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A Mirror Leap Down - Paridan az ertefa kam
Anno: 2014
Regista: Hamed Rajabi;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Iran; Francia;
Data inserimento nel database: 27-08-2015


“Avevo solo dimenticato che stavo male.” Il deal sul nucleare iraniano, siglato per l’odio ossessivo del presidente Omaba, consentirà all’Iran di mutare la propria forza economica e militare. Ha una popolazione giovane, la quale è in collegamento con il mondo. Individualmente, gli iraniani, sono cresciuti culturalmente e socialmente. Nonostante le difficoltà restrittive, possono singolarmente manifestare disappunto verso una società ancora molto frenata. Se è difficile parlare di argomenti sociali in modo aperto, i registi iraniani cercano di entrarci affrontando situazioni familiari difficili. Un matrimonio problematico è la metafora di una società condizionata, com’è il cinema di Asghar Farhadi. Con un simile linguaggio ma utilizzando temi più forti e drammatici, il regista Hamed Rajabi in A Mirror Leap Down - Paridan az ertefa kam ci racconta il dramma umano di un’altra coppia: Nahal e Babak. Essi riproducono la crescente classe media iraniana ma Nahal ha una prostrazione nascosta. In uno studio medico ginecologo con forti pareti bianche, Nahal indossa un vestito scuro. Seduta su un divano altrettanto bianco ascolta delle voci. Nahal: “il mio bambino è morto” e tutti si allontanano. Nahal era incinta, ma ha avuto un aborto spontaneo, ora dentro di se ha “oggetto estraneo”. Questo drammatico avvenimento sconvolge la donna, entra in una depressione intensa, prende coscienza della sua insofferenza familiare. Nonostante l’affetto del marito, essa è sconvolta da una crisi compulsiva ossessiva depressiva ed egoista. La bella casa, moderna, ben arredata, è il simbolo di classe media come pure l’incomunicabilità del corpo della donna è un simbolo della sua appartenenza sociale. Il marito parla dei grattacapi nel lavoro, essa lo ignora, è stravolta dalla solitudine. Ma Nahla non è solo depressa, è fuori di testa. Sente la necessità di annientare tutto il mondo e sconvolge il marito, l’amica e una coppia venuta a vedere l’appartamento, scagliando su essi la forza distruttrice della sua prostrazione. Il peggio di se è nella metaforica scena della surreale festa organizzata da Nahla. La famiglia, gli amici sono a casa sua. Nahla serve agli ospiti unicamente un succo. Il disagio degli invitati si trasforma in paura e scoppia in un vomito collettivo per timore di un avvelenamento. La donna in realtà non ha compiuto nessun gesto drammatico ma il rigurgito generale è il rifiuto di una società chiusa, quasi una simbologia di disgusto verso essa.