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Locke
Anno: 2013
Regista: Steven Knight;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA; UK ;
Data inserimento nel database: 10-09-2013


“Fuck Chicago.” È banale ai nostri giorni ammetterel’uso spasmodico del telefono. Perché è importante a volte comunicare dei messaggi essenziali a mezzo fono? Una lettera è impossibile per la lentezza e per la crescente scarsa attitudine a scrivere. Telefonare ci consente di essere rapidi, evita di guardare negli occhi l’interlocutore, potendo nascondere i nostri sentimenti, la nostra paura, il timore di cedere di fronte alle insistenze. Così possiamolasciare un amore, salvo addirittura, nel massimo della codardia, utilizzare perfino un sms. Ma il telefono non è stato utilizzato solo ai nostri giorni a questo scopo. Ricordo una breve pièce teatrale La voce umana di Jean Cocteauscritta negli anni trenta del secolo scorso. Una lunga conversazione di una donna sancisce la fine del rapporto con un uomo. Ascoltiamo per tutto il tempo unicamente la voce dell’innamorata con il cuore distrutto. Steven Knight in Locke utilizza pochi elementi per il suo bel film. Un’auto, un telefono – correttamente utilizzato nella funzione vivavoce – e un attore, il loquace Tom Hardy. All’inizio abbiamo una panoramica della città di notte, con delle luminose strade. All’uscita di un grande cantiere è ora di chiusura. Ivan Locke entra nella macchina. Invece di prendere la via di casa, imbocca la superstrada per un lungo viaggio, da Birminghman a Londra. In un’ora e mezza di viaggio deve sistemare molte faccende lasciate in sospeso, nel lavoro, con la famiglia, con l’amante ed è costretto a farlo in fretta utilizzando l’unico mezzo a disposizione. La storia per un’ora e mezza si svolge nell’abitacolo della macchina. Inbreve tempo, davanti agli occhi di Ivan scorre tutta la sua vita. Un’esistenza stabile, forse felice, con una bella famiglia, una moglie e dei figli. Ha commesso un errore qualche mese prima. Un attimo di debolezza con una donna incontrata durante un soggiorno di lavoro. È un susseguirsi di telefonate con la moglie, con il figlio e con l’amante. Tutti chiedono e vogliono da lui delle spiegazioni. Egli è in bilico, spintonato da tutti. Inoltre è dentro quel piccolo spazio, solo, senza nessuna possibilità di aiuto. La moglie gli chiede chiarimenti sul tradimento. Il figlio è triste perché li sente litigare e lo vorrebbe con lui a seguire la partita di calcio. L’amante – una donna matura semplice e al primo figlio – lo spinge a correre per averlo al suo fianco. Inoltre sta lasciando perfino il lavoro. Il giorno dopo doveva esserci nel cantiere diretto da lui “la più grande colata d’Europa.” E qui entra in gioco il calcestruzzo. Egli deve parlare con il capo, con il sostituto, indirettamente con la proprietà di Chicago. I dialoghi sul calcestruzzo sono surreali fino all’ironia: “Non ti fidare di Dio, quando si tratta di calcestruzzo.” Scopriamo il segreto di Ivan, il motivo del comportamento irrazionale e disfattista. Accetta passivamente ildisfacimento della propria esistenza perché non vuole assomigliare al padre. Il film è tutto qui. Una sceneggiatura essenziale, un ritmo veloce, la bravura di Tom Hardy, uno stile linguistico lineare e pulito. Tante luci colorante, riflesse sui vetri della macchina sparigliano la scena, la quale diventa uno scintillare e un brillare di colori. Questi effetti sono stati raccontati dallo stesso Steven Knight: “È successo mentre giravo un altro film: mi sono reso conto delle potenzialità delle scene notturne in automobile e ho voluto espandere il concetto con una storia adatta. Volevo emozionare con una storia ambientata in un ambiente molto piccolo: doveva essere la storia di un uomo ordinario la cui vita, di colpo, prende una piega tragica.“ (http://www.everyeye.it/cinema/articoli/locke-tom-hardy-e-steven-knight_intervista_20414) Unitamente alla ripresa in tempo reale, la pellicola ottiene lo scopo di attrare, di immedesimarsi nella sorte del povero uomo senza possibilità di tornare indietro.