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Eyes Wide Shut
Anno: 1999
Regista: Stanley Kubrick;
Autore Recensione: Giampaolo Galasi
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 26-02-2000


EYES WIDE SHUT: DOPPIO SOGNO EYES WIDE SHUT
Di: Stanley Kubrick
Con: Tom Cruise, Nicole Kidman, Sydney Pollack
Trama: Le certezze di Bill si dissolvono quando la moglie Alice gli dichiara i propri sogni di tradimento. Si farà tentare prima da una prostituta, poi entrerà mascherato a una festa orgiastica dove verrà scoperto e "salvato" da una donna misteriosa: è la stessa di cui osserva il carattere conturbato all'obitorio?

Perché Kubrick si sia lasciato affascinare dalla Traumnovelle di Schnitzler, in quale momento del suo percorso umano-artistico vada collocato, a quali dei precedenti capolavori la pellicola in questione possa essere avvicinata-allontanata, quali siano i rimandi interni tra questa e le altre opere del Maestro, quasi in un ariostesco gioco di specchi (dove, come sa chi ha letto l'Orlando Furioso, l'oggetto del desiderio reale è altrove…), sono tutte argomentazioni che lascio a critici più dotati di me che critico non sono se non nel senso letterale del termine: amo le crisi, di giudizio e non, come momenti di (possibile?) ricomposizione.

Ma, come tutti sappiamo, in principio era il Verbo. Nel nostro caso, il principio è solo un titolo di tre lettere; uno di quei titolo che farebbero godere Enrico Ghezzi (cfr. i suoi deliri etimologici sull' Overlook Hotel di Shining nel suo Stanley Kubrick, edizioni Il Castoro). Vogliamo provarci anche noi? Prendiamo lo Zingarelli. Con EYE ci va ancora bene: troviamo come definizioni occhio, sguardo, bulbo oculare, occhiello, cruna. Possiamo utilizzare, dunque, 'occhio', e 'sguardo', sinonimi ma non troppo. E adesso gli altri due termini. Se andiamo a cercare WIDE ci troviamo di fronte a: ampio, spalancato, lontano se ci limitiamo agli aggettivi e completamente, fuori segno/a vuoto se prendiamo la nostra parolina di 4 lettere come avverbio. Preparatevi da subito: queste traduzioni ci serviranno tutte, dalla prima all'ultima. Ho deciso però che sarò clemente con SHUT, che il nostro Zingarelli traduce con un lapidario chiuso.

Vogliamo provare a ricomporre il puzzle? 'Occhi completamente spalancati', 'Occhi dilatati a vuoto', 'Sguardo completamente chiuso', 'Occhi chiusi da lontano (ovvero miopi)', e il metonimico 'Occhi aperti/chiusi'. Vi avviso: sono tutte traduzioni legittime. E questo perché gli occhi dei tre protagonisti del film (come recitavano i cartelloni pubblicitari: Kubrick Kidman Cruise) assumono le diverse posture visive or ora menzionate in momenti diversi. Anche se, come vedremo, ognuno dei tre ha le sue predilette.

KUBRICK. Direi che in un film l'occhio del regista è l'occhio di Dio, che ha tutto sotto controllo e ci mostra tutto (quello che vuole farci sapere e quando lo vuole lui). Certo, ci sono le eccezioni, vedi il Lynch di "Fuoco cammina con me" o "Strade Perdute" o un qualsiasi Cronenberg….

Gli occhi di Kubrick, comunque, sono sempre spalancati: sulle persone, sugli oggetti, sui paesaggi (anche quelli interiori: lo scambio di occhiate tra Bill e i tre teppistelli in cui s'imbatte vale tutto l'excursus di Schnitzler su come Fridolin cerca di non apparire un vigliacco ai propri -ops!- occhi nella medesima scena in versione cartacea). Più di questo non posso dire: chiedo venia per quanto riguarda la mia scarsa competenza su inquadrature e montaggio; ritengo che un vero esperto potrebbe dirci meraviglie al riguardo. Ma passiamo agli altri due protagonisti (o forse deuteragonisti, secondo i canoni? Anche questo sarebbe interessante da approfondire: e se i protagonisti non fossero Bill e Alice, ma il regista o lo spettatore - o il caso, il destino, se vi diverte di più…)

