Roma
città aperta. Roberto
Rossellini. 1945.
ITALIA.
Attori: Anna Magnani, Aldo
Fabrizi, Marcello Pagliero, Maria Michi, Harry Feist, Giovanna Galletti,
Francesco Grandjacquet, Nando Bruno, Vito Annichiarico
Durata: 103’
Roma. Italia. 1944. Un gruppo di militari nazisti fa
irruzione in una pensione per catturare il sovversivo ingegner Giorgio
Manfredi, che però riesce a dileguarsi fuggendo sui tetti. Il maggiore Bergman
è sulle sue tracce da tempo poiché l’ingegnere è stato riconosciuto come uno
dei rappresentati più importanti del Comitato di Liberazione Nazionale. Giorgio
si presenta a casa di Pina, facendo il nome di Francesco, e facendo chiamare dal
figlio di lei, Marcello, il parroco don Pietro. Con Pina vive anche Lauretta,
la sorella, attrice collega di Marina, compagna di Giorgio. Pina intanto,
mentre il prete sopraggiunge, informa Giorgio del suo imminente matrimonio con
Francesco, stabilito per il giorno dopo. Don Pietro si presta ad incontrare
alcuni partigiani e ad informare Francesco, nascosto in una tipografia
clandestina, dell’arrivo di Giorgio a casa sua. Della sua presenza in quella
casa viene informata anche Marina, proprio da Lauretta. Nel momento in cui i
due uomini s’incontrano a casa di Pina, i ragazzi del quartiere intanto fanno
saltare in aria una bomba vicino ad un carro tedesco. Anche per questo motivo
viene organizzata una retata fra le palazzine ed il parroco viene avvertito in
tempo della presenza d’armi in mano a Romoletto, un piccolo rivoluzionario
senza una gamba. Purtroppo questa volta, nonostante il contributo di tutti gli
inquilini, gli uomini vengono trovati dai nazisti e Pina, cercando di
avvicinarsi al suo futuro marito, viene uccisa dai militari. Con un’imboscata
armata però i partigiani riescono a liberare i compagni sequestrati. Giorgio e
Francesco si rifugiano in un’osteria dove incontrano Marina: è evidente che
qualcuno ha parlato. Marina li ospita entrambi a casa sua, dove sopraggiunge
anche Lauretta ubriaca. A notte, Marina ne approfitta per chiamare Ingrid,
donna della Gestapo, alla quale denuncia la presenza dei due ricercati. Il
giorno dopo Giorgio, in chiesa per ottenere dei documenti falsi da don Pietro,
ed alla presenza di un collaboratore austriaco, viene fermato dalle guardie
naziste e tutti e tre sono condotti in carcere. Francesco evita fortunosamente
l’arresto grazie al fatto che si ferma per un istante a parlare con il piccolo
Marcello. Il primo ad essere sottoposto all’interrogatorio è proprio l’ingegner
Manfredi che però, nonostante le torture, non parla. Anche don Pietro si
rifiuta di parlare e per questo motivo il maggiore Bergman fa torturare Giorgio
davanti ai suoi occhi. Il partigiano muore senza parlare quando sopraggiunge
Marina che, riconoscendolo, sviene. Poco dopo il prete è condotto su un campo e
fucilato davanti agli occhi dei bambini.
Uno degli esempi più riusciti di
neorealismo italiano realizzato nell’immediato dopoguerra: Roma città aperta è uno
dei film della storia del cinema italiano che più di tutti ha saputo coniugare
impegno politico, riflessione storica e capacità artistiche. Fedele alla nuova
politica del cinema in strada (per le strade) il film di Roberto Rossellini
mette in campo tutte le figure del dopoguerra senza rinunciare ad una presa di
posizione rigida: Marina per esempio (attrice collaborazionista espressione del
cinema dei “telefoni bianchi”) che tradisce il suo uomo (partigiano) è a sua
volta vittima del materialismo sterile del fascismo (il cappotto che le viene
tolto quando sviene) sottomesso all’autorità tedesca; l’insieme dei condomini
come nucleo popolare si muove come in difesa dell’intera libertà nazionale (non
solo quindi dei fuggitivi); Pina (rappresentante della disperazione italiana)
rifiuta di farsi sposare da un prete fascista (denuncia così il collaborazionismo
tra alcune forme di cattolicesimo e il regime); Marcello (il figlio di Pina)
che chiede a Francesco se il giorno dopo il matrimonio potrà chiamarlo papà, pone
in luce le nuove radici del nuovo stato italiano liberato; i nazisti come
esempi assurdi e grotteschi di un dominio ferreo ed inumano nel nostro paese
(il contrasto tra gli ambienti, quello popolare e il salotto dei gerarchi)
soprattutto di fronte all’impossibilità del maggiore Bergman ad ottenere
informazioni dagli interrogati. Oltre i suoi protagonisti però, Roma città aperta è anche un film che ha
il sapore del rinnovamento, non solo stilistico, ma anche ideologico, che
quindi recupera una parte della Chiesa che durante il conflitto seppe prendere
una posizione contraria al regime (la fucilazione di don Pietro) ma che esalta
soprattutto la figura e l’impegno dei combattenti (tra i quali c’è anche un
piccolo Romoletto armato di bombe). Lineare, con qualche errore di montaggio
(ingressi ed uscite dal medesimo lato) che non ne falsa però il significato, Roma città aperta è un film che
nonostante la sua tragedia guarda al futuro in maniera ottimistica: i figli del
popolo che ritornano verso la città dopo la fucilazione del prete, una nuova
marcia su Roma. Momenti dilatati di tensione si alternano a brevissimi momenti
di distensione (il prete e l’anziano malato del palazzo durante la retata) e mettono
in evidenza un carattere tutto italiano, capace di sorridere nella tragedia,
nonostante tutto. La forza della Resistenza è nelle parole del maggiore nazista
ubriaco che, ricordando quella francese, ammette che l’unico modo di vincere su
un popolo dalla forte identità nazionale è quello di sopprimerlo, sempre.
