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Takva su pravila – These Are the Rules
Anno: 2014
Regista: Ognjen Svilicic;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Croazia; Francia; Serbia; Macedonia;
Data inserimento nel database: 11-09-2014


“Va fino al satellite, poi torna sulla terra.” L’1 luglio del 2013 la Croazia è entrata nella comunità europea. Una normalizzazione del paese lenta, come svogliato è stato il cammino del suo sviluppo economico. Un aggiornamento scoperto anche grazie al film Takva su pravila – These Are the Rules del regista Ognjen Svilicic. Il racconto è un frammento di vita, attuale in tanti paesi ma dal regista incastonato in Croazia. Tomica è un adolescente, ritorna silenzioso a casa dopo essere stato fuori tutta la notte. È figlio unico, i genitori sono una coppia amorevole uno con l’altro. Convivono con le solite problematiche di avere ragazzo teenager. La partenza è riflessiva, lenta come l’atteggiamento comprensivo dei genitori: “Dove sarà stato tutta la notte?” Il giorno dopo Tomica si mostra coperto di lividi; era stato picchiato da un gruppo di bulli della scuola. Il fatto drammatico è accompagnato da altre scoperte dei genitori sul figlio, rivelazioni che lo rendono ancora più ‘normale’: fuma di nascosto, ha una ragazza, ha delle doti artistiche (ci sono mostrati i suoi disegni). Il regista compie un lavoro di accumulo, narrando il ragazzo con gesti nervosi, mai di ribellione o offensivi nei confronti dei genitori. È un solitario all’interno della casa: fra loro c’è affetto ma non c’è dialogo. L’aggressione sarà causa di conseguenze ancora più drammatiche. Da questo momento la tematica – in prima lettura sembrava una storia adolescenziale – si trasforma in un film sul valore della giustizia e della sua efficacia. Il regista ci racconta: “Ho sempre avuto la sensazione che la società in qualche modo supportasse la barbarie. Abbiamo delle istituzioni alle quali dovremmo rivolgerci quando c'è violenza ma non viene mai fatta giustizia. Si finge che ci siano delle regole e che le persone le seguano. La regola della società è che non ci sono regole. La società è crudele. Quando ho realizzato questa verità ho cercato la storia più adatta per raccontare questa situazione. Mi ha ispirato un fatto di cronaca che ha fatto scalpore in Croazia: un ragazzo è stato picchiato a morte. Purtroppo queste cose capitano spesso ma non viene dato il giusto peso.” (http://www.lavocedinewyork.com/A-Venezia-il-cinema-croato-racconta-una-societa-senza-regole-Intervista-al-regista-Ognjen-Svilii/d/7567/) Abbiamo abbandonato il biblico richiamo dell’occhio per occhio per delegare allo stato l’obbligo di rispettare la giustizia. E se lo stato non fosse in grado di applicare - non la legge - ma la giustizia? Dobbiamo aspettare? Dobbiamo rassegnarci? Oppure dobbiamo revocare il mandato concesso per attuare per proprio conto un’equanime giustizia? Per l’autore non ci sono dubbi. Lo racconta usando una chiave di lettura diversa. Si serve dell’accecante burocrazia, la quale è spietata e incapace di individuare la parte umana. La sterile macchina burocratica, cui i genitori vanno incontro, è l’aspetto esteriore, metaforico, di uno stato inadeguato a rispettare i propri cittadini. All’interno dell’ospedale, nel quale è ricoverato Tomica, inizia un calvario, non solo umano ma disgustoso e patetico. Mentre i genitori sollecitano giuste cure, gli infermieri rispondono con formalismi, spingendoli da uno sportello all’altro, invitandoli ad aspettare, a presentare documenti, a rivolgersi a dottori assenti, e nello stesso istante l’occhio della camera inquadra un infermiere mentre gioca un solitario nel computer. Il dolore non ha una morale burocratica, anche di fronte alla morte la risposta è un’asettica: “Ritirate il certificato di morte allo sportello principale.” All’affermazione “Mio figlio è morto” il regista ci mostra la stampante mentre pigramente imprime la sofferenza su un mediocre foglio, se non ci fosse scritto il defunto non esisterebbe. È l’istante in cui alla tristezza fa riscontro una mera e insignificante lungaggine amministrativa. Questo è lo stato da cui i genitori si aspettano l’equità e ragione. Perfino la polizia risponde con lo stesso distaccato modello umano. Il video postato su facebook non è una prova, dovete trovarne altre, e i genitori sono cacciati. È il tempo migliore della pellicola, quando l’umanità si scontra con la cattiveria e la prevaricazione illegittima di uno stato vagabondo. Evitano il problema politico. La questione non è se il politico di turno è bravo o somaro. È l’incomprensibile incapacità dello stato – intrinseco nella sua stessa autorità - a vessare i cittadini, producendo il mostro della burocrazia. Perciò se un povero uomo vuole vendicare il figlio è nel torto? Il finale è il rumore della cipolla affettata su un tagliere. Un suono costante, liberatorio, il momento in cui padre e madre si uniscono nella scelta di vita, un ritmo continuo ascoltato perfino durante i titoli di coda. È un film sociale, nel quale sono tracciati i caratteri dei genitori con molta pazienza, inquadrati in una banale periferia di città fino al loro scontro con uno stato perfido. La regia si mantiene calma e continua consentendo alla storia di ottenere un risultato profiquo.