BILL (Fridolin nel romanzo). Partiamo dalla scena iniziale. Prima di uscire per la festa (che nel romanzo è in maschera), Bill chiede alla moglie Alice dov'è il suo portafoglio, pur avendolo letteralmente davanti agli occhi (occhi dilatati a vuoto… ne avevamo parlato, ricordate?). Lei, girata di spalle, glielo indica ("E' sotto il tuo naso"). Perché conscia della sbadataggine del marito, perché lo SA o perché lo VEDE? Occhi completamente spalancati, anche a 360 gradi? Ma partiamo subito con quella che è la mia tesi: lo sguardo di Bill è, di volta in volta 'dilatato a vuoto', 'ampiamente chiuso', 'miope'. Aggiungerei 'in bianco e nero' (ricordate come immagina gli amplessi della moglie col soldato?). Uno sguardo semplificato, insomma. Per non impazzire. Perché una visione delle cose troppo complessa gli farebbe perdere il controllo (come re-agisce Bill alle rivelazioni ed al sogno della moglie? Andandosene fuori di casa, cioè distogliendo lo sguardo - 'occhi aperti/chiusi' non dovrebbe più essere un paradosso ma una domanda: aperti per guardare cosa?). Certo, ogni 'privilegio' ha il suo scotto, e quello di Bill è di restare, di fronte agli eventi, un eterno passivo, anche quando si trova ad un passo dal risolvere la sciarada. Anzi, è proprio quando si ritrova ad un passo dalla verità che non può fare altro che mettersi a piangere di fronte alla moglie confessandole "Ti dirò tutto" (nota bene: il linguaggio delle parole è necessariamente più grezzo e semplificato/semplificante di quello delle immagini). E ad aspettare che sia lei a pronunciare le classiche parole da happy end (cosa che non avverrà perché Alice non lo può fare: "Non si può ipotecare il futuro", dirà al marito nel negozio di giocattoli).

ALICE (Albertine nel racconto). I suoi occhi sono spalancati anche quando sono sfuocati dallo champagne (quando balla col polacco e vede Bill insidiato da due modelle). Il suo sguardo è aperto sulla propria interiorità (e su quella del marito)quando discute con lui sotto marijuana (a proposito… mai provata della cannabis così potente… beati loro!) e quando gli racconta, in preda al pianto (e non si tratta di un pianto provocato dal senso di colpa, ma proprio dalla confusione in cui la sua scelta - o necessita? o pulsione? - di vedere la getta) il suo sogno. Su Duel Ezio Alberone interpreta l'invito finale di Alice a 'scopare' come "il richiamo a un pensiero - a un esercizio critico - che la smetta di voler essere ermeneutico e cerchi piuttosto di essere erotico. Che non pretenda, cioè, di aver capito e di poter spiegare tutto, ma riesca a sentire e a vedere di più"(attitudine tipicamente femminile), anche a costo di far sgretolare qualsiasi piano provvidenziale prestabilito (paura tipica del razionalismo maschile). Per questo è così importante l'eredità che Kubrick ci lascia con questa sua ultima pellicola: il suo ultimo, definitivo lavoro è incentrato sul conflitto tra due modi di interpretare la realtà, tipici di tutta la cultura occidentale. Parafrasando Heidegger, infatti, potremmo dire che Bill rappresenta la veritas dei romani e dei cristiani (dalla radice germanica ver che indica il porre una palizzata a difesa di ciò che è ritenuto il Vero, ciò che serve per affrontare l'esistenza senza indugi e a colpo sicuro, con l'inevitabile conseguenza di doversi difendere da tutto ciò che è al di là, ciò che separa - in greco dia-ballein, da cui il Diavolo), mentre Alice incarna l'a-letheia dei greci, il disvelamento. Due modi di interpretare la vita il cui doloroso strappo viviamo nella nostra pelle quotidianamente e che Kubrick può permettersi di ricucire grazie alla natura simbolica (syn- ballein) dell'immagine. Certo, nella vita reale è tutta un'altra cosa .