Trasgredendo (per necessità pratiche quasi sempre) alla maggior parte delle
convenzioni e delle regole sia cinematografiche che morali (il prete che ruba
il pane; l’accenno saffico tra Ingrid e Marina) seppe rompere con la tradizione
culturale precedente e dare uno slancio fondamentale al cinema ed ai testi (e
sottotesti) delle produzioni italiane. Giustamente da ricore almeno due
sequenze fondamentali del film: la morte di Pina (una splendida Anna Magnani
riconosciuta con il Nastro d’Argento) mentre rincorre il futuro sposo, e la
fucilazione del prete (interpretato in maniera sublime da Aldo Fabrizi) davanti
agli occhi dei bambini, e per mano dell’esercito italiano, titubante, che
costringe il gerarca nazista a finirlo con un colpo in testa, come si trattasse
di una bestia, carne da macello (le due pecore condotte nell’osteria quando arrivano
Giorgio e Francesco). C’è tutta la sofferenza ed il martirio rosselliniano in
questa pellicola, dove i tre protagonisti muoiono in maniera brutale (torture, umiliazioni
e fucilazioni pubbliche) a dimostrazione di un particolare lirismo cui il
regista non ha mai saputo rinunciare. Arte di arrangiarsi tipicamente italiana
(sia della troupe che lavorò con della pellicola scadente ed in estreme
difficoltà tra l’estate del ’44 e la primavera del ’45, che dei protagonisti di
questa storia, tutti indaffarati a campare) capace di raggiungere alti momenti
di spirito ed importanti traguardi (la vittoria dei partigiani ed il successo
del film). Non c’è spazio per il passato, il futuro è dei figli del
patriottismo partigiano, cattolico e comunista. Oltre che alla Magnani, il
Nastro d’Argento fu consegnato anche al film che ottenne anche il premio più
ambito al Festival di Cannes del 1946 ed una candidatura al premio Oscar per la
miglior sceneggiatura, scritta dallo stesso regista in collaborazione con
Sergio Amidei, Celeste Negarville ed il futuro regista Federico Fellini (su
ispirazione di una storia vera accaduta al parroco don Luigi Morosini). Roma città aperta è il primo capitolo
della trilogia sulla guerra realizzata da Roberto Rossellini, proseguita con Paisà (1947) e Germania anno zero (1948). Marcello Pagliero (che interpreta
l’ingegnere Giorgio Manfredi) realizzerà come regista nel 1948 il film Roma città libera (conosciuto anche con
il titolo La notte porta consiglio) mentre
tra gli operatori alla macchina da presa del film di Rossellini compaiono Carlo
Di Palma e Gianni Di Venanzo. Il regista Otto Preminger disse in occasione del
film, che il cinema mondiale si divideva in due tronconi, quello prima di Roma città aperta e quello dopo, mentre
il regista iperstilizzato ed iperformalizzato come Sergej M. Ejzenštejn, non entusiasta dopo la proiezione del film, ebbe
a dire “adesso ho capito che cosa è la televisione” [i].
Il palazzo dove la Gestapo
compie la retata fu lo stesso dove il regista si nascose, ricercato dai nazisti
per essersi rifiutato di arruolarsi nel loro corpo, e dove conobbe sia Sergio
Amidei che il dirigente comunista Celeste Negarville [ii].
Sicuramente fu questa pellicola in particolare a contribuire al rilancio
all’estero del paese, descritto nel suo impegno contro il fascismo e al quale
fu riconosciuta, vessato dal regime di Mussolini, una voglia di libertà
antiautoritaria a lungo soppressa. Non da meno emersero i caratteri e gli
ideali della Resistenza partigiana. Da un punto di vista strettamente
stilistico però, sebbene Roma città aperta sia l’emblema del neorealismo
(caratterizzato soprattutto d’attori presi dalla strada) in realtà però si
avvale di almeno due ottimi attori come Anna Magnani ed Aldo Fabrizi, non
rispettando quindi quella che presto divenne una caratteristica (fino quasi a
diventare una regola) del nuovo cinema italiano. La prima del film in Italia
avvenne in un piccolo cinema romano il 26 settembre 1945, ma la pellicola non
venne acclamata per eccesso di populismo ed esaltazione melodrammatica.
Bucci Mario
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