamente in una sera (23 maggio) dagli organizzatori (Cinecircolo L’Incontro di Collegno e Giesse edizioni santhiatesi), l’ospite chiamato a intrattenere un pubblico sorprendentemente folto era Giuseppe Gariazzo, massimo esperto italiano di cinema africano. Anzi, "Cinema delle Afriche", come giustamente ha tenuto a puntualizzare nell’esordio del suo excursus, spartendo suggestioni e poetiche tra le varie zone.

A sostenere il suo discorso lineare e rigoroso lo studioso biellese ha portato due contributi in video: un episodio di Kadi Jolie di Ouedraogo, gustosa sit-com completata nel 1999, ed il primo cortometraggio di Sembéne Ousmane, Borom Sarret. Un documento eccezionale per poesia e intensità, filmato nel 1963.

L’inizio è folgorante per la qualità della luce infusa all’inquadratura: l’autore ritaglia una porzione di spazio con una plongée incombente su un quartiere dei sobborghi di Dakar nei primi anni ’60. La nouvelle vague non è ancora completamente riferimento per il nascente cinema delle Afriche; siamo piuttosto dalle parti del neorealismo, mediato dalla lezione di Jean Rouch: un carretto percorre le sinuosità di una polverosa stradina. Il movimento che seguiamo è veloce e diventa repentino per la corsa di un uomo che a una svolta attira lo sguardo sulla sua corsa per salire a bordo del veicolo; il piano è lunghissimo e i due soggetti in movimento sono puntini infinitesimali immersi nel bianco lattiginoso dilagante della pellicola. L’inquadratura si avvicina mentre il carretto esce dal borgo e s’inizia un lento flusso di coscienza che sembra assumere le cadenze del passo dinoccolato del cavallo: il conducente commenta con tono stanco gli appuntamenti quotidiani della sua giornata di trasportatore; più che il distacco si avverte la fatica di vivere e un fatalismo in cui il rancore sbiadisce in rassegnazione, puntellata di mugugni.

Nel suo avvicinamento alla città le occasioni di commentare la realtà sono innumerevoli: non si avverte critica sociale o rielaborazione militante di quanto viene rappresentato, ma frasi laconiche che sembrano ridondare le immagini, confermando ciò che si potrebbe inferire facilmente (l’oggettiva presa d’atto della presenza sul carretto di un giovane disoccupato insieme con una madre quotidianamente passeggera del carretto) ed invece aggiunge la patina narrativa, che conferisce il tono sconsolato (il ragazzo farebbe bene a stare a casa, tanto è inutile cercare lavoro e la donna chissà quando potrà pagare), eppure singolarmente disteso, come in attesa di un altro giorno, nonostante la vita moderna imponga ritmi, regole e miserie innaturali –anche senza il carretto requisito da un poliziotto: il ritorno al proprio quartiere è rappacificante, dove "non ci sono poliziotti" e ci si sente a casa, protetti da solidarietà. Questo non senza episodi privi di speranza, come il carretto, metafora di tutta l'Africa, che diventa mezzo di trasporto universale al punto da ospitare solitaria una salma piccolissima, sicuramente di un infante avvolto in un lenzuolo e accompagnato al cimitero da un solo adulto, presumibilmente il padre. Ed in questa solitudine si trasmette un infinito senso di pietà.

Il carosello di personaggi non dimentica di inserire un griot, immancabile cantastorie che riassume il ruolo del regista e della tradizione. La cui ricorsività probabilmente potrebbe essere il collante, quel tassello mancante nella ricerca di un oggetto di studio approfondito sulle intime strutture del cinema ritornato globalmente africano, poiché la sua figura si trova in ogni contesto del continente. Come si vede più esplicitamente in Les Siestes Granadine, non a caso film a cavallo del deserto, dove le culture maghrebine si scontrano fondendosi con il Sahel attraverso la musica nera, emozionante nell'incontro della protagonista con il griot.