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Asha Jaoar Majhe – Labour of Love
Anno: 2014
Regista: Adityavikram Sengupta;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: India;
Data inserimento nel database: 12-09-2014


È tremendo rimanere senza lavoro, perché una persona si sente sminuita, inutile, incapace, tanto più se ha una famiglia da mantenere e delle persone da aiutare. Questo sentimento, sempre molto accentuato, è accresciuto in questi ultimi anni di veemente disoccupazione. Un lavoratore è un fortunato, ha un impiego retribuito, perciò ha poco da lamentarsi, anche se mantenere e gestire i tempi lavorativi è un’impresa ardua e faticosa. Questi due aspetti umani sono inquadrati nel film indiano Adityavikram Sengupta - Labour of Love di Asha Jaoar Majhe. Siamo a Calcutta, una città sovradimensionata. La depressione economica ha incrementato i problemi. Una voce fuori campo ci racconta le difficoltà cui sono sottoposti e delle lotte intrapresa dai senza lavoro o dai dipendenti delle fabbriche in chiusura. Nonostante questo, la città è normale, piena di rumori, di gente, di macchine, di moto, di venditori e compratori. In un vicolo c’è una bella e giovane ragazza, cammina veloce. Sarà un viaggio abbastanza lungo; la camera indugia sul filo del tram con un effetto flou sullo sfondo. Si stacca su una casa. C’è solo un uomo al suo interno. Si sveglia, si alza. Una camera lenta ci inquadra tutti i particolari. È un appartamento vissuto, pieno di oggetti. Non può essere un’abitazione di un single. L’uomo si lava, intorno silenzio e qualche rumore di fondo dalla strada. Prende un assegno, esce da casa dopo aver chiuso a chiave la porta, afferra la bicicletta, pedala fino al mercato. Fa la spesa. Con la stessa attenzione e lo stesso ritmo ritorna a casa. Cucina, lava e si addormenta. La ragazza intanto è al lavoro. Sembra un lavoro amministrativo in una fabbrica di borse. Arriva la sosta pranzo, mangia, sciacqua il piatto e ritorna al lavoro. La sera, l’uomo si prepara con cura a uscire, lavora di notte in una tipografia di un giornale. La donna rientra è lo incrocia. Sullo sfondo le voci rivoluzionarie raccontano di una situazione politica ed economica grave. Sono una coppia. L’uomo e la donna si amano, vivono insieme, ma hanno un lavoro di giorno e uno notturno. La loro relazione dura quei pochi secondi in cui s’incrociano. Istanti trasformati dal regista in fantasiose pause amorose. L'attimo diventa un sogno, una visione d’amore. Il giorno dopo si ricomincia di nuovo. Il film è le ventiquattro ore di una coppia d’innamorati, i quali sono fortunati perché hanno un impegno, ma hanno ridotte possibilità di stare insieme. La storia gioca fra due fasi. I senza lavoro, i quali spingono a una ribellione e i dipendenti, i quali per scelte temporali si ritrovano solitari. Una pellicola senza dialoghi, solo le voci da fuori descrivono il mondo reale. Gli amanti sono parte integrante con la città, inquadrata di giorno e di notte, con le luci, i rumori del treno. Un film manieristico ma profondo, quasi musicale nei gesti e nei movimenti. Gestito con capacità, è in grado, senza utilizzare dialoghi, a mostrare l’amore della coppia inserendola in un contesto sociale. La camera è fissa, volutamente lenta, deve assolutamente rendere l’idea della ripetitiva, della solitudine, e dell’attesa voluttuosa di quei pochi secondi di unione. Il montaggio è semplice, però fortifica l’idea concettuale del regista. Come sempre in questo genere, alcuni intellettualismi sono d’obbligo e quasi aspettati. È un cinema indiamo ricercato sociale e umano.