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The Rainmaker - L'uomo della pioggia Anno: 1997 Regista: Francis Ford Coppola; Autore Recensione: Adriano Boano Provenienza: USA; USA; Data inserimento nel database: 09-02-1998
Coppola al contrario di Hackford resiste al falò delle
vanità: Matt Damon rinuncia alla carriera tanto inseguita
proprio nel momento di maggior successo, per non diventare uno squalo
come Jon Voight, avvocato delle odiate assicurazioni. Anche
l'Avvocato del Diavolo rinunciava alla ignobile difesa e
all'imbattibilità, ma i presupposti erano diversi,
perché tra i due giovani legulei i cromosomi sono opposti: per
l'uomo della pioggia l'etica nasce dal rispetto per la dignità
dell'uomo, Keanu Reaves sceglieva di rinunciare in previsione di una
disfatta e quindi era alla mercé degli inganni della
vanità, mentre il personaggio di Coppola trae spinta etica dal
calvario cui assistiamo attraverso le storie parallele a quella
principale (per l'ampio respiro sociale della denuncia del
fraudolento sistema delle privatizzazioni) della sua breve carriera
di avvocato. È la stessa pulsione che spinge l'europeo Loach a
percorrere i sentieri della presa di coscienza con lo sguardo sempre
a fuoco offerto dal suo uso del teleobiettivo fisso su un concetto di
giustizia chiaro a priori, la troviamo pure in Kitano Takeshi, che
rimedita la tradizione dell'onore nipponico tramite la gelida e
lucida inquadratura degli uomini soli con se stessi, attoniti, ma
consapevoli di cosa il rispetto di se stessi richiede a loro,
dignitosi fino alla morte.
Il principio radical americano secondo il quale la dignità
fonde amor proprio ed etica permette al personaggio di Coppola di
collocarsi tra questi esempi di cinema morale e di completare la sua
formazione al cospetto della morte (sarà infatti il ragazzo
leucemico a vincere la causa con la sua testimonianza dall'al di
là: una vera arringa emozionante), ma soprattutto con una
fastidiosa quanto poetica presenza incombente che, noi pubblico
avvertiamo rilevando le semi-plongée, quelle riprese in campo
lungo quasi sempre inquadrate da un dolly di circa 45° ;
l'immanenza della legge, che tutto scruta dall'alto. Quella stessa
legge, che era un grimaldello per Al Pacino-Belzebù, diventa
in The Rainmaker la clava con cui la giustizia stronca i soprusi. Ma
si tratta di una nemesi silenziosa: infatti l'intero film si svolge
in un sussurro, tranne la sequenza poco coesa della rissa con il
marito alcolizzato di Nelly, unica porzione del film apprezzata da
spettatori ormai abituati solo ai film di pseudo-azione (regrediti a
buzzurri filmici) e che invece interrompe il giusto scorrere moscio
del film, al quale è demandato il compito di mostrare come la
blanda vita di gente qualunque ha la possibilità di
sconfiggere i mostri con il proprio buon senso. Un sussurro che
è invece una deflagrazione, quando l'indignazione riesce a
farsi sentire coinvolgendo nella requisitoria l'intero sistema
neo-liberista, che mette in competizione i reparti interni delle
aziende (posso testimoniare dall'interno che questo meccanismo
perverso è in uso da decenni in Fiat, orribile moloch
assimilabile a quella associazione a delinquere che è la
Compagnia di Assicurazioni).
Gli ultimi, coloro che sono solo sfruttati, costituiscono
un'armata che riesce a sbaragliare gli squali, visti all'inizio in un
acquario, come i Rumble Fish di un vecchio film altrettanto scuro e
sordido; quella di allora era un'altra crescita, che vedeva
protagonista Mickey Rourke (qui squalo, ma benigno), la ribellione
del vecchio film si stempera per diventare calma consapevolezza in
grado di emergere tra quelle riprese a dominante marrone,
l'atteggiamento dimesso consente il raggiungimento di una dignitosa
soddisfazione morale. |