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Magic in the Moonlight
Anno: 2014
Regista: Woddy Allen;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA; UK;
Data inserimento nel database: 08-01-2015


“Il mondo non è mai privo di una certa magia.” Dopo il nevrotico Blue Jasmine, l’ingegno di Woddy Allen ritorna nel mondo del sarcasmo e dell’ironico. In Magic in the Moonlight, Woddy Allen esalta la dote della sua tagliente scrittura ricreando un mondo passato, gli anni venti del Novecento, quando la borghesia dell’epoca si trovava, come oggi, a confrontarsi su due diverse concezioni del mondo: raziocinio versus spiritualità e magico. A Berlino nel 1928, in un teatro ricolmo, un illusionista cinese compie brillanti giochi d’illusione. Sono dei trucchi ma per nostri occhi appaiono come veri. In realtà, l’uomo non è un cinese, è Stanley, un bravissimo illusionista, cinico, scorbutico, di cattivo carattere: “Non ti ho ingaggiato per respirare.” Stanley dopo lo spettacolo incontra un vecchio amico il quale gli chiede di aiutarlo a smascherare la sensitiva Sophia. Sophie è una giovane e bellissima ragazza, la quale sta imperversando, e arricchendosi, con le sue predizioni presso le ricche famiglie della Costa Azzurra. Accetta l’incarico perché: “sono un uomo razionale che crede in un mondo razionale.” Di fronte alla leggiadra ragazza finisce a cedere all’amore. Le due caratteristiche della vita, raziocinio e trascendenza si scontrano. Le due parti sono dall’autore bilanciate. Perché, nonostante la ragione prevalga, è impossibile affrontare il mondo senza cedere al magico, se non ci fosse, non potremmo vivere. È innegabile, il mondo ha qualcosa che non possiamo spiegarci, per quanto saremmo razionali e spietati nel cercare una giustificazione logica a qualsiasi evento: “Non lo sai che gli scienziati sono i più facili da ingannare?” Perciò il regista ci accompagna alla scena centrale, ambientata in un osservatorio abbandonato. Stanley e Sophia ammirano le stelle e la luna in un cielo notturno. Potremmo affermare che si trovano in quel momento romantico, soli in un posto armonioso, innamorati, perché materia e antimateria si sono scontrate? Il finale è ovvio. Per quanto possiamo dare una spiegazione pseudo logica a tutti gli effetti mostrati nel mondo, sicuramente non siamo in grado di trovare uno scienziato del Cern che possa riprodurre in un tunnel svizzero l’amore. E la domanda di Allen: l’amore a che sfera appartiene? Il film è uno pseudo Gasby ironico e cattivo, accompagnato da tanta musica. Non risparmia nessuno: “Tecnicamente non ti ho mai considerato come una donna.” Costruito con eleganza, la storia riesce a mantenere il ritmo. Camera ferma, campo medio, due donne parlano affettatamente, esempio di come la storia abbia un dialogo marcato. Come la zia vivace e iperattiva, la quale è ricoverata in un ospedale con delle scale tipo disegni di Escher. Il linguaggio è delicato, cura l’atmosfera del tempo, riempie lo schermo di bei colori, fiori, case eleganti, giardini fiorenti, tanto sole, luce, vestiti chiari. Ci aggiunge un’Alfa Romeo dell’epoca, ma soprattutto tanti brillanti dialoghi fra lo scettico e il caustico. Vogliono viaggiare verso le isole Galapagos: “Sei un ammiratore di Darwin.”