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Aurora – Un canto di due esseri umani - Sunrise – A song of two humans
Anno: 1927
Regista: Friedrich Wilhelm Murnau;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 01-04-2004


La grande guerra

Aurora – Un canto di due esseri umani. Friedrich Wilhelm Murnau. 1927. USA.

Attori: George O'Brien, Janet Gaynor, Margaret Livingston, Bodil Rosing, J. Farrell MacDonald

Durata: 110’ min.

Titolo originale: Sunrise – A song of two humans

 

 

Estate. Tempo di vacanze. Una donna di città seduce un uomo di campagna, sposato e con un figlio. A causa di questa relazione egli trascura la famiglia e la fattoria, spesso raggiunta dalle richieste degli usurai. L’amante, una notte, lo convince ad uccidere la moglie simulando un incidente con la barca nel lago e gli propone di vendere la fattoria e trasferirsi con lei in città. La mattina dopo, l’uomo porta la moglie a fare un giro in barca e quando sta per ucciderla viene colto dal rimorso e torna a riva. La moglie scappa, impaurita, salendo su un tram che la porta in città. Il marito la rincorre e cerca più volte a rassicurarla ed a mostrarsi gentile. La moglie accetta di fidarsi ed i due vanno in una chiesa dove si sta celebrando un matrimonio. L’uomo rimane colpito dalle parole della funzione e scoppia in lacrime domandandole perdono. La moglie lo perdona definitivamente. Decidono allora di trascorrere una felice giornata in città e vanno dal barbiere, dove l’uomo minaccia un pretendente della moglie, da un fotografo, dove si fanno ritrarre mente si baciano, ed al luna park, dove giocano, ballano, brindano. A fine serata, con la luna piena, tornano nella loro casa di campagna con la braca ma una tormenta li sorprende rovesciandola. L’uomo a fatica raggiunge la riva ma della moglie non v’è traccia. Corre in paese e con l’aiuto di altri contadini cercano per tutto il lago. La donna di città, svegliata dal trambusto, è convinta che lui abbia agito come gli aveva chiesto e quando ritorna a casa senza notizie di sua moglie, gli va incontro convinta d’essere prossima alla partenza per la città. L’uomo invece, in preda dalla rabbia, prova a strangolarla ma le grida della domestica lo fermano: hanno ritrovato sua moglie, ancora viva. All’alba, la donna di città fa ritorno nel suo ambiente mentre marito e moglie si baciano.

Trasferitosi in America, il tedesco Murnau, rappresentante atipico dell’espressionismo da esterno, realizza a cinque anni di distanza dal suo primo capolavoro, Nosferatu il vampiro (1922), un’altra pietra miliare del cinema muto, la prima della sua esperienza oltre oceano. Strutturato sul tema della coppia e della differenza tra il modello rurale e quello cittadino (quest’ultimo rappresentato dal caotico luna park), Murnau mostra una capacità linguistica cinematografica assolutamente coinvolgente: sa montare e seminare tensione in un crescendo emotivo che dal terrore di un omicidio possibile (tragedia) raggiunge l’ilare leggerezza di una coppia innamorata (commedia) per chiudere con un finale che ancora richiama alla tragedia, dall’esito positivo però. Piani sequenza (tutto il primo incontro tra l’uomo e l’amante), carrelli (il suggestivo ingresso nel luna park), zoom, dissolvenze, sovrimpressioni (stupefacente e suggestiva quella dell’abbraccio dell’amante, abbraccio immaginato da lui), flashfoward (l’idea dell’omicidio della moglie) e flashback (il racconto dell’uomo che ritrova il corpo di lei ancora vivo), montaggio (tutta la parte del matrimonio nel quale lui s’identifica), Aurora contiene la maggior parte dei principali dispositivi linguistici, comprese alcune trovate (inquadratura sull’ottica al contrario della macchina fotografica, p.p.p. del maialino che beve il vino) ma anche una grande prova d’impegno e partecipazione da parte degli attori, capaci di passare dalla tragedia al comico (tutta la scena della statua che cade e che loro immaginano di aver rotto fa parte del repertorio delle gags). Per Murnau, che in questa pellicola non rinuncia ad osare con il corpo femminile (siamo in America ed egli scopre spalle, e mette le gambe in mostra) la vita è quasi sempre la stessa, un po’ amara e un po’ dolce… che si costruisce sull’ambiguo rapporto dell’estate (il tradimento) la mezza estate (il ballo prima del ritorno a casa) e l’aurora dopo la tempesta (il bacio che risalda la coppia oltre la tragedia). Aurora, ispirato al racconto Die Reise nach Tilsit di Hermann Sudermann e sceneggiato da Carl Mayer, è una storia naturalistica che contrappone l’autenticità dei sentimenti (campagna) al peccato di questi (città) e che riconcilia la coppia nella visione frivola e leggera proprio della città (il luna park), origine della tragedia, da dove cioè proviene l’amante adescatrice. Il film, in origine muto, fu presto musicato (composizioni di Hugo Riesenfel) con sistema di sincronizzazione Movietone. Aurora, nonostante l’inaspettato insuccesso, ottenne ugualmente due Oscar alla prima edizione della manifestazione: per la miglior attrice protagonista a Janet Gaynor (nei panni della moglie) e per la fotografia di Karl Strauss e Robert Rocher che svilupparono profondità di campo notevoli per l’epoca. L’edizione italiana ha la voce di Luigi Diberti nella lettura delle didascalie scritte da Katherine Hilliker e H.H. Caldwell (quelle che parlano di affogare la moglie, annegano anche nella scrittura!). Considerato, non a torto, uno dei momenti più alti del cinema post-espressionista di Murnau, Aurora oltre a rappresentare un perfetto incontro di modelli, tedesco letterario decadente e americano produttivo comico, rimane un’opera fondamentale per gli sviluppi del cinema dell’emigrazione e del cinema americano più in generale (Leonardo Quaresima su Cinema di tutto il mondo a cura di Alfonso Canziani). Ne è stato fatto un remake, Verso l’amore (1939) di Veit Harlan.

 

 

Bucci Mario